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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Ottobre 2018

 Sa caulada o cauladda thattharesa

La Sardegna vanta una tradizione culinaria che si perde nella notte dei tempi e ogni Paese difende le proprie tradizioni, usi e costumi. Per esempio, la cucina tipica sassarese risulta essere alquanto ricca, varia e tradizionalmente legata a quella popolare. Lo conferma il fatto  che gli ingredienti utilizzati sono a base di verdure e di parti meno pregiate degli animali. D'altronde, Sassari  non essendo una città a ridosso  del mare, non detiene un’importante tradizione culinaria a base di pesce, anche se fa uno strappo alla regola l’anguilla, in quanto si pesca nei fiumi e viene cucinata solitamente alla brace, in casseruola con i piselli, marinata e via discorrendo. Uno dei piatti forti, senza ombra di dubbio è la minestra di cavoli - sa caulada o cauladda -. Si tratta di un piatto tipico della cultura contadina sassarese a base di cavolo cappuccio, con l’aggiunta di cotenne e costolette di maiale. Anticamente Sassari era cinta da piccoli appezzamenti di terreno adibiti ad orto e, codesto  fatto ha modificato le abitudini culinarie usuali. Senza dubbio questo ortaggio è stato ed è una delle verdure preferite in assoluto dai “turritani”, tanto da essere soprannominati - tattaresi magnacaula - sassaresi mangiatori di cavoli.  Infatti gli ortolani del luogo da sempre producono oltre ai numerosi ortaggi, i cavoli, le patate e le erbe aromatiche che, se mescolati alle parti meno pregiate del maiale, ne fanno un matrimonio gastronomico unico, ricco e succulento. La cucina tipica sassarese è un tripudio di profumi e di sapori,  ricca di storia, di fascino e molto legata alla tradizione arcaica contadina, trasmessa saldamente da mamme in figlie, che ancora oggi riescono a preparare con passione e abile manualità, costantemente alla ricerca, degli ingredienti  semplici combinati armonicamente in modo perfetto.

Ingredientis:

kg 1 di cavolo capuccio, g 300 grammi di patate, g 200 grammi di cotenna di maiale, g 500 di costine di maiale, 4 piedini di maiale, g 200 di pasta di salsiccia fresca, 2 belle cipolle, 1 gambo di sedano, 2 carote, 1 spicchio d’aglio, 2 foglie di lauro, g 120 di guanciale sardo – grandua - battuto a coltello, g 120 di pecorino stagionato grattugiato, g 200 di fregola sarda tostata, vino  bianco secco,  olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

come prima operazione, monda e pulisci il cavolo, eliminando le foglie esterne più dure danneggiate dalle intemperie e il torsolo, poi lava le foglie e riducile a listarelle. Fatto, lava e pela le patate, quindi tagliale a rondelle sottili e mettile dentro a un recipiente colmo d’acqua. Terminata questa operazione, fiammeggia i piedini e la cotenna in modo da eliminare la peluria residua, allorché tuffali in acqua bollente lasciandoli ammorbidire per venti minuti circa. Trascorso questo tempo, riduci a listarelle la cotenna e accomoda il ricavato dentro a un capace recipiente posto sul fuoco assieme ai piedini, le costine, una cipolla a fette, il lauro, una presa di sale grosso, una macinata di pepe, tanta acqua quanto basta a coprire tutti gli ingredienti e porta a cottura la preparazione. Passato il tempo occorso, scola costine, piedini e cotenna e tienili da parte. Arrivati a questo punto disponi il battuto di guanciale dentro a un  ampio tegame di terracotta - tianu mannu - con la cipolla rimasta tritata con il sedano, le carote, l’aglio schiacciato, la salsiccia, un giro d’olio e una spruzzata di  vino. Evaporato, unisci il cavolo, le patate, l’acqua necessaria a coprire il tutto e prosegui la cottura per circa due ore, dopodiché tuffaci la fregola fregula, le parti di maiale tenute da parte, sale, pepe e appena la pasta è cotta al dente, scodella la minestra dentro a delle ciotole, sulle quali avrai disposto delle fette di pane raffermo abbrustolite, leggermente strofinate con dell’aglio oppure con sfoglie di pane carasau, una spolverata di formaggio, un filo d’olio e un ulteriore macinata di pepe.

Vino consigliato: Cannonau di Sardegna rosso riserva, dal sapore sapido, tipico  e asciutto.

 

***

 

Sas sevadas de Sardigna o savillum a s’antiga

 

 Marco Porcio Catone Tuscolo detto Catone il Censore  (234 a. C. - Roma, 149 a. C.), non era di origini patrizie, ciò nonostante grazie alla sua intelligenza riuscì ben presto a scalare i vertici della Roma Repubblicana, coprendo ruoli importanti. Fu determinato e tenace difensore della tradizione romana, salvaguardandone usi e costumi. Nel suo trattato, “De agri coltura” illustra tutta una serie di accorgimenti su come gestire il bilancio di famiglia, come curare la salute, come invecchiare e come educare le persone ad una sana alimentazione, lasciando un considerevole elenco di ricette di piatti poveri, rigorosamente preparati con i prodotti della terra. Fra le tante, il “savillum”, una sorta di focaccia farcita con formaggio e miele che ricorda molto da vicino le - sebadas o seadas - della Sardegna. La ricetta originale prevedeva: farina, formaggio ovino fresco, miele di castagno e uova, mentre quella moderna varia di poco. A secondo della zona il dolce prende nomi diversi, per esempio nel logudorese si chiamano - sa seàda -, in Campidano – sebadas -, nel nuorese – sebàda -, a Serule - sabàda e seattas o sevadas - nel barbaricino, dove esiste un detto popolare che deriva dal termine dialettale: - séu - sébu – sebum - cioè sego - grasso – lucente, in quanto il dolce per via del ripieno, risulta essere panciuto e lucente per l’impiego dello strutto o in sostituzione l’olio ricavato dal formaggio utilizzato nell’impasto e nella frittura. Un tempo le - sebadas - venivano preparate in occasione della Pasqua o del Natale. Infatti i pastori per tali ricorrenze, lasciavano gli ovili per tornare in  famiglia e lavoravano il latte per preparare il pecorino e ancora fresco (un paio di giorni di maturazione), non appena ottenuto il grado di acidità ottimale lo impiegavano per la preparazione dei dolci.

Ingredientis:

g 500 di semola fina di grano duro sardo, g 80 di strutto suino, g 500 di pecorino fresco, la buccia grattugiata di un limone giallo non trattato, 1 cucchiaino di polvere di bucce d’agrumi essiccate, g 25 di zucchero comune, g 150 di miele di castagno oppure di  corbezzolo o un'altro miele poco dolce. olio extravergine d’oliva o strutto per friggere q.b.

Approntadura:

disponi a fontana la semola dentro a una conca di terracotta - scivedda - e al centro tuffaci lo zucchero, l’acqua calda e pian piano lo strutto. Fatto, amalgama tutti gli ingredienti fino a quando avrai ottenuto un impasto liscio e omogeneo, che lascerai riposare per mezz’ora. Nel mentre, poni il formaggio tritato in un recipiente insieme alla buccia di limone, la polvere d’agrumi (tante famiglie aggiungono al ripieno qualche cucchiaiata di - abba ardente – fil’e ferru – distillato di vinacce e amalgama gli ingredienti quel tanto che basta a formare un impasto malleabile. Terminata questa operazione, con l’aiuto del matterello appiattisci sottilmente la pasta formando dei dischi di dieci – dodici centimetri di diametro (la forma e la grandezza del dolce va a gusti), quindi accomoda parte del ripieno di formaggio al centro di un disco, con un altro coprilo e col dorso della mano e la pressione delle dita sigillali perfettamente,  proseguendo in questo  modo sino al termine degli ingredienti. Arrivati a questo punto in un largo tegame, friggi le - sevadas - poche per volta in abbondante strutto o olio  bollenti e man mano che risulteranno  dorate, scolale su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere il grasso in esubero. Servile immediatamente cosparse con il miele intiepidito.

Vino consigliato: Vernaccia di  Oristano liquoroso ben freddo, dal sapore fine, sottile, caldo con leggero retrogusto di mandorle amare e dolce. 

 

 

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