Giacomo Murrighili, nato e vissuto ad Enas, da buon sardo-gallurese ha promesso a se stesso, fin da ragazzo, di legare il suo nome, con discrezione ma con determinazione, ai tre amori di una vita destinata ad essere lunga e serena (90 anni, oggi): la moglie Domenica “Angelo d’amore e di carità”, come la chiama nella dedica, con l’intera famiglia; la poesia e il suo lavoro da portare ad un certo livello degno di essere ricordati. Si può dire che ’Jachéddhu, come lo chiamiamo gli amici, la sua promessa l’ha mantenuta. La chiave di volta, oltre agli affetti famigliari, è stata la poesia alla quale, poeta nativo e raffinato in dialetto e in italiano, si è sempre votato ottenendo risultati di primo piano. Per quanto riguarda il lavoro, dall’umile mestiere di assuntore nel servizio ferroviario, è andato in pensione col grado di Capo Stazione Superiore. Non è cosa di poco conto. È quello a cui aspirava. Ma cosa inventarsi, una volta raggiunta la vetta del mestiere, per non lasciarlo dimenticare questo suo lavoro, per portarlo in uno statuto un po’ meno fragile dell’oralità? Scriverci sopra un poemetto, lui che la metrica, tanto quella sarda che quella italiana la conosce molto bene? No, scrivere meglio qualcosa da dire in prosa, legando la sua vicenda personale alle contingenze storiche che negli anni ha attraversato, o anche solamente appreso dalle sue continue letture classiche e moderne che hanno abbondantemente compensato la mancanza di studi regolari. Ed ecco, che gli germoglia nella mente e gli fiorisce tra le mani un romanzo. Non del tutto inventato, né tutto autobiografico, o ridotto al livello di cronaca. Nasce così, tardivo ma vitale, questo figlio-libro che lui intitola “I sentimenti e le loro sfumature”, appena pubblicato da Taphros, nella collana Schegge di Fantasia.
Un romanzo storico che nella nota d’apertura Giovanni Chessa, primo lettore del libro ancora non pubblicato, considera “identitario anche se scritto in italiano”; e che Andrea Columbano nella sua presentazione chiama un’opera in cui “emergono inserti storici degli avvenimenti svoltisi in Sardegna e altrove, per rendersi conto, chi legge, quando e dove le vicende sono accadute”. L’autore considera il suo romanzo ”un Fai da te alla buona, […]realizzato dopo aver […] passato in rassegna i componenti di varie famiglie, sottolineando i relativi sentimenti di segno positivo o negativo e tutte le loro sfumature”. Queste asserzioni semplici e allo stesso tempo convinte giustificano l’intitolazione del libro e ne rafforzano, in un diverso versante espressivo, la sua identità storica. La buona storia si avvale della possibilità di “leggere”, con giusta verità, ciò che accade, ed è accaduto nel mondo. Ma per non essere semplice censimento di fatti deve pur entrare nell’animo, nel pensiero e nel carattere dell’uomo senza trascurare certe sfumature che sono la rappresentazione più diretta di ciò che avviene nelle diverse pieghe della vita sociale del tempo, riesumato con la scrittura, salvato dal pozzo senza fondo dell’oblio.
La storia vuole conoscere l’uomo, denotarlo, ma soprattutto connotarlo, conoscere e “dire” i suoi connotati, tutti miracolosamente diversi da persona a persona, da cosa a cosa. Questo ‘Jachéddu lo sa; e proprio su questo ha realizzato la costruzione storica di se stesso che gli stava tanto a cuore, riuscendo a dare vita ad un libro che sarà difficile dimenticare. Non mancano in quest’opera, citazioni colte, figure esemplari che hanno arricchito, o comunque segnato, la cultura universale, luoghi geografici, date sicure, diatribe dialogiche e liti fra contendenti, soprusi dei potenti contro di chi non poteva difendere, tradimenti. Emergono figure deprecabili come il bellissimo seduttore don ’Jubanne, sacerdote foradinoi, e scene orripilanti come la fine di Toiedda. Ma questa è la storia. Nelle pagine del romanzo scorre e s’innerva, comunque, anche l’animo buono dell’autore, timorato di Dio. Non ci sono le solite scene di sesso, che oggi vanno per la maggiore in libri che sembrano scritti più per il “compiacimento” egoistico dello scrittore che per il sano godimento del lettore.
Il libro,159 pagine, 10 euro di prezzo, è suddiviso in cinque capitoletti: I sentimenti e le loro sfumature; L’altro io di ’Jiubanne Cartzone; la banda dei sette fratelli (racconto di sette fratelli banditi che da Nuragùmini arrivano in Gallura, finiscono in Corsica e alla fine tornano in Gallura felici e redenti); Il muto di Gallura o la faida di Aggius (rilettura del Muto di Gallura, di Enrico Costa); Flavio e Aurora, (Una storia d’amore in una Gallura ottocentesca, che rischia l’incesto inconsapevole, ma destinata ad una conclusione felice). E si chiude con una Autobiografia: una specie di crogiolo di squisita bellezza in cui si fondono tensione poetica di chiaro valore umano e ispezione ecologico-naturalistico del “piccolo mondo”.
Nella prima parte Giacomo Murrighili racconta la sua vita, il suo grande amore per la sposa, le sue malattie, le sue “belle cose” che la vita riserva un po’ a tutti. Di seguito parla degli animali del suo orto, soprattutto quelli piccoli e meno protetti. È un rospo che sembra aprire le danze fra gli altri abitanti delle erbe e delle “brevi acque”, le api, gli uccelli, le bisce. Oltre ad aprire le danze, il tozzo anfibio ispira il poeta che lo umanizza fino a fargli raggiungere una incarnazione di simbolo. Anche l’uomo perde di valore al suo confronto. Come del resto al confronto degli altri abitatori dell’orto, compresa “la sensitiva”, l’erba che vive di una vita finta imitando quella vera. Che infondo è la stessa cosa!
Parlavo di una poesia umana, nel crogiolo: e qui si capisce che la vera vocazione di ‘Jachèddu, anche se bravo romanziere, è la poesia. Quella linfa della pianta sensitiva che gli scorre nelle vene e che gli ha permesso di scrivere il libro “Poesia e poesie”: un caposaldo della poesia gallurese, da tutti apprezzata compreso il grande Manlio Brigaglia. Complimenti Giacomo Murrighili. Ricordati che 90 anni non sono pochi, ma per i poeti non sono mai troppi.
Franco Fresi