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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Febbraio 2024

 Fabadda a sa thatharesa

La fava è una leguminosa antichissima, conosciuta anche come la carne dei poveri. Originaria della Persia e dell'Africa Settentrionale, è coltivata in Europa da tempi antichissimi, era già nota nell'antico Egitto, ma le sue prime tracce risalgono addirittura all'epoca del bronzo e del ferro.

Le fave appartengono alla famiglia delle leguminose, Fabaceae, e sono state classificate con il nome, Vicia Faba, il loro colore varia dal verde al bruno, hanno forma appiattita e si consumano sia fresche che essiccate.

 

Il primo a nominarle fu Omero nell'Iliade. Erodoto, storico greco, considerato da Cicerone il “padre della storia” sosteneva che le fave per i sacerdoti egiziani erano cibo infetto. Al tempo dei romani venivano consumate secondo le numerose ricette di Marco Gavio Apicio (definito come amante dello sfarzo e del lusso), che le cucinava con uova, miele e pepe, prima di mescolarle ad erbe e salse. Una ricetta tra le tante è quella della crema di fave alla Vitellio, fabam vitellianam, a base di porro, coriandolo e fiori di malva, pepe, ligustico di montagna e semi di finocchio.

La coltivazione della fava in Italia è tipica delle regioni del centro e del sud. Tanto è vero che una classica merenda primaverile di queste zone prevede le fave accompagnate con pecorino e pane nero. La fava è coltivata e diffusa anche in Sardegna, dove viene utilizzata in numerosi piatti tipici come la favata, fabadda, un minestrone di fave, cavoli e finocchietto selvatico che a Sassari, per antica consuetudine viene preparato in occasione del Carnevale. Nella cultura contadina degli isolani la fava è ricorrente in alcuni proverbi: Gesù Cristu dona sa fai a chini no dda podit arroi, Gesù dà le fave a chi non può masticarle, come dire che chi ha pane non ha denti (fonte: Alimentipedia di Spelta Federica), Sa fa  bettala  in  infustu,  et  su  trigu  in  asciutu, La  fava  seminatela  in  tempo  piovoso  ed  il  grano  in  terreno  asciutto, S’annu  qui  hat  a  pioer  fa  cum  lardu, L’anno  che  pioverà fava con lardo (fonte: Proverbi sardi di Giovanni Spano).

Ad Aquino in Ciociaria, il due novembre di ogni anno si svolge una manifestazione dedicata alle fave, chiamata, Le fave dei Pelagalli, si tratta di un’arcaica saga popolare generata per volere della famiglia Pelagalli, signori del luogo, che donarono questo legume in gran quantità ai poveri del paese. La stessa consuetudine è in uso anche a Oristano, dove per San Giuseppe le famiglie benestanti erano solite offrire le fave alle famiglie più bisognose.

Quando si acquistano le fave bisogna accertarsi che il baccello sia carnoso, di colore verde brillante e senza screziature, devono poi essere lucide e di forma affusolata. La conferma della freschezza è lo schiocco che produce il baccello quando lo si spezza.

Che dire: vere leccornie che insieme a tante altre preparazioni antiche esaltano un tripudio di profumi e sapori incomparabili per la gioia degli insaziabili, liconagius, golosi.

Le fave in diverse zone del sud Italia sono consumate anche come frutta, o come originale variante in una goduriosa ricetta: messe a bagno almeno per 24 ore, poi si spellano e si fanno bollire a lungo, si scolano, si passano in padella con lardo, pancetta, peperoncino e... scusate se è poco, ma è un ottimo piatto  invernale, veramente unico nel suo genere!

Ingredientis:

g 800 di fave secche, un mazzetto di prezzemolo, 4 spicchi d’aglio, 1 peperoncino rosso piccante, un ciuffo di mentuccia, menta de arriu, un ciuffo di origano, un ciuffo di finocchietto e uno di timo, olio extravergine d’oliva, bicarbonato, sale q.b.

Approntadura:

la sera prima poni ad ammollare le fave in abbondante acqua tiepida insieme a un cucchiaino di bicarbonato e due spicchi d’aglio schiacciato. Il mattino seguente scolale e lavale sotto il getto dell’acqua corrente, poi tuffale in una marmitta colma d’acqua e a bollore regola il sapore di sale. Quando saranno al dente, sbucciale stringendo con il pollice e l’indice la parte inferiore della fava, in modo che dalla parte opposta esca l’interno, pappu, e fra le dita rimanga la buccia che eliminerai (questa procedura è facoltativa in quanto va a gusti). Terminata questa laboriosa operazione, trita finemente il prezzemolo con il peperoncino e il battuto ottenuto fallo rosolare in un tegame con un generoso giro d’olio e il restante aglio schiacciato, quindi tuffaci le fave spellate, falle insaporire bagnandole con poco brodo di cottura, l’origano e il timo sbriciolati, la menta e il finocchietto tritati, una presa di sale e appena risulteranno tenere e si sarà formata una leggera salsina vellutata, allontana la preparazione dal fuoco. Prima di servirle preferibilmente con fette di pane abbrustolite, strofinate con dell’aglio e una carezza di olio, lascia riposare le fave fino a quando saranno tiepide in modo che si insaporiscano armonicamente. Vino consigliato: Mandrolisai rosato, dal sapore asciutto, sapido con retrogusto amarognolo, armonico, vellutato e caratteristico.  

 

***

Tzippulas de Carrasciali cun casu friscu e tzafanau

 

Carnevale, dal latino, carnem levare, (eliminare la carne). In lingua sarda, Carresegai, Carrasciali, Crannasciali, e altri nomi ancora, per indicare la festa.

Per i sardi il Carnevale è qualcosa di magico, intriso di passato, ricco di storia e meraviglie, qualcosa di antico che si rinnova ogni anno in tutta l’Isola, rimasto aggrappato a leggende medievali.

Si tratta di una consuetudine affascinate e differente da un paese all’altro, pur rimanendo legata alla narrazione fantastica e al folclore del territorio. 

Il Carnevale dei sardi è interpretato con i più svariati travestimenti, come quelli che rappresentano delle streghe, altri con lenzuola che simboleggiano uomini fantasma, uomini in abiti femminile e viceversa. Famose le maschere di legno di Mamoiada i, Mamuthones, intagliate da bravissimi artigiani e gli, Issohadores, del nuorese che sulle spalle sopportano pesanti campanacci, le maschere popolari, s'Urtzu, e, sos Colonganos, di Austis. Noti e significativi sono anche i terribili, Thurpos, di Orotelli, lo scemo del villaggio, Battileddu, a Lula, Don Conte, di Ovodda, sono solo alcuni dei personaggi carnevaleschi che si trovano in Sardegna, tanti altri ancora sono quelli che contribuiscono con le loro marachelle e scherzi a realizzare le feste di Carnevale più caratteristiche di tutta l’Isola. Senza dimenticare, sa Sartiglia, di Oristano festa di origine medievale.

Il Carnevale è un appuntamento che si festeggia nel mondo cattolico è ha il suo apice nell’ultimo giorno del periodo di penitenza al termine di quaranta giorni di digiuno e l’ultimo giorno di questo periodo si concludeva e tutt’ora si conclude con il Martedì Grasso.

La celebrazione del Carnevale come festa che ricorre intorno a metà gennaio è antichissima, i romani accoglievano festosamente i Saturnalia per festeggiare l’inizio di un nuovo ciclo astrale e la rigenerazione delle attività agricole, ma qualcosa di simile avveniva anche nell’Egitto dei Faraoni e chissà in quante altre culture.

Nel corso del Carnevale in passato era tradizione il lancio di cibi, un gesto che nei momenti di carestia dei secoli scorsi provocava un sensazionale apprezzamento da parte della gente. L’apice di notorietà venne raggiunto in una libidinosa festa della porchetta ideata per il Carnevale di Bologna nel 1279, per festeggiare la vittoria sui ghibellini e a Roma nella famosa cinquecentesca “Cuccagna del porco”. Durante le due feste venivano lanciati sulla folla pezzi di carne di maiale e ancora oggi nelle sfilate carnevalesche vengono lanciate caramelle, coriandoli e stelle filanti, famosa è la “battaglia delle arance di Ivrea” in Piemonte.

In Italia, il Carnevale è festeggiato con antichi rituali e tradizioni gastronomiche, per esempio le classiche frittelle, che a seconda delle località vengono guarnite con  miele, zucchero semolato, zucchero al velo o salate.

Frittelle che hanno preso nomi differenti in base alle regioni o città, ma nella realtà molto simili, per esempio: chiacchiere in Lombardia, bugie e farciò in Piemonte, zeppole in Veneto, crostoli in Trentino, cenci in Toscana, nome registrato già nel XIII secolo, riferito al cencio, ritaglio di stoffa, frappe in Emilia, derivano dal francese antico, frape, con il significato di striscia di stoffa smerlata, una specie di volant usato per guarnire abiti o tende,  cicerchiata in Umbria, Calabria e Puglia, pignoccata e fravioli in Sicilia e, in Sardegna, meraviglias, frisgoli, tzippulas, di vari formati, orillettas, uvusones, arrubiolus, acciuleddi, e ancora, arrodas de carru, parafrittus, fatti o frati fritti, captziuns, cappuccini, culungioni de mendula, ravioli di mandorle e tanti altri ancora sono i dolci degli isolani preparati per Carnevale.

Una vera carrellata di prelibatezze condite con vino nuovo, vino dolce, spensieratezza, canti e balli sino allo sfinimento.

Già, i balli… proprio come narra un vecchio proverbio: is ballus da Carnevali, Carrasciali si prangint in Caresima, I balli di Carnevale si piangono in Quaresima.

Ingredientis:

g 200 di farina 0, g 80 farina di grano dura rimacinata, g 600 di pecorino freschissimo, 3 uova di giornata, g 200 di latte di pecora appena munto, g 10 di lievito di birra e 10 di zucchero, g 150 di zucchero comune, zafferano San Gavino, la scorza di un limone giallo non trattato grattugiata, olio di arachidi, zucchero al velo per spolverare le frittelle, sale q.b.

Approntadura:

prima di tutto, mescola accuratamente lo zucchero con la farina, una presa di sale e le uova, poi aggiungi mezza bustina di zafferano, la scorza del limone, il formaggio grattugiato e lavora il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Quindi aggiungi al composto il lievito stemperato nel latte tiepido con lo zucchero e continua a lavorarlo fino a quando non avrai assemblato una massa malleabile. Terminata questa operazione, ponila in un recipiente a lievitare dentro al forno spento con la luce accesa per quattro ore. Trascorso il tempo, con l’aiuto di due cucchiai intinti prima nell’olio, preleva poco alla volta parte di amalgama e man mano, tuffa le, tzippulas, in abbondante olio caldo. Quando risulteranno dorate da ambo le parti, scolale su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere l’unto in eccesso, allorché cospargile di abbondante zucchero al velo e servile. Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.

 

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