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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Febbraio 2019

 Is parafrittus o arrodas de carru de crannovalli

A Carnevale ogni scherzo vale. Saturno lo adorava. Il carnevale è stato da sempre identificato in banchetti con gozzoviglie di grassi e fritture dolci o salate di ogni specie e bevute esagerate. Il suo nome infatti deriva da “Carnem levare”, che sta ad indicare inizio di Quaresima. In quel periodo infatti, bisognava astenersi dal mangiare carne o derivati e si iniziava a rispettare il rito dei  precetti. Il Carnevale è una festa che nei momenti di carestia dei secoli scorsi provocava una impressionante approvazione da parte della gente.

L’apice di notorietà venne raggiunto in una lussuriosa festa popolare, ideata per il Carnevale di Bologna del 1279, per festeggiare la vittoria sui ghibellini e a Roma  in quella cinquecentesca della Cuccagna del porco. Famosa perché, per secoli ha avuto come tradizione  “il lancio di cibi” e fra i tanti, quello della porchetta, infatti durante le due feste venivano lanciati sulla folla pezzi di carne di maiale. Ancora oggi nelle sfilate carnevalesche vengono lanciate caramelle, coriandoli, stelle filanti e persino arance, come avviene per la “battaglia delle arance” nello storico Carnevale di Ivrea, risalente al Medioevo. In Italia, il Carnevale è festeggiato con antichi rituali e tradizioni gastronomiche, per esempio le classiche frittelle, che a seconda delle località vengono guarnite con il miele, zucchero semolato,  zucchero al velo o salate. Frittelle che hanno preso nomi differenti in base alle regioni o città, che poi alla fine risultano essere molto simili. Ma per il popolo sardo, il Carnevale,  per quanto strano possa sembrare,  non è una festa qualunque, ma è un avvenimento, un appuntamento atteso ogni anno dagli isolani con intrepida smania, da festeggiare con balli, canti e sfilate di carri allegorici preparati per l’occasione da comitati, associazioni e proloco di ogni paese. In tantissimi luoghi effettivamente sfilano innumerevoli carri, dai temi e soggetti più impensati  ma, pur sempre d’attualità. Il Carnevale in Sardegna comincia con la ricorrenza della festa di Sant’Antonio Abate (notte del 16 e il 17 gennaio) e termina il mercoledì delle ceneri. Le manifestazioni sono condensate nella settimana che va dal martedì al giovedì grasso, settimana ricca di avvenimenti, antiche ricorrenze e tradizionali cerimonie, il tutto all’insegna del divertimento che, con la crisi che stiamo vivendo non guasta di sicuro. Durante le manifestazioni non mancano le opportunità di assaggiare varie golosità, che vanno da quelle dolci a quelle salate, come fave e lardo - fae e l’aldu fini - frittelle - parafrittus - e, fiumi di vino accompagnano tutti, nessuno escluso, in questo inverosimile viaggio. Permettetemi una digressione, che è un mio personale ricordo da bambino: una signora anziana (noi bambini la chiamavamo zia Eleonora - zia Leonora - in dialetto sardo la quale era solita venire a trovarci per chiedere la carità. Mia mamma immancabilmente la faceva accomodare,  le offriva un buon caffè e non solo, le preparava ogni volta un pacchetto contenente pane, uova, pasta, zucchero e gli immancabili dolcetti - pirichittus -, dolci che a casa nostra non mancavano mai. Il caso volle che un giorno, (durante il periodo di Caenevale), - zia Leonora - venne a farci visita e come da abitudine mia mamma la fece accomodare in cucina, siccome stava facendo lievitare - is parifrittus ma anhe parafrittos - parafrissios - o - arrodas de carru - frati fritti, fatti fritti o ruote di carro per via della forma dei dolci, la simpatica  vecchietta si sedette accanto al tavolo e con gesto involontario si appoggiò con i gomiti sulla tovaglia stesa, ignara del fatto che sotto a codesta si trovavano - is paraffrittus - in lievitazione. Inutile dire che la zia ci rimase malissimo, anche se mia mamma con sorriso compiacente non la  rimproverò, in quanto era ovvio che il maldestro incidente non lo aveva fatto di proposito. Sta di fatto che una volta preso il caffè ed omaggiata - zia leonora - con il solito obolo, andò via tutta contenta per le attenzioni ricevute, mia mamma con la scena curiosa ancora davanti ai suoi occhi, dovette così rimpastare i dolci lievitanti e riaccomodarli sul piano di lavoro, in attesa che riglievitassero un‘altra volta per poi friggerli. L’origine de - is parafrittus -, pare sia da ricondurre al fatto che il buco al centro del dolce somiglia alla chierica che hanno in testa i frati, simile a quella dei preti. Inoltre l’originale color crema che si forma tutt’intorno durante la frittura, ricorda il cordone alla cinta del saio dei frati. - is parafrittus - sono un dolce tipico di Carnevale carnevali - carrasciali - carraxali - carrasegai - crannovalli -, che in Sardegna preparano in tale periodo. Sono delle frittelle, che si fanno in modi differenti, ma nonostante questo, in ogni zona, chi più chi meno apporta delle varianti alla ricetta. Alla fine il risultato non cambia e le dolci frittelle sono tutte quante “goduriose”.

Ingredientis:

g 500 di latte fresco di pecora, g 50 di lievito di  birra freschissimo, zucchero comune e miele ai fiori d’arancio di Montevecchio q.b., 5 uova, g 120 di zucchero comune, g 500 di farina bianca, g 500 di farina 0, g 100 di strutto, la scorza grattugiata di un arancia e un limone giallo non trattati, il succo di 2 mandarini non trattati, 1 bicchierino di liquore tipo villacidro, zafferano San Gavino, 1 bustina di vanillina, zucchero comune per cospargere i dolci,  olio d’oliva per friggere, sale q.b.

Approntadura:

come prima operazione, sbriciola il lievito dentro a una ciotola contenente il latte intiepidito insieme a un cucchiaino di zucchero e uno di miele, mescola delicatamente e poni il composto a lievitare in luogo tiepido, fino a quando il liquido sarà diventato gonfio e spugnoso. Nel mentre, lavora le uova con lo zucchero, poi disponi le due farine setacciate a fontana dentro a un capace recipiente di terracotta “conca – concola” - scivèdda - xivedda - e al centro tuffaci il composto di uova e zucchero, lo strutto ammorbidito, una presa di sale, le scorze degli agrumi, più il succo filtrato dell’arancia e dei mandarini, il liquore, un’idea di zafferano, la vanillina ed impasta energicamente il tutto per almeno venti minuti, fino a quando otterrai un impasto privo di grumi e malleabile, che porrai a lievitare coperto dentro al forno spento con la sola luce accesa per tre ore. Passato il tempo, preleva parte della massa lievitata non più grande  di un mandarino, quindi con le mani infarinate e con la pressione dei pollici e degli indici, forma un buco al centro, dopodiché accomoda il dolce su di un piano foderato con una tovaglia ben infarinata, proseguendo in questo modo fino al termine dell’impasto. Ultimata questa operazione, copri con un’altra tovaglia le ruote di pasta, su di essa un plaid di lana e lascia lievitare ancora un ora, evitando le correnti d’aria. Appena sarà trascorso il tempo indicato, con delicatezza prelevale  mettendo un pollice e un indice dentro al buco, allorché tuffale poche alla volta in abbondante olio bollente e aiutandoti con il manico di un mestolo di legno infilato nel buco, fai roteare velocemente le ciambelle in modo da darle la forma di una ruota (per questo motivo, - is  parafrittus - vengono chiamati anche  - arrodas de carru -. Una volta dorate da ambo le parti, scolale su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere il grasso eccedente e subito dopo, cospargi - is parafrittus - con abbondante zucchero. Servili ancora caldi ma, sono buoni anche a temperatura ambiente. 

Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.

***

Opinus o pistoccheddus de Santu Brai

 Il popolo sardo in tutta la sua semplicità, possiede un patrimonio dolciario ineguagliabile, non tanto per gli ingredienti che, bene o  male si utilizzano in tutte le ricette d’Italia ma, per la complessità di lavorazione, alquanto certosina, che solo le abili mani delle massaie pasticcere dell’Isola sono in grado di eseguire. Tanto per citarne uno: - is opinus - oppinus - o - pistoccheddus de Santu Brai - dolcetti di San Biagio, sono golosi dolci che si preparano a Gergei in provincia di Cagliari, ma sono tanti i dolci simili, sia nel nome, sia nelle forme che si preparano in diverse zone della Sardegna. Nel Campidano, ricordano l’impasto del composto dei - pirichittus -, infatti con la pasta si preparano dei cilindri simili a dei grissini, poi si tagliano a tocchetti e si formano delle palline grosse quanto una nocciola, c’è chi le pizzica ad una ad una con le forbici come si fa per - is pirichittus -, quindi si infarinano e si friggono e, si possono cuocere anche in forno. Appena dorate si scolano su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere il grasso in eccesso e, solo allora si tuffano in sa cappa (miscela di zucchero, miele, scorza di limone non trattato grattugiata e acqua fiori d’arancio), in modo che se ne impregnino  bene. Dopo, ancora caldi si prelevano dei dolcetti con le mani inumidite di liquore a piacere e si formano  delle piramidi che somigliano a piccole pigne - opinus - oppinus -, da qui  il nome del dolce. Poi si cospargono con dei confettini di zucchero colorati - tragera - tragea - dragea -, quindi si portano in chiesa perché vengano benedetti e dopo si offrono. In Sardegna la maggior parte delle ricette, sia dolci, sia salate, affondano le radici nella storia, nella tradizione e ognuna ha il suo racconto popolare, come per l’appunto - is opinus o pistoccheddus de Santu Brai - Santu Biasu - Santu Biassu o Santu Brasi -.  In questo caso si chiede al Santo uno speciale riguardo contro ogni sorta di disgrazia e, con particolare attenzione alle persone soggette al mal di gola. La tradizione, peraltro molto antica, comincia la sera della vigilia nello spazio consacrato davanti all’entrata principale della chiesa, i bambini detti piccoli obrieri - is obrieddus -, preparano la catasta con la legna e le fascine odorose approvvigionate durante la settima. Quando le campane iniziano a suonare, si accende il falò, così tutte le persone presenti si avvicinano intorno al fuoco e trasportati dal calore delle fiamme e dall’atmosfera, inizia lo spettacolo, fatto di musica, canti caratteristi e balli. Durante la festa, gli organizzatori servono - is pistocchedus - e vino bianco dolce in abbondanza. Mentre accade tutto questo, nelle case del paese durante la preparazione  de - su sessineddu -, si vivono momenti eccitanti nell’apprestarsi a terminare - is cordonittus -, un mosaico di frutta, pane e fiori, al quale venivano appese collane di fichi secchi - figu siccada -, salsicce - sartizzas -, pezzi di guanciale - grandua - e un rosario confezionato a mano assemblando piccoli noccioli di pasta di pane, precedentemente fatti tostare in forno. Il tutto intelaiato su delle foglie di “sessini” (cipero - cyperus longus - scirpus aquaticus, pianta palustre della flora del Sinis), le quali venivano usate anche per realizzare prodotti artigianali locali tipo cesti - cadinus - scatteddus - coffunus - spottas - e quant’altro. Il mosaico infine veniva abbellito con mazzetti di narcisi e per ultimo si completava la composizione con - su cordonittu -, una sorta di treccia di fili di lana colorati e attorcigliati, da portare successivamente al collo per un anno intero, onde evitare possibili disavventure e mal di gola.

Ingredientis;

g 600 di farina di grano duro sardo, g 120 di strutto, 6 uova, lievito per dolci, g 150 di zucchero comune, g 150 di miele, la buccia grattugiata di 2 limoni gialli non trattati, 1 bicchierino di liquore tipo anice, 1 cucchiaino di acqua fiori d’arancio, farina bianca, olio extra vergine d’oliva, sale q.b.

Approntadura:

disponi la farina setacciata a fontana su un piano di lavoro con una presa di sale e al  centro tuffaci le uova sgusciate, la scorza dei limoni, poi unisci lo strutto ammorbidito a temperatura ambiente, un cucchiaino raso di lievito e tanta acqua tiepida quanto basta per ottenere una massa ben impastata - cummossada - ciuexia -smergi - priva di grumi e malleabile che, lascerai riposare avvolta in una pellicola in luogo fresco per mezz’ora. Passato il tempo, preleva pezzi di pasta e forma dei rotolini lunghi, con il diametro di  un grissino, quindi tagliali a piccoli pezzetti poco più grossi di un cece (puoi pizzicare le palline di pasta ad una ad una con le forbici come si fa per - is pirichittus -, infarinali leggermente e friggili (si possono cuocere pure in forno) pochi per volta in abbondante olio caldo. Non appena - is pistoccheddus - risulteranno dorati, scolali su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere l’unto in eccesso. Terminata questa operazione, metti lo zucchero dentro a un capace recipiente assieme al liquore, la scorza  dei limoni grattugiata, il miele, l’acqua fiori d’arancio e lascia sciogliere il tutto dolcemente. Quando lo sciroppo risulterà trasparente e filante, tuffaci i dolcetti fritti e con un mestolo di legno girali in continuazione delicatamente, in modo che assorbano completamente la glassa. Solo allora allontana il recipiente dal fuoco e con gesto rapido preleva con le dita: pollice, indice, medio e anulare inumidite con dell’altro liquore freddo o acqua molto fredda, dei mucchietti di dolcetti e con questi modella dentro ad appositi pirottini per pasticceria, delle piccole piramidi a forma di pigne  - opinus - oppinu -, da qui il nome del dolce e man mano che le prepari cospargile con i  confettini di zucchero colorati tragera - tragea – dragea -, oppure con lamina d’oro alimentare. Servili quando si saranno completamente raffreddati.

Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.

 

 

 

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