«A mussius e arrogus» un libro di Adriano Vargiu (Iskra Edizioni, 10 euro) sulla Cagliari negli anni Cinquanta . Il racconto d’una generazione che ha attraversato gli anni del dopoguerra, in una città distrutta dal mostro della guerra, una generazione che sperava in un qualsiasi lavoro, anche oltre il mare.
L'affresco appassionato d'una città ormai lontana, padrona d’una lingua, con le parole giuste per dire. Sopralluoghi della memoria affabulazioni e personaggi, nella lingua del parla come mangi, a mussius e arrogus, mazzamurru linguistico italiano-cagliaritano.
Certamente allora si mangiava poco e male, si aveva però una lingua ricca di parole e di espressioni, e si era capaci persino di far diventare cagliaritane le parole venute dal mare, attentus a no ammisturai su priogu sardu cun su spagnolu.
Tutto passa. La memoria diventa labile e peggio travisata, l’identità minacciata.
«A Montixeddu – si legge nel libro – si andava, ragazzi, po biri le prostitute, con la paura della Buon Costume e delle risse. Contro i marinai americani vincevano sempre i cagliaritani, a corpus de concas, sport autoctono. Sparite le baracche, sono rimaste le grotte, dove disperata la gente si rifugiava quando dal cielo piovevano bombe. Oggi si va a vederle per Monumenti aperti».
La Cagliari con i suoi poeti e scrittori d’una lingua dal fine umorismo, ironica, satirica, aristocratica, poetica, letteraria, armoniosa, dolce.
Dalle macerie alla ricostruzione, dalla storia alla cultura popolare, fede e religiosità popolare, allumingius e macchiettas, bragheris, barrosus e sbertiroris, carrettonis a cuaddus e a burriccus, ciccaioli e buttegheris, frammassonis e sturacandelas, is giogus e is iscolas, oratori e partiti politici, imbonitori e illusionisti, circhi (il mitico Circo Zanfretta), cinema e teatri, mercato, cucina e piolas, le case chiuse e le strade dell’amore, gabillac e biddinculus...