Questo piatto, ricorda la cucina antica dei contadini di quando rientravano a casa, dopo il lungo lavoro nei campi e si rifocillavano con una succulenta zuppa di ceci che gli abitanti di San Gavino Monreale in provincia di Cagliari amano chiamare cixiri bell’a coi ceci teneri da cuocere. Prevalentemente preparata nei mesi freddi in modo da riscaldare lo stomaco, ma anche l’anima. Diverse sono le ricette, fra le tante quella cucinata con il finocchietto selvatico e il guanciale è una delle più apprezzate e se servita con fette di pane tipo civraxiu di Sanluri abbrustolite profumate con dell’aglio, ne fanno un piatto gustoso e succulento.
Ingredienti:
g 400 di ceci di San Gavino, 4 pomodori secchi, una cipolla rossa della Marmilla, g 200 di guanciale (grandua), 2 spicchi d'aglio, 1 foglia di lauro, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 ciuffo di finocchietto selvatico, ciuffi di rosmarino, zafferano San Gavino, pane raffermo tipo civraxiu di Sanluri, pecorino sardo, vino bianco secco, olio extravergine d’oliva, bicarbonato, sale e pepe di mulinello q.b.
Preparazione:
la sera prima poni ad ammollare i ceci in acqua fredda con un cucchiaino di bicarbonato. L’indomani, lavali e dopo averli scolati tuffali in una pentola di terracotta olla, nella quale avrai messo abbastanza acqua a coprire i legumi, aggiungi la foglia di lauro, uno spicchio d’aglio, il finocchietto, un filo d’olio e avvia la cottura per un‘ora a fiamma moderata. Intanto prepara un soffritto, tritando finemente la cipolla con i pomodori secchi ben dissalati, il prezzemolo, il guanciale ridotto a poltiglia e il ricavato, fallo rosolare in un recipiente insieme a un giro d’olio, poi spruzzalo con poco vino, lascialo evaporare e dopo cinque minuti versa l’intingolo dentro al recipiente dei ceci. Mescola bene la zuppa e quando mancano cinque minuti all’ora indicata, regola il sapore si sale, impreziosiscilo con un’idea di zafferano e una generosa macinata di pepe. Terminata questa operazione, controlla la cottura dei ceci che devono risultare teneri ma non sfatti, quindi allontana il recipiente dal fuoco e lasciali riposare per cinque minuti prima di servili dentro a delle scodelle, insieme a fette di pane abbrustolite e strofinate con l’aglio rimasto, un filo d’olio e un ciuffo di rosmarino. A piacere puoi completare la minestra con una grattugiata di pecorino.
Vino consigliato rosato: Arborea Sangiovese, dal sapore asciutto, morbido, fresco e aromatico.
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Ministroni di fasgiolu a cjucchéddha
Cjucchèddha o a gioghedda (da lumaca piccolina sarda), sono dei fagioli simili ai borlotti più comuni, che venivano coltivati da contadini in piccoli appezzamenti di terreno o negli orti attigui alle proprie abitazioni. A causa della carestia alimentare avvenuta in passato, sono stati fonte di sostentamento per numerosi nuclei familiari di Castelsardo in provincia di Sassari. I contadini locali, nella prima metà del secolo scorso, per poter variare le abitudini alimentari, scambiavano questi fagioli a parità di peso con il pescato del giorno al mercato del pesce. Grazie a queste laboriose persone, oggi si valorizza, si tutela la biodiversità vegetale e l’ambiente (salvaguardia e protezione del frutto di milioni di anni di evoluzione ovvero la ricchezza delle forme viventi), permettendo così di continuare la coltivazione dei fagioli cjucchéddha, tanto da ottenere una produzione annuale se pur modesta di circa tre quintali. Non è possibile comunque chiamare questa varietà di legumi prodotto di nicchia, in quanto l’intero raccolto è riservato ad uso e consumo solo di chi li coltiva.
Ingredienti:
2 cipolle di sa Zeppara (territorio delle colline della Marmilla), 1 porro, 2 patate, g 200 di guanciale (grandua), 1 cavolo verza di g 600 circa, un mazzo di finocchietto selvatico, un mazzetto di rosmarino, g 600 di fagioli tipo a gioghedda o a ciucchéddha di Castelsardo (oppure di fagioli dall’occhio, in sardo naseddu o brenti niedda, tradotto in italiano fagiolo a pancia nera), 2 patate, 2 spicchi d’aglio, 1 foglia di lauro, vino bianco secco, pecorino grattugiato, pane raffermo tipo civraxiu, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.
Preparazione:
la sera prima, poni ad ammollare i fagioli in abbondante acqua fredda. Il giorno dopo, falli cuocere insieme al lauro in una marmitta con la stessa acqua d’ammollo per tre quarti d’ora. Nel mentre, versa il guanciale ridotto a poltiglia con un coltello trinciante e un generoso giro d’olio dentro a un capace recipiente di terracotta dai bordi alti olla, dentro al quale farai rosolare le patate grattugiate con le cipolle, le verze, il finocchietto, il porro, uno spicchio d’aglio, il tutto tritato non troppo finemente. Passati cinque minuti, bagna il soffritto con mezzo bicchiere di vino; quando evaporato aggiungi i fagioli con il suo brodo e prosegui la cottura per altri tre quarti d’ora circa. Regola il sapore di sale e impreziosiscilo con una macinata di pepe, quindi controlla la cottura dei fagioli che devono risultare teneri ma non sfatti. Una volta cotti servi il ministroni di fasgiolu a cjucchéddha dentro a delle ciotole di terracotta, insieme a fette di pane abbrustolite e strofinate con l’aglio rimasto, una spolverata di pecorino, un ulteriore macinata di pepe, un piccolo rametto di rosmarino e un filo d’olio.
Vino consigliato: Mandrolisai rosso, dal sapore asciutto sapido con retrogusto amarognolo, armonico e tipico.