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Poesie in Sardo

Ironia e buon senso nella poesia di Antoni Cubeddu

 Molteplici sono i motivi per cui Ozieri può ben essere considerata la ‘capitale’ della poesia sarda. E’, innanzitutto, il centro di maggior rilievo del Logudoro, zona della Sardegna in cui si parla una delle due principali varianti della lingua sarda utilizzata dalla grande maggioranza dei più talentuosi e rinomati poeti ‘in limba ’ (quella logudorese, appunto, l’altra è la campidanese). In secondo luogo la città ha dato i natali ad uno stuolo di poeti di eccezionale levatura: la veridicità di una simile affermazione potrebbe essere dimostrata solo citando, tra essi, Giovanni e Antonio Cubeddu, Giuseppe e Agostino Pirastru e Giuseppe e Francesco Morittu, tutti personaggi-artisti di enorme e unanimemente riconosciuta tempra poetica e creativa. I versi di tali poeti sono stati cantati in tempi ormai lontani e la grandezza degli stessi è tale che, è Franco Cocco ad affermarlo, essi forniscono la matrice genetica del canto orale e scritto di tutta la tradizione della poesia dialettale e popolare ozierese. Ulteriore motivo di massima considerazione viene fornito alla città dalla circostanza che Ozieri è sede del fortunatissimo e ineguagliato ‘Premio Ozieri’. Il riconoscimento del valore culturale, artistico e letterario del premio ha varcato persino il Tirreno. Il premio, peraltro, è ormai da decenni tenuto nella considerazione che merita anche dalla cultura c.d. ‘ufficiale’ accademica; Tonino Ledda, inventore del premio nel 1956, ha scritto che “Col premio di poesia e con altre attività ad esso collegate, Ozieri riserva uno spazio preciso al settore culturale; di una cultura legata all’ambiente, con una notevole carica popolare, in cui i protagonisti sono espressione di una società che ha subito e subisce forti condizionamenti esterni, repressioni e disagi, ed è tesa, pur fra contraddizioni, a ricercare e ritrovare in se stessa, nel passato e nel presente, gli elementi essenziali della propria identità”.

Le affermazioni di Ledda risalgono alla metà degli anni Settanta circa ma ci pare mantengano una buona dose di validità e di attualità anche oggi, in tempi, cioè, di grandi e repentine trasformazioni sociali e culturali. A voler considerare la portata e la radicalità con le quali queste ultime spesso si manifestano si potrebbe anzi ragionevolmente pensare che il Premio in questi anni ha visto aumentare notevolmente il proprio potenziale di nuove opportunità.

Tra i poeti ozieresi citati in apertura si distingue Tiu Antoni Cubeddu. Antonio Cubeddu nasce nel 1863 all’interno di una famiglia in cui è presente una robustissima propensione nei confronti della poesia. Il padre Giovanni si fece conoscere per le sue abilità nel campo della poesia satirica, mentre il religioso padre Luca, di cui si dice fosse parente di Tiu Antoni, fu poeta acclamato di grande levatura intellettuale, un poeta, sostiene il Pira, che si colloca a metà strada tra la trasgressione e l’Arcadia sarda. Antonio Cubeddu lavorò a lungo come addetto alle manutenzioni ferroviarie e cantò, richiestissimo in tutte le piazze, praticamente per una vita intera: dopo il periodo di interruzione delle gare poetiche decretato dal fascismo, egli riprese a cantare fino al 1949. Si spense nel Settembre del 1955 a Roma, città dove al seguito della figlia si era trasferito nel 1936 e dove è sepolto nel cimitero del Verano.

 

Nutrì interessi che andavano oltre l’amore per le cose di Sardegna e per la sua lingua d’origine: a tale proposito, lo studioso di cultura sarda recentemente scomparso Leonardo Sole ha scritto che “sul versante costituito dalla cultura sarda come sistema (accettato in toto, ma non supinamente, con superiore distacco e con bonaria comprensione), Cubeddu si mostra particolarmente aperto e sensibile, nel bene e nel male, al sistema più ampio che la contiene, cioè a quella cultura italiana, dalla quale assume, con eccessivo entusiasmo e a volte con scarso spirito critico, i valori cosiddetti nazionali di patriottismo, eroismo in guerra e simili. Lungo questo versante si situa […] la sua straordinaria curiosità per tutti gli aspetti della cultura scritta, al di là della sua scarsa scolarità”. Il ritratto che del Cubeddu traccia l’accademico sassarese appare illuminante e serve a delineare aspetti positivi e limiti insiti nella personalità e nell’indole del poeta logudorese.

Peraltro, Cubeddu è sempre stato considerato dagli studiosi e dai suoi stessi colleghi un punto di riferimento fondamentale per l’arte della poesia ‘a bolu’ a motivo non solo della sua sconfinata maestria ma anche perché egli, in concreto, fu padre fondatore delle gare poetiche pubbliche, la prima delle quali si svolse il 15 Settembre del 1896 nella Piazza Cantareddu di Ozieri. Assoluta fu la dedizione dell’ozierese in direzione del riconoscimento di una maggiore dignità per le gare poetiche e per coloro che vi erano direttamente coinvolti sui palchi delle sagre paesane. L’attaccamento di Cubeddu a questi temi è inequivocabilmente testimoniato dai versi che egli rivolse a un corrispondente del quotidiano fascista ‘L’isola’ di Sassari che era solito scrivere articoli contro le gare poetiche e i ‘cantadores’: “Unu currispundente nostru, sardu,/brivu d’inteligentzia e d’affettos/che chi esserat de s’isula bastardu/sas virtudes classificat difettos/e degradende chena riguardu/sos poeticos sardos intellettos;/criticu responsabile si rendet/de su chi no connoschet ne cumprendet.”

Cubeddu rappresenta l’archetipico modello del poeta estemporaneo sardo: le vicende artistico - esistenziali che lo riguardano sono in parte entrate nel mito come quelle di altri cantadores che hanno vissuto a cavallo tra i due secoli XIX e XX. Testimonianze di vita e versi improvvisati sono stati spesso tramandati oralmente da anziani cultori di poesia sarda classica o da altri poeti e successivamente trascritti. Paolo Pillonca, per esempio, in uno scritto sul poeta di Siligo Gavinu Contini riporta alcune testimonianze poetiche estemporanee che definisce sicure (si tratta di alcuni ‘botta e risposta’ intercorsi in gara tra l’ozierese e lo stesso Contini). Scrive Pillonca:

‘Tra le tante testimonianze incerte, ne scegliamo due sicure, a botta e risposta: una fornita dallo stesso Cubeddu al suo amico Paolino Sarais di Serramanna, l’altra raccontata a me negli ultimi anni Sessanta dal grandissimo Remundu Piras di Villanova Monteleone (1905-1978). Questa è la prima, che figura nel quaderno manoscritto regalato da Antoni Cubeddu a Sarais:

Contini

Lu devo narrer a francu faeddu/ e creo macu chie no mi crede:/ s’uthieresu est d’Elicona erede,/ Apollo in manos l’at postu s’aneddu./ Com’eo so s’erede, e noin Cubeddu:/ a Sìligo s’aneddu dare dede./Niunu a l’aterrare istesit bonu,/ com’eo nde li leo aneddu e tronu./

Cubeddu

Tue puru as masellu tou e bancu/ ue s’onore anzenu istas trincende./ Cale pistas pius e cale mancu/ca a boltas faddis su colpu iscudende/ ma ’oltende in nieddu su biancu,/ cun tintas falsas sa fama tinghende:/ culpa chi cando a domo ti retiras/ no b’as ispiju e si l’as non ti miras.

Quest’altra riguarda la testimonianza di Remundu Piras e si riferisce a uno scambio di ottave improvvisate durante la discussione sulla coppia di contrari nei temi assegnati: la virtu (Cubeddu) e il vizio (Contini):

Cubeddu

Gavinu caru, sa idea jamba/ e gai no faeddes a sa manna/ ca si no marcias pulidu e in gamba/ ti faghes tue etotu sa cundanna./ Erinote andaias tamba-tamba/ e oe ses fichidu che una canna./ Erinote podias rezer pagu/ E oe prite no ses imbreagu?/

Contini

Cando cantas, Cubeddu, s’oju abberi/ e no faeddes gai a s’isfrenada./ Deo, mancari sia furisteri,/ isco sa vida tua iscrabistada/ ca as a muzere tua in Uthieri/ però s’amiga che l’as in Pattada./ Nara, Cubeddu, it’est chi nde conchistas?/ E da su visciu prite no ti nd’istas?’

Angelo Dettori, storico fondatore della rivista S’ischiglia, ricorda tiu Cubeddu in un sonetto: “A man'in chizos, cun trattu gentile/e berritta a insegus assentada/faghiat in su palcu sa pesada/che patriarca antigu, signorile.//Lughind'in ojos, faeddu deghile/li 'essiat de lara a s'iscanzada/e tinniat cun boghe attenoroda/che brunzu armoniosu in campanile.//Fioriat s'ottava in dulche risu/cun suave motivu 'e poesia/in sensos cuncepida a s'improvvisu.”

Ricorda Cubeddu, riferendone, anche Tullio Masala, medico e cultore di poesia sarda legato al poeta ozierese da amicizia sincera e profonda. Egli sostiene che ad emanare un particolare carisma era la stessa figura di Antoni Cubeddu: il busto eretto fasciato nel panciotto verde e il capo altero ricoperto dall’inseparabile ‘berritta’. E’ a ben vedere, quella tracciata dal Masala, la descrizione sommaria di un Cubeddu che anche noi, in un certo senso, conosciamo per averlo visto nella forse unica fotografia veramente nota che lo ritrae: compostezza e tranquilla fierezza patriarcale, quelle che notiamo nella posa del poeta logudorese, che sembrano rivelare una dirittura morale e doti di saggezza inusitate. Conosceva la famiglia, continua Masala, e ne esaltava le nobili origini, lodava i tempi antichi propugnando la validità dei vecchi valori spirituali già allora in progressivo decadimento. E prosegue affermando che il poeta del Logudoro era un uomo semplice, garbato ma molto arguto, e teneva la conversazione sul piano della modestia e nei limiti delle sue cognizioni; le sue osservazioni erano dense della saggezza derivante dalla sua lunga esperienza di vita e conoscenza profonda dell’animo umano.

Cosi Cubeddu, in occasione di una gara, si rivolgeva al suo collega Barore Tuccone: “Biadu a tie chi ses arrividu/a imparare totu e totu ischire,/deo non bi so potidu arrivire/pro ch'innanti ‘e te sia naschìdu;/mira chi medas boltas nd’appo ‘idu/morrer a sos chent’annos isparire;/nende: non sento ‘e morrer in cust’ora/ma sento chi no isco nudd’ancora.”

E ancora, in una ulteriore circostanza, allo stesso Tuccone: “Pro chi non sias fatzile isbagliende/pessa meda e faedda reguladu:/pònemi mente e istudia cagliadu/e impara a cagliare arrejonende;/ca si ti leas troppu presse nende/su chi prima ‘e narrer no as pessadu,/suggettu ses a ruer in impicios/e che la finis nelzende pasticios.”

Ironia, buon senso e una bonaria intenzione ‘pedagogica’, ci par di cogliere in questi pochi versi. Sono tra gli elementi portanti di una personalissima filosofia pratica, quella che il Cubeddu profuse in tante occasioni nell’intera sua esistenza di poeta estemporaneo. 

Giovanni Graziano Manca

 

 

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