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Lina Aresu e la storia del suo antenato missionario

  “Cronaca di un caso atroce di Amok registrato nell'aprile 1645 nelle Filippine” (L’Impronta,  Sant’Olcese, Genova, pagine 84, 2014)  è uno dei più recenti libri di Lina Aresu,  studiosa prolifica (ha pubblicato finora una cinquantina di volumi su argomenti  storici e letterari relativi anche – ma non solo –  alla Sardegna), nata a Nuoro (però con infanzia e adolescenza tra Jerzu e Lanusei), da decenni trasferita a Genova: qui  ha compiuto  gli studi universitari ed ha insegnato filosofia per più di quarant'anni appassionandosi in particolare alle ricerche di antropologia culturale.

Lina Aresu ha indagato la figura di un missionario di Tertenìa (il vero paese natale è stato appurato nel 1992 dal padre maurino Vincenzo Mario Cannas), suo antico antenato col suo stesso cognome: si tratta di Juan Domingo Aresu, battezzato a Tertenìa il 6 febbraio 1605.  La nostra studiosa precisa che è vero che «la fama del martire Aresu, pur fra errori e dimenticanze, si è tramandata nei repertori ecclesiastici come in quello di Damiano Filia (“Storia della Chiesa sarda”, Cagliari, 1937) ma in esso viene ripetuto l’errore di Pasquale Tola, di Pietro Meloni-Satta e di Alfonso Casu, che tutti attribuiscono a padre Juan Domingo la cittadinanza di Arcidano, nella Diocesi di Isili».

Anche io ho trovato nelle ricerche relative al mio paese di origine, Ploaghe, in provincia di Sassari, al quale ho dedicato diversi volumi (uno, dal titolo “Memorie su Ploaghe e Logudoro”, da poco pubblicato a Pavia –   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. – contiene proprio informazioni su eroici missionari nativi del luogo), notizie su religiosi “indipetae” (cioè desiderosi  di andare missionari nelle Indie orientali o occidentali) e mi è sembrato giusto far conoscere ai ploaghesi questi misconosciuti personaggi, loro lontani nel tempo “compaesani”, divulgando i risultati conoscitivi raggiunti dagli storici professionisti, usi a disseppellire, leggere e trascrivere le carte d’archivio.  

 

Se tra questi missionari miei antichi “compaesani” ne avessi  trovato qualcuno col mio  stesso cognome, è molto probabile che mi sarei fatto coinvolgere in una specifica indagine volta a recuperare eventuale documentazione  in grado di  favorire la ricostruzione  della biografia di questo ipotetico personaggio, sicuramente vocatosi a un compito  pastorale eccezionalmente impegnativo e rischioso e quindi degno di essere  conosciuto e valorizzato  per quanto possibile. Ma l’avrei fatto secondo schemi tradizionali.

Ecco come invece ha operato Lina Aresu. La nostra studiosa non si è limitata a darci  tutte le notizie genealogiche che documentano l’origine in Navarra (zona settentrionale della Spagna) del cognome Areso e la sua diffusione-trasformazione in Ogliastra e  in Sardegna con la u finale e ad illustrarci il clima religioso e culturale dei luoghi e del tempo in cui visse Juan Domingo.

La fine atroce subìta dal gesuita terteniese il 10 aprile 1645 (quindi quando aveva 40 anni di età) nella chiesa di Cabalian, in un’isola del Visayan Sea filippino, ha spinto la nostra studiosa a chiedersi quale può essere stato il movente della brutale violenza dell’indigeno, che «infierì con ripetuti colpi di lancia alle spalle del missionario mentre questi pregava inginocchiato ai piedi della croce».

Quasi sicuramente, «il filippino aveva occultato le condizioni della madre moribonda, in modo da impedire a padre Domingo la somministrazione dell’estrema unzione e ne aveva anche occultato la morte per impedire alla comunità dei fedeli di Cabalian di fare i funerali cattolici alla donna convertita» ma alla Aresu preme affermare che padre Domingo non è stato ucciso né da selvaggi né da pirati ma da un assassino solo, «un forsennato che ad un esame più attento appare colpito da un attacco di furia omicida che si chiama “Amok”, studiato dagli antropologi presso diverse popolazioni, fra cui i Malesi».

Ecco quindi che la Aresu ha esplorato anche questo spazio antropologico-culturale, in cui – come sappiamo dalle sue precedenti opere –  si muove con sicurezza e competenza.

Chi scorre l’ampia “Bibliografia ragionata” che chiude questo volume,  potrà conoscere  quanti altri fondali storico-culturali siano stati scandagliati dalla Aresu, a testimonianza di una   poliedricità di interessi nessuno dei quali è affetto da volatilità. È questo un termine economico-finanziario col quale si definisce «il grado di variazione dei prezzi nel tempo di una variabile macroeconomica, di un titolo quotato o di un indice». Io, ben volentieri, sulla base della suggestione di quei due termini “titoli” e “indice” non posso rinunciare alla tentazione di concludere che nella Borsa (molto capiente) di Lina Aresu, così come i Titoli e Indici dei suoi precedenti oltre quaranta volumi, anche questo suo  cinquantesimo  libro non perderà valore nel tempo.

Paolo Pulina

 

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