Dopo lo scrittore Antonio Romagnino e lo storico dell'arte Roberto Coroneo, il giorno di San Valentino – l'indomani del suo compleanno – a Cagliari, dov'era nato nel 1935, se n'è andato il pittore e saggista Francesco Leone Cugusi, inventore della polistigrafia, l'incisione che utilizza il polistirolo.
Ha scritto Francesco Alziator: «Una nota dominante si coglie subito nell'opera di Cugusi: la sua distanza dalla tradizione. Ma vi è pure un'altra cifra che distingue questo artista che solo per convenzione può chiamarsi pittore. La sua tematica, infatti, e innanzi tutto la sua tecnica si risolvono in un continuo tentativo di superamento delle contraddizioni strutturali della pittura. In definitiva, mentre di norma il pittore tende a essere il pittore-poeta, cioè a volgere nel colore il sentimento, Cugusi opera come il pittore-filosofo che incanala la composizione verso i valori dialettici del pensiero. Già la tecnica della tela, segnata dalla lama che delinea la figura e lo spruzzo della vernice che la immerge scarnita in un tormento cromatico, unificando l'ambiente e l'uomo che risultano strutturati della stessa materia, creano il preludio del dramma che l'opera uguale su dimensioni che sono quelle convergenti e consustanziali dell'uomo e della roccia e divergono invece nei tralicci insensibili, ma possessivi...
Pittore-filosofo, dunque? I nomi, le etichette possono aprirsi sempre all'ambiguità. Concreto, invece, è il dato che emerge dalla lettura dell'opera di Cugusi: egli ci appare come un vero, autentico artista che alla via del luogo comune e del facile e piacevole dialogare della gente qualunque ha preferito il difficile virile e morale impegno delle creature della protesta».
Soprattutto negli anni Settanta è stato presente in molti circoli d'emigrati, con un programma rivolto ai pericoli dell'industria e del consumismo, che stavano cambiando la Sardegna antropologicamente. «Il mio discorso vuole essere sociale: il pezzo meccanico, il prodotto industriale (spesso descritto, nelle mie tele, con altra tecnica per renderli alieni e minacciosi) pur utili in sé, divengono strumenti di tortura e di morte, simboli di una rivoluzione tecnologica assurda e alienante che dell'uomo si serve senza appagarlo».
Nipote diretto di Brancaleone Cugusi, si è sempre adoperato per diffonderne la conoscenza. Ha collaborato attivamente alla realizzazione della monografia di Vittorio Sgarbi, Brancaleone da Romana (Skira, Milano, 2004), e alle mostre tenutesi a Cagliari e a Sassari.
Ma è andato oltre, pubblicando il libro Brancaleone mio zio, La vita privata di Brancaleone Cugusi da Romana (Tema, Cagliari, 2010). «Un libro – scrive Vittorio Sgarbi nell'introduzione – che è una lunga dichiarazione d'amore per Brancaleone, e integra gli studi per la mostra che curai nel 2004».
Un atto d'amore, certamente, ma anche «la necessità – per dirla con Francesco Leone Cugusi – di dare una corretta informazione su di lui come uomo e come personaggio, con la sua forza d'animo, le sue debolezze, la sua simpatia, la sua grande umanità».
Fino all'ultimo, nonostante le sofferenze, non ha rinunciato a presentare, in conferenze itineranti, la vita e l'opera dello zio nato a Romana nel 1903 e morto a Milano nel 1942. L'ultima, agli Amici del Libro di Cagliari.
Adriano Vargiu
