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“I giorni del massacro” di Antonio Budruni

 <<Questo saggio sul massacro di Itri, rimasto per un secolo praticamente ignoto, conferma che per troppo tempo la storia italiana è stata raccontata non tutta intera ma a pezzi>>. Così scrive Gian Antonio Stella nell’introduzione al libro “I giorni del massacro, Itri 1911: la camorra contro gli operai sardi”, di Antonio Budruni, pubblicato da Carlo Delfino editore.

Ecco il principio del “pezzo di storia” che ci riguarda da vicino: nel luglio del 1911 si lavorava al quinto lotto della costruzione della nuova direttissima Roma-Napoli; ci lavoravano anche circa quattrocento sardi, la maggior parte dei quali veniva dalla provincia di Cagliari.

Stranamente (ma non troppo), fa notare Budruni, la ditta appaltatrice Spadari corrispondeva ai lavoratori sardi un salario inferiore a quello degli operai “continentali”. Eppure si trattava di lavoratori esperti che venivano, la maggioranza, dall’esperienza mineraria del Sulcis-Iglesiente.

 

Si erano trasferiti, insieme, a Itri (e quando mai i sardi non si agglutinano come le api a primavera!), un paesello di contadini e pastori della provincia di Caserta (oggi di Latina) a pochi chilometri da Gaeta, ai confini della Ciociaria. Il nome di quella regione sembra avere un presagio incoraggiante. “Terra di Lavoro” la chiamavano; ma era in mano alla camorra, che (già da quando si lavorava al quarto lotto) non tollerò la costituzione  di una lega di difesa economica, nata soprattutto come tentativo di rivolta proprio contro la pressione camorristica. I lavoratori sardi, che allora erano circa seicento, furono i più convinti oppositori, mentre gli itrani, sobillati dai caporioni della camorra, non vedevano i sardi di buon occhio.

La difficile convivenza tra sardi e itrani raggiunse il picco più alto il 12 luglio che deflagrò come un turbine di follia. L’innesco fu un pretesto: un montanaro attraversò a piedi, con un cavallo tenuto per la briglia, un gruppo di lavoratori sardi che a Itria, in Piazza Incoronazione, parlavano tra di loro con il garrulo entusiasmo di chi ha ricevuto qualche momento prima la sua “quidicina”. Montanaro e cavallo ci passarono in mezzo con poco riguardo e urtarono il lavoratore sardo Salvatore Tatti che cadde per terra ferendosi alla fronte. Ne uscì un parapiglia, volarono parolacce, imprecazioni, spintoni, qualche schiaffo. << All’improvviso - scrive Budruni - si accende una mischia furibonda tra sardi e itrani: l’odio a lungo covato esplode con violenza. Accorrono subito due carabinieri che si scagliano contro gli operai sardi e dichiarono in arresto uno di loro, Giovanni Cuccuru di Silanos. I suoi compagni non accettano l’ulteriore sopruso ed espongono “magari animatamente e magari, di tanto in tanto” in sardo - le loro ragioni, indicando l’autore della provocazione e cercando di far capire come si siano svolti i fatti. Alle urla accorrono altri due carabinieri, che vedendo il gruppo di sardi attorniare i loro colleghi mentre tentano di portar via l’arrestato, perdono la calma e spianano le armi: uno punta la pistola in faccia al Cuccuru e minaccia di premere il grilletto. Dalle bettole e dalle cantine che affacciano sulla piazza volano bottiglie, bicchieri e sassi all’indirizzo dei forestieri; qualche coccio colpisce i carabinieri. Finalmente l’arrestato viene condotto in caserma>>.        

I lavoratori sardi, di comune accordo, indissero uno sciopero e chiesero all’avvocato Nardone di Fondi di assumere le difese dell’arrestato; e contemporaneamente si rivolsero alla lega di difesa economica, chiedendo protezione. L’avvocato Nardone accettò l’invito e decise di intervenire a modo suo: chiese al collega Di Lauro, di  Formia, di intervenire alla manifestazione degli scioperanti e gli consegnò un biglietto da dare al sindaco, annunciandogli un comizio per il giorno 13. Inviò infine un telegramma al sottoprefetto chiedendo la scarcerazione dell’operaio “arrestato arbitrariamente”.

Il paese di Itri diventò subito un crogiolo di odio e di pressione costante contro i sardi che, durante le ore libere dal lavoro, giravano disarmati per le vie del paese, rispondendo, con parole e proposte di risolvere tutto “da uomini” di giudizio, alle varie aggressioni fisiche e a spari intimidatori.

Intanto il gruppo sardo presenta una querela al procuratore del re di Cassino contro la gente del paese e le autorità, sindaco compreso, che con i suoi assessori, armati di fucili e pistole, sparavano sugli operai sardi incontrati per via. Nella denuncia firmata da un trentina di operai sardi si fanno nomi e cognomi del sindaco e degli assalitori; e vengono elencati i nomi degli operai, tutti sardi, feriti nell’aggressione. Viene denunciata anche la scomparsa di due sardi che, a quanto si dice, furono uccisi e trasportati di notte nel cimitero del paese. I responsabili, secondo l’indicazione nella denuncia, vengono individuati, anche questa volta, nel sindaco ed altri, tutti indicati per nome e cognome.

Alla fine i sardi, “assaliti da ogni punto” dalla popolazione  e dall’offensiva della camorra, si diedero alla fuga, cercando di abbandonare il paese, inseguiti dalle urla e dagli spari della popolazione e dalle stesse forze dell’ordine al grido di <<Fuori i sardegnoli>>. La campana della chiesa suonava a distesa come invito ai paesani di convergere nel caffè “Unione”, dove erano state raccolte armi di ogni tipo, a disposizione di chi volesse farne uso.

Ma anche fuggire era quasi impossibile e molti, che cercarono di rifugiarsi nei boschi, nei cantieri e nelle case di alcuni privati, magari di origine sarda, vennero raggiunti e massacrati. I nomi di questi sono stati citati uno per uno dall’autore del libro con estrema precisione e impatto emotivo di rara intensità.

Della tremenda aggressione rimase un campo di feriti, molti dei quali non scamparono alla morte, e alcuni cadaveri: tutti di lavoratori sardi.

A questo punto dirò soltanto che anche i giornalisti furono bersagliati dal popolo inferocito. Parlarono dell’evento “La Nuova Sardegna”, il romano “La Tribuna” e “Il Mattino” di Napoli.

Citerò ancora poche significative righe dell’autore che gettano un po’ di luce sulla truce vicenda che si consumò a Itri tra il 12 e il 13 luglio del 1911. <<L’impressione è, comunque, quella di una premeditazione, l’orchestrazione di un massacro che sarebbe dovuto servire da lezione ai sardi, ancora una volta “ribelli”>>.

La fine dell’intero  fatto e le conseguenze che ne derivarono, non certo senza sorprese, sono tutte a disposizione dei lettori: che spero siano tanti, non solo perché i libri sono fatti per essere letti, ma anche e soprattutto perché libri come questo devono trovare posto nella biblioteca di ciascuna famiglia sarda e “continentale”: più che altro come incentivo a quei giorni di pace e di dialogo che dovrebbero costellare il nostro domani.

Franco Fresi

 

 

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