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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Febbraio 2018

 Meraviglias de Laconi

Le frittelle di carnevale risalgono alle “frictilias” dell’antica Roma, fritte nella sugna e irrorate con miele caldo in occasione del periodo carnevalesco. Facendo un giro per l’Italia noteremo che le frittelle assumono parecchi nomi diversi in base alla preparazione e alla regione. Per esempio in Sardegna le chiamano “chiacchiere”, - meraviglias - in dialetto e si differenziano  dalle altre per la colata di miele amaro subito dopo averle fritte, poi spolverate con zucchero al velo, scorze d’agrumi  non trattate grattugiate e sono  tipiche di Laconi in provincia di Nuoro. Una vera libidine consumate insieme ad un calice di moscato dolce  - muscadeddu - di Sardegna.

 

Proseguendo il giro, sempre parlando di chiacchiere le troviamo anche nel Lazio, in Sicilia, in Abruzzo, in Campania, sempre in Campania in alcune zone si chiamano è “pampuglie”. Sempre chiacchiere anche in Umbria, Basilicata, Puglia, Emilia e Toscana. Rimanendo in Toscana a Viareggio, li chiamano “cenci”, in Liguria troviamo le “bugie”, così come in Piemonte. In  Abruzzo ci sono anche le “cioffe”, mentre i  “cróstoli o gròstoi o grustal”, “ga’lani o sosole” li troviamo in Veneto, Trentino e Friuli. Nel Molise troviamo i “cunchiell' o qunchiell”, in Emilia i “rosoni”, “intrigoni”, “lasagne”, “sprelle o sfrappole”, “fiocchetti”, “galarane”, “saltasù”. Troviamo ancora le “frappe” pure in Umbria, nel Lazio e nelle Marche. Sempre nelle Marche in alcune zone le “sfrappe”. Ancora in Piemonte “risòle”, “gale o gali” con le “gasse” dell’alessandrino”. “Manzole”, “lattughe o latǖghe” in Lombardia. Tanti ancora sono i nomi  dialettali di questi dolci carnevaleschi nelle regioni italiane, sta di fatto che, qualunque sia il nome delle frittelle,  che siano  ricoperte di zucchero al velo, di miele o quant’altro sono una vera delizia per il palato dei più golosi. 

Ingredientis:

g 500 di farina manitoba, g 85 di zucchero comune, 4 uova intere più un tuorlo, g 50 di strutto, g 250 di miele amaro di corbezzolo, la scorza di 1 arancia e 1 limone non trattati grattugiate, un bicchierino di limoncello, olio per di arachidi friggere, zucchero al velo, sale  q.b.

Approntadura:

prima di tutto setaccia la farina, poi disponila a fontana su di una spianatoia, quindi tuffaci al  centro le uova sgusciate più il tuorlo insieme a una presa di sale, lo zucchero, lo strutto ammorbidito a temperatura ambiente, la metà delle scorze di agrumi grattugiate, il limoncello e poca acqua tiepida, qualora fosse necessaria per ottenere un impasto privo di grumi e omogeneo.  Fatto, avvolgi il composto in un canovaccio e lascialo riposare in luogo fresco un’oretta. Trascorso il tempo, stendi la pasta a sfoglie sottili e con l’aiuto di una rotella dentata, ritaglia tanti rombi o strisce quante ne consente la pasta, ritagli compresi e, man mano che le prepari, friggile poche alla volta in abbondante olio bollente. Appena le - meraviglias -risulteranno dorate da ambo le parti, scolale su dei fogli di carta assorbente da cucina a perde il grasso in esubero. A questo punto, irrorale con il miele fatto sciogliere a bagnomaria insieme alle restanti scorze di agrumi, infine cospargile con abbondante zucchero al velo e servile.

Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.

 

***

 Ladixeddas o mustazzolus de Oristanis

 Non c’è occasione, non c’è sagra o tanto meno festa paesana in Sardegna in cui possano mancare i mostaccioli - mustazzolus – ladixeddas-. Si trovano nelle bancarelle assieme a enormi blocchi di torroni e altri dolci della tradizione isolana. I mostaccioli sono un dolce di origini antichissime, di cui parla perfino Cicerone e parecchi cuochi come Vincenzo Corrado, Cristoforo Messisbugo e Bartolomeo Scappi per elencarne alcuni dei più grandi del passato. Oggi, nonostante in Italia siano molte le ricette inerenti ai dolci mostaccioli, quella della Sardegna pare sia la più accreditata a rivendicarne la paternità. Il mostacciolo (mustazzollu in sardo), dal latino “mustaceum” (dolce citato anche da Giovenale e da Cicerone) è l’antenata forma di un pane schiacciato simile a una focaccetta e dato che i pani erano di diversi formati (per riconoscerli si imprimeva sopra delle figure), preparati con farine diverse e probabilmente con cotture differenti, come quella dei “panes mustacei” riportati nel De Agri Coltura di Marco Porcio Catone, detto il Censore (et ubi defixeris, lauri folia sublus addito cum coques), detti anche “pani lauereati”.

Detto questo si suppone che, i mostaccioli erano preparati con farina pregiata di frumento simile a quella attuale, poi avvolti con foglie di lauro e cotti in forno a legna e gli Arvali (in latino “Fratres Arvales”, o "Fratelli Arvàli"), sacerdoti appartenenti a un collegio ecclesiastico arcaico romano, toccandoli con mano li consacravano. Ma tra storia e tradizione, i mostaccioli di Oristano (anche se non c’è certezza, pare siano gli arabi a lasciarci questa sublime dolcezza per via delle spezie e l’alta percentuale di zucchero utilizzato) rigorosamente glassati in superficie, si differenziano da quelli di ogni altra regione d’Italia, per la loro fragranza, per le appassionanti curiosità che la storia ci ha regalato e perché a Oristano non c’è Sartiglia senza vernaccia e mostaccioli.

Ingredientis:

kg 1 di farina tipo 0, g 15 di lievito di  birra, 1 cucchiaino di miele o di malto, kg 1,2 di zucchero comune, 1bel limone giallo non trattato, 1 cucchiaino di polvere di scorze d’agrumi essiccate, una presa di anice stellato in polvere, una presa di chiodi di garofano in polvere e una di cannella, g 25 di strutto suino, g 500 d’acqua, un cucchiaio raso di bicarbonato di sodio, un cucchiaio raso di cannella in polvere, strutto per ungere la teglia e farina per lo spolvero q.b. per la glassa: g 300 di zucchero al  velo, 2/3 albumi d’uova, succo di limone o liquore a piacere, sale q.b.

Approntadura:

disponi a fontana la farina setacciata sul ripiano di una madia o su una spianatoia e al centro tuffaci lo zucchero, il limone grattugiato, la polvere d’agrumi, un pizzico di sale, l’anice stellato, la cannella, i chiodi di garofano, il  bicarbonato e l’acqua tiepida, nella quale avrai fatto stemperare il lievito insieme allo strutto con il miele o il malto e un cucchiaino di zucchero (questo accorgimento serve per agevolare la lievitazione e a rendere la superficie dei mostaccioli leggermente più croccante). Fatto, amalgama insieme  tutti gli ingredienti fino a quando otterrai un composto privo di grumi ed omogeneo, che lascerai riposare coperto in luogo tiepido e privo di correnti d’aria per due giorni interi (l’ideale sarebbe riporre l’impasto dentro al forno  spento). Trascorso questo tempo, rimaneggia l’impasto sul ripiano di lavoro generosamente infarinato e lavoralo accuratamente fin quando risulterà compatto e morbido. Terminata questa operazione, ritaglia un pezzo di pasta e con l’aiuto di un matterello allargala appiattendola nello spessore di sei, sette millimetri, poi ungi con dello strutto più teglie, quindi cospargile abbondantemente di farina, dopodiché con l’apposito stampo a rombo (anch’esso infarinato) ritaglia i mostaccioli, tanti quanti ne consente l’impasto, ritagli compresi (otterrai circa 60 mostaccioli) e man mano che li confezioni, accomodali sulle teglie unte con lo strutto e infarinate distanziandoli. Dopodiché passa i dolci in forno già caldo a 180° per venti minuti, subito dopo sfornali e tienili  da parte. A questo punto prepara la glassa, mescolando insieme lo zucchero al velo con l’albume dentro a un recipiente, poco succo di limone e una cucchiaiata di liquore a piacere. Quanto si sarà formata una crema liscia e malleabile, prendi un pennello, intingilo e delicatamente imbianca a uno a uno i mostaccioli e una volta che la glassa si sarà asciugata, diventerà  bianca. Solo allora i – ladixeddas - saranno pronti per essere serviti o conservati per parecchio tempo dentro a scatole di latta chiuse ermeticamente. Vino consigliato: Vernaccia di Oristano liquoroso, dal sapore fine, sottile, caldo con leggero retrogusto di mandorle amare, asciutto e dolce.

 

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