“Se con Luigino Cossu la Gallura si affacciò per la prima volta, autorevolmente, sulla scena della Gara a chitarra, con Ciccheddu Mannoni vi ebbe la piena consacrazione”. Così Giovanni Perria nel suo bel libro “La Gara a Chitarra e i suoi protagonisti”, Domus de Janas, Selargius 2006.
Francesco Mannoni (noto Cicchéddhu di Baltólu, dal nome del padre Bartolomeo), nato a Luogosanto il 16 giugno del 1899, morì ad Alghero l’11 luglio del 1978. Intimo amico di mio padre, e considerato nell’ ambito della mia famiglia allargata come un parente, aveva una voce accattivante con una dote canora, diceva “Ziu Crimintinu”, fratello di mio padre, ufficiale di Finanza a Roma, che risvegliava “un’accorata nostalgia di cose desiderate senza averle mai conosciute”. Oltre quella che si potrebbe chiamare dote “poetica” tutte le altre di cui Cicchéddhu era portatore generoso nel manifestarle, ma spesso anche geloso di farne parte a chicchessia, Giovanni Perria, molto più di me, ha la capacità di sottolinearle degnamente.
Dirò soltanto che mio padre, che si incontrava di frequente con Cicchéddhu nelle riunioni comunitarie o nelle feste delle cento chiese campestri della Gallura (del resto lo stazzo dove era nato Cicchéddhu, Ruspinu, e il nostro, Ízzana, sono abbastanza vicini), nel 1922 era andato a cavallo assieme a mio nonno da Ízzana a Tempio (venti chilometri esatti) per sentirlo cantare in palco assieme a Candida Mara, la mitica donna-amazzone dalla voce di sirena, che fece del bel canto il suo immaturo destino. Non aveva dimenticato, mio padre, la quartina che i tempiesi alternavano agli applausi durante l’esibizione dei due artisti. La canticchiava sempre e la canticchiò fino alla morte:
Canta tu, Candida Mara
chi t’intènghinin Curragghja
cu la boci che iscagghja
la fiocca illu Limbara.
Dopo quella tempiese ci fu un’esibizione a Luogosanto (assieme ad un altro mitico personaggio, l’aggese Salvatore Stangoni), che riempì le vie del paese con la gente venuta dalla campagna e dai paesi vicini. Negli anni che seguirono le sue salite al palco non si contarono più.
L’ultima volta che io vidi ziu Cicchéddhu fu ad Alghero, due giorni prima della morte, assistito dalle nipoti sarte con le quali viveva. Mi abbracciò con le lacrime agli occhi (Salutam ’a Bàcchisi, Bachisio, mio padre).
Il ricordo del mio conterraneo, così ben delineato dall’amico Perria, ha distratto le mie intenzioni di dire cosa sul suo libro. È un’opera che ci voleva, quindi importante. Nelle sue 385 pagine Giovanni è riuscito a censire, illustrandone la figura con una scrittura puntuale e sapiente (da buon professore delle superiori) tutti i cantanti da palco, e non solo. La competenza di Giovanni in questo ruolo si innesta su una disposizione d’animo comune in Sardegna che fa degli artisti da palco delle personalità di spicco non solo per la capacità canora ma anche per l’affetto e la simpatia che riescono a suscitare in chi li ascolta (o sarebbe meglio dire “ascoltava”?). Competenza, quella di Perria, acquistata nella frequentazione delle saghe paesane, nella partecipazione a rappresentazioni televisive importanti; ma affilata soprattutto dalle “uscite” nei diversi paesi e nelle campagne della Sardegna. Io l’ ho conosciuto in Gallura che era, un bel po’ di anni fa, una terra che dava qualcosa in più, in senso generale, di altre parti dell’isola, e ci si veniva volentieri, cosa che per un certo periodo, un paio di decenni dopo, era sembrata illanguidirsi; ma che ora è in netta ripresa. Lo ritengo un fenomeno interessante per la conoscenza e la valorizzazione comune delle diverse peculiarità locali come i costumi, le tradizioni, i linguaggi.
Per quanto mi riguarda non posso dimenticare le occasioni festose che mi hanno visto assieme a Perria a presentare libri (nel 1999 andai giù a Narbolia per presentargli il simpatico libretto “Radiotelepullman”, presentazione che fu reiterata lo stesso giorno a Bonarcado), ad inventarci testi divenuti famosi nell’ isola per i cantanti di grido, da noi consigliati insistentemente e con successo, ad affrontare l’esame per l’ iscrizione alla Siae come parolieri o musicisti, per non accontentarsi soltanto del compenso pattuito con le organizzazioni locali per salire da protagonisti su palchi di tavole e canne.
Commovente e applauditissima la presenza fedele di Giovanni Perria alla commemorazione annuale di Cicchéddhu Mannoni, a Luogosanto, organizzata da un gruppo di soci capeggiato da Mario Ziruddu-Capaccia (90 chili per 1,90), caro amico di Perria e “il più fratello dei miei cugini”) morto da poco, ancora giovane, come aveva sempre desiderato: abbattuto in caccia da un infarto fulmineo che non gli impedì, comunque, di crollare bocconi tenendosi il fucile stretto sotto di lui per non rischiare di ferire il suo compagno di posta.
Nell’incontro indimenticabile del “Capidannu” di Séneghe di quest’anno Giovanni ha frugato nell’archivio dei suoi ricordi ed è riuscito ad attirare in piazza buona parte della popolazione di quel paese elegantemente ospitale e innovatore.
Franco Fresi
