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“Zente de ‘idda mia” di Salvatore Murgia Niola

 La pregevole vena e abilità poetica di Salvatore Murgia Niola – dopo aver dato alle stampe, tra gli anni 2001 e 2012, tre raccolte di grande maturità (Frinas, Bisos e isperas, Umbras e lughes) – ha pubblicato un poema originale in otadas, per le edizioni della Grafica del Parteolla, titolato Zente de ‘idda mia – Macumere.

 

L’opera, del ferace e geniale poeta marghinese, innalza un ponte ideale tra memorie personali e storia recente della “sua” Macomer; sviluppando, così, una vivace  biografia della comunità e narrazione collettiva di particolare rilevanza antropologica-culturale.

Il poema, che rappresenta un percorso di ricostruzione-rivisitazione sociale e di trasmissione intergenerazionale, rielabora liricamente tanti piccoli e grandi eventi locali. I legami e i ricordi, trattati dal poeta, sono interpretati in un paesaggio di memorie che restituiscono un interessante quadro socio-economico e politico del territorio e una significativa valorizzazione della ricchezza identitaria e tradizionale della comunità di Macomer.

Dunque, in tempi di contatti sempre più virtuali e indefiniti, la poesia di Murgia Niola alimenta un percorso a ritroso ed attuale e “pennella” versi per un realistico ritratto di “conoscenza” con i volti e  le storie della ricca e laboriosa umanità macomerese.

Impreziosiscono ulteriormente il volume gli scritti introduttivi di Salvatore Tola e Sandro Biccai, le molteplici immagini fotografiche d’epoca e la finale antologia di otadas a bolu dello stesso Salvatore Murgia Niola, che documentano i numerosi confronti estemporanei con i massimi poeti della tradizione sarda; dimostrando una rara maestria, e un perfetto musicale endecasillabo, anche nelle disputas con gli improvvisatori Antoni Pazzola, Mariu Masala, Pepe Sozu, Bernardu Zizi e tanti altri.

Di seguito, proponiamo alla lettura s’otada-incipit del poema, in cui l’autore introduce il tema e definisce il filo conduttore che alimenterà tutto l’universo poetico-narrativo di Zente de ‘idda mia.

Innanti chi mich’ande a s’ater’ala,

si m’azuat sa Dea poesia,

de ‘ogni ratza ‘e zente ‘e ‘idda mia

giusta nde cherzo fagher un’iscala,

siat de sa ch’est bona e sa ch’est mala,

che chi de paghe unu zuighe sia.

Sena che nde leare ne nde crèschere

craru che-i su sole a primu arbeschere.

 

Cristoforo Puddu

 

 

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