Cruguxionis de casu cun nuxi manna e ardu leu
Cruguxionis de casu cun nuxi manna e ardu leu - ravioli di pecorino e noci con carciofi e cardi selvatici. Questo raviolo contiene come ripieno lo straordinario pecorino sardo, ottenuto con il latte prodotto dai pastori del caseificio di San Gavino Monreale in provincia di Cagliari (città capitale d’Italia dell’oro rosso, per l’importante produzione di zafferano) e le noci di Aritzo in provincia di Nuoro, al suo interno. Il tutto condito con un succulento ragù di carciofini selvatici - ardu leu -.
In Sardegna, nella cucina casalinga con i carciofini selvatici, in campidanese - cuguzzua o coguzzua - si preparano innumerevoli ricette, tutte figlie della tradizione, della cultura povera contadina e dell’umiltà delle genti. Caratteristiche rimaste inalterate da sempre, che ne salvaguardano gli antichi sapori perduti da tempo e che appaiono “nuovi” alle ultime generazioni. Secondo gli esperti il carciofo è il frutto del cardo selvatico “Cynara cardunculus” dalle foglie folte e spinosissime, già usato come ortaggio commestibile sino dalla preistoria. Ne facevano uso pure gli Egizi, i Romani e anche i Greci, infatti il nome latino deriva proprio dal greco “Kinara”. Intorno all’anno Mille, con l’invasione dei Saraceni, in Campania e più precisamente nel Napoletano, iniziarono ad addomesticare la coltivazione del carciofo selvatico, selezionandone le differenti qualità e a diffonderlo in tutto il resto d’Italia. Oggi l’ortaggio è coltivato in particolar modo nelle regioni con clima temperato, ma condensando la maggiore produzione in Sardegna, Puglia, Sicilia, Lazio e Campania. Ciò non toglie che in Sardegna, sia rimasto un angolo di paradiso di terra selvatica, dove si trovano ancora questi deliziosi carciofini, per la gioia dei “gourmet”… buongustai in italiano, - liconagius - in sardo.
Ingredientis:
per la pasta: g 200 g di farina di semola di grano duro sardo, g 200 di farina bianca, 6 tuorli d’uovo più 1 intero, latte e sale q.b., per il ripieno: g 400 di pecorino sardo di San Gavino Monreale, g 200 di ricotta ovina, 1 uovo, zafferano San Gavino, g 250 di gherigli di noce, una presa di noce moscata, sale, pepe q.b., per il condimento: 32 carciofini, g 120 di guanciale sardo (grandua) battuto a coltello, olio extra vergine di oliva, 1 spicchio di aglio, 1 limone non trattato, 1 mazzetto di prezzemolo, brodo vegetale, un mazzetto di timo sardo (armidda), pecorino stagionato, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b.
Approntadura:
disponi su una spianatoia le due farine miscelate, forma un cratere e al centro tuffaci una presa di sale, i tuorli d’uovo più quello intero e tanta acqua quanta ne occorre per ottenere un impasto liscio e malleabile, che terrai coperto in luogo fresco a riposare. Nel mentre, avvalendoti di un mortaio, passa al pestello i gherigli di noce (precedentemente sbollentati, poi spellati) con una presa di sale e poni il ricavato dentro a un recipiente nel quale avrai raccolto la ricotta setacciata, quindi unisci l’uovo, il pecorino tritato, un’idea di zafferano, una grattata di noce moscata, una macinata di pepe, allorché amalgama assieme gli ingredienti e il composto così preparato lo utilizzerai dopo per farcire i – cruguxionis -. Ciò fatto, prepara il condimento nel seguente modo: monda i carciofini ed elimina le foglie esterne più dure prestando parecchia attenzione, onde evitare di pungerti le mani e man mano che li pulisci tuffali in una terrina colma d’acqua acidulata con il succo del limone. Terminata questa delicata operazione, taglia i carciofini a spicchi e falli cuocere dentro a una casseruola assieme a un generoso giro di olio, la poltiglia di guanciale, l’aglio schiacciato, il prezzemolo tritato, un pizzicone di sale, una macinata di pepe, una mestolata di brodo bollente e fai cuocere il sugo dolcemente fino a quando i carciofini risulteranno teneri, bagnando di tanto in tanto l’intingolo con dell’altro brodo bollente, per evitare che si asciughi troppo. Arrivati a questo punto, tira a sfoglie sottili la pasta, su una accomodaci dei mucchietti di ripieno grossi quanto una noce, distanziandoli fra loro; inumidisci i bordi con un pennello intinto in poco latte e subito dopo coprili con un'altra sfoglia. Con la pressione del dorso della mano fai fuoriuscire l’aria e con l’ausilio di una rotella dentata ritaglia i ravioli di sei centimetri per lato (puoi farli anche più grossi o più piccoli, il formato va a gusti) e man mano che li confezioni, allargali su un piano ben infarinato ad asciugare. Una volta che avrai terminato gli ingredienti, lessa i – cruguxionis - in abbondante acqua salata a bollore; come vengono a galla scolali nel recipiente della salsa e padellali velocemente a fuoco allegro, giusto il tempo che occorre per fare insaporire gli ingredienti. Servili immediatamente in piatti individuali con una spolverata di formaggio, una ulteriore macinata di pepe, un filo d’olio e un ciuffo di timo.
Vino consigliato: Arborea Sangiovese, dal sapore asciutto, morbido, fresco e aromatico
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Druccis de Scróccia a sa sestesa
Tante sono le ricette che si preparano in Sardegna e tante di queste hanno origini di altre culture, da quelle genovesi, piemontesi, siciliane a quelle che appartengono al periodo del dominio spagnolo (dal 1479 fino alla morte di Giovanni II di Aragona, IX Re di Sardegna), mantenute fino ai giorni nostri e - is druccis de scroccia, druccis de pasta in cortza, druccis de pasta’e accotza - o “pasta di mandorle in camicia”, pare sia una di quelle ricette. Si tratta di un dolce per l’appunto molto antico e tradizionale da cerimonia della cittadina di Sestu, così come di Quartucciu e Sinnai in provincia di Cagliari. Questa ricetta richiede una particolare lavorazione e viene proposta nella ricorrenza pasquale, in occasione dell’offertorio “offerenda, antiphona ad offerendum”, nelle ordinazioni sacerdotali e nelle cerimonie religiose, quali battesimi, comunioni, cresime e matrimoni. Is druccis de scroccia o drucis de scrocia - (forse il nome deriva da stroscia che in ligure vuol dire spezzare, come dire spezzare un dolce friabile, ma è solo una supposizione). La versione che fa testo è quella dei sestesi, perché in sardo - scrocia o scróccia - scróciu – croxiu – croxu di ou – tega - significa guscio, quindi dato che il dolce si prepara utilizzando degli stampi di legno - is mollus - forme intagliate su degli assi di legno di castagno o ciliegio e per una strana coincidenza, anche i modelli di carta dei calzolai e dei sarti si chiamano - scrocia -. Rari da trovare sul mercato e, chi li possiede li tiene gelosamente come una reliquia, tenendoli ben puliti e a parere delle massaie pasticcere, più gli stampi si usano e più i dolci diventano traslucidi di un bel colore bianco. Is druccis de scróccia -, si presume abbiano preso il nome dal ripieno avvolto dentro a un guscio come se fosse quello di un uovo, da qui per l’appunto il nome - scrocia o scrócia -, perciò, - is drucis de scroccia - che tradotto in italiano significa i dolci nel guscio o in camicia (probabilmente per il fatto che l’involucro di pasta è di un colore bianco candido come una camicia, per l’appunto). Inutile dire che questi superlativi dolci sono introvabili in commercio, ma per fortuna ci sono ancora (poche) maestre dolciaie appassionate che con abile maestria li preparano (solo su ordinazione) ancora come un tempo e, se vi dovesse capitare, di riceverli in occasione di una festa comandata come dono, beh… ritenetevi fortunati, anche se Pasqua viene sempre solo una volta all’anno. Va ricordato che i dolci una volta, non erano inclusi nel menu giornaliero delle famiglie, ma in quelli delle feste o in quelli delle grandi occasioni. Per esempio, personalmente ricordo che quando si festeggiava un matrimonio, la festa avveniva in casa assieme ai parenti più stretti e, prima di servire il pranzo, era usanza fare - su cumbidu - una sorta di aperitivo a base di vernaccia, di malvasia e moscatello - muscadeddu -. A seguire, portate di liquori dolci di fattura casalinga, quali il villacidro, l’anice, l’amaretto e tanti altri ancora per gli amici, oltre agli stessi invitati al pranzo. Chi serviva le portate, manco a dirlo, erano le fanciulle di casa, che con grande impegno si prestavano a eseguire l’insolita mansione. Le portate, oltre che quelle a base di vini e liquori si susseguivano con altre a base di dolci, in primis erano - is druccis de scroccia - amarettus, gueffus – pirichittus - pistoccus de cappa – anicinus - e via discorrendo. I festeggiamenti potevano durare anche parecchi giorni, con menu più o meno sfarzosi, il tutto contornato da buona musica e balli… naturalmente in base alla disponibilità finanziaria.
Ingredientis:
per il ripieno: kg 1 di farina di mandorle (tritate con l’apposita macchinetta), kg 1 di zucchero comune, 4 cucchiai di acqua di fonte, 1 cucchiaio di acqua fior d’arancio, mezzo bicchiere di liquore tipo anice o villacidro bianco, la scorza di un limone giallo non trattato grattugiata, un cucchiaino raso di vanillina. Per la pasta di zucchero: kg 1 di zucchero al velo, 1 cucchiaio di gomma adragante o gomma da draganto (è un addensante vegetale e la trovi nei negozi specializzati in prodotti per pasticceria o in farmacia, proviene dall’Iran che è il maggior produttore al mondo, conosciuta anche con il nome di "gomma da tragacanto" in polvere), una cucchiaiata di acqua fior d’arancio, foglietti di lamina d’oro - s’indoru - per pasticceria q.b.
Approntadura:
un paio di giorni prima, metti ad ammollare la gomma dragante con l’acqua fior d’arancio e lo zucchero al velo. Trascorso questo tempo, poni sul fuoco una pesante pentola d’acciaio e tuffaci all’interno lo zucchero con l’acqua, la vanillina, la scorza del limone, l’acqua fior d’arancio, la farina di mandorle e il liquore preferito; mescola accuratamente il tutto e lascialo asciugare un pochino a fiamma moderata. Fatto, allontana il recipiente dal fuoco e lascia raffreddare il composto. Nel mentre, con la pasta di zucchero prepara una sfoglia sottile, che utilizzerai per foderare lo stampo di legno - su mollu - facendolo aderire delicatamente e uniformemente allo stampo, poi preleva parte dell’impasto di mandorle e zucchero e premilo dolcemente nell’incavo dello stampo, quindi ricoprilo con un altro pezzo di sfoglia di glassa. Terminata questa operazione, prendi lo stampo e rivoltalo attentamente sul piano di lavoro, dopodiché con l’aiuto di una rotella merlata ritaglia il dolce tutt’intorno, evitando gesti maldestri affinché non si laceri. Prosegui in questo modo, fino al termine degli ingredienti. Una volta che i dolci si saranno asciugati, decorali con - s’indoru - lamine o polvere d’oro per alimenti a tua fantasia. Queste decorazioni si utilizzano soprattutto nei dolci di mandorle avvolti nella pasta di zucchero e si trovano sugli scaffali dei negozi specializzati in prodotti per pasticceria.
Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.