Si è appena concluso il VI Congresso della FASI, l’organizzazione che riunisce i circoli degli emigrati sardi in Italia e che rappresenta la popolosa comunità sarda che risiede nella Penisola, e quindi si possono fare alcune valutazioni e alcune considerazioni.
In primo luogo va sottolineata e apprezzata la decisione di svolgere l’assemblea congressuale in Sardegna, anziché, come sarebbe stato normale, in una qualche località del Continente. E’ stato un modo di dire che gli emigrati sardi, tutti, anche quelli che vivono lontano dall’Isola, si sentono e vogliono essere considerati sardi come i residenti.
Come va rimarcato e apprezzato lo slogan scelto per questo Congresso: “La rete degli emigrati sardi patrimonio dell’Isola. Solidarietà, cultura e progettualità: risorse per un nuovo sviluppo”. E numerosi interventi nel dibattito hanno confermato la disponibilità dei circoli sardi a un confronto per definire con le istituzioni della Sardegna un percorso nuovo per mettere la rete dei circoli – un patrimonio di cui nessun’altra regione dispone – al servizio della loro terra d’origine, puntando su solidarietà, cultura, promozione turistica e delle risorse enogastronomiche dell’Isola.
Ma sicuramente il dato più importante e significativo è che dopo cinque anni è stato possibile assistere a un confronto democratico. E questo fatto - che dovrebbe essere naturale per la vita di un organismo associativo, e che invece per motivi tecnico-burocratici non lo è stato – ha ridato vitalità e rinnovato energie a tutto il movimento associativo.
Questo congresso si è svolto con due anni di ritardo rispetto alla scadenza naturale, ma quelli di altre federazioni attendono da molto più tempo. Se non c’è confronto non c’è partecipazione e se non c’è partecipazione e manca la democrazia le associazioni sono destinate a languire e a perdere la ragion stessa di esistere.
Avendo seguito tutti i congressi dei circoli degli emigrati sardi in Italia, da quando la loro organizzazione si chiamava Lega, e poi quando è diventata Federazione, mi vengono spontanee alcune considerazioni.
Innanzitutto ho trovato stridente il fatto che il presidente della Regione, il presidente di tutti i sardi, non abbia trovato un momento di tempo per salutare i rappresentanti della comunità sarda che vive al di là del mare. Tanto più che il Congresso si svolgeva in Sardegna. Ho cercato di fare memoria e mi sono venuti in mente presidenti come Mario Melis, che affrontavano lunghi e impegnativi viaggi pur di non mancare a eventi come questo.
E’ vero che sono intervenuti altri importanti assessori. Ma il vuoto lasciato dall’assenza del presidente resta.
Solo il predecessore dell’attuale presidente aveva dimostrato lo stesso disinteresse per l’emigrazione. I tempi evidentemente sono cambiati.
Ma mi ha lasciato perplesso anche il fatto che al tavolo della presidenza non ci fosse l’assessore del Lavoro, che per legge è l’interlocutore istituzionale delle organizzazioni degli emigrati. Il primo giorno l’assessora Mura ha seguito la relazione della presidente Serafina Mascia e la mattina successiva ha fatto il suo intervento, onesto ed equilibrato, spiegando cosa stava facendo il suo assessorato per rispondere alle istanze degli emigrati. Poi, a seguire i lavori, ha lasciato un funzionario, quasi che si dovessero dare agli emigrati risposte burocratiche e non politiche.
In altri tempi gli assessori seguivano i dibattiti congressuali dall’inizio alla fine e concludevano i lavori rispondendo alle critiche e alla proposte sulle principali questioni sul tappeto. In quel modo si definiva un percorso e si costruiva una politica se non condivisa almeno mediata dal confronto.
Che la rete dei circoli sardi rappresenti un patrimonio lo hanno confermato i messaggi fatti pervenire dal presidente della Repubblica, dal Capo del Governo, da importanti personalità. Il fatto che alla giornata conclusiva sia intervenuto il Sottosegretario alla Giustizia è stata una sorpresa, ma ancora maggiore è stata la sorpresa per il fatto che non si è trattato di un saluto di circostanza, ma che abbia affrontato uno dei nodi più importanti per gli emigrati: il problema dei trasporti. E lo ha fatto con competenza e puntualità.
Il dibattito è stato ricco e articolato non sono mancati i toni polemici e le critiche anche infondate, così come non sono mancate le richieste assunte e le promesse illusorie e persino qualche sfumatura populista, e non poteva essere diversamente, ma per fortuna ci sono state soprattutto proposte concrete e la disponibilità al confronto.
Gli emigrati non chiedono solo risorse, vogliono soprattutto più attenzione e vogliono sapere che cosa vogliono fare le istituzioni.
Perché i circoli sardi – come è stato universalmente riconosciuto – hanno ancora una funzione da svolgere, diversa da quella del passato ma ugualmente importante per contribuire allo sviluppo della Sardegna e rinsaldare il legame con la terra d’origine.