Mufloni a sa cassadora cun armiddha e tzinnìbiri
Il muflone (Ovis orientalis musimon) è un mammifero che vive in Sardegna, pascola allo stato brado in gruppi ed ha trovato il suo habitat anche nella zona della Valtramontina (a nord di Pordenone in Friuli Venezia Giulia) ed è presente in Corsica e altre zone quali Cipro e Rodi. Contrariamente a quanto si possa pensare, il muflone non è originario dell’isola, ma è proveniente dall’Asia Minore. Nonostante questo vive in Sardegna da circa 5000 anni e gli esperti non hanno mai trovato nessuna traccia della loro antica esistenza nell’isola.
Comunque sia, in Sardegna il muflone (ovino selvaggio con grandi corna ricurve) ha trovato la sua condizione ambientale in particolar modo nel Gennargentu e nell’area del Montiferru. Vederli pascolare è sempre uno spettacolo imperdibile. Oggi in cucina al posto della sua carne, in quanto animale protetto, viene utilizzata quella di capra, quella di pecora adulta o quella del montone (il montone è il maschio adulto della pecora) perché la sua carne, opportunamente sgrassata e lavorata è molto apprezzata nella cucina rustica isolana. Le ricette sono di uso comune in tante famiglie, solitamente si insaporisce la carne con del timo - armiddha -, del mirto - mutta - murta - o del finocchietto selvatico -fenugheddu aresti -, oppure posta a marinare in vino e aceto, prima di procedere con la preparazione della ricetta preferita. Le preparazioni sono quasi tutte di origine agropastorale e nascono per soddisfare l’esigenza sia per il fabbisogno familiare, sia per conservare la carne nei mesi invernali (utilizzabile nelle grandi occasioni di festa), attraverso il procedimento di lavorazione impiegato da sempre per insaccare le carni con l’aggiunta di parti grasse suine. Indipendentemente dal fatto che si tratta di cibo tradizionalmente povero, oggi con la manipolazione, la lavorazione e la trasformazione moderna delle carni, nell’Isola si trovano in commercio insaccati preparati con carne di pecora e di capra. Famoso è il violino di capra della Valchiavenna in Lombardia, che deve il suo nome alla forma simile a quella dello strumento musicale e la tradizione vuole che per affettarlo lo si muova tra le mani come un vero e proprio violino; accostandolo sulla spalla sinistra e utilizzando il coltello lungo ed affilatissimo come un vero archetto ed è un presidio Slow Food. Inutile negare che al momento di affettarlo, il taglio ha la peculiarità del rito come quello dell’assolo di un solista che si esibisce in un orchestra; regalando così una sinfonia di profumi e sapori a tutti coloro che sanno apprezzare il cibo e la buona tavola.
Ingredientis:
kg 1,5 di carne di muflone (capra selvatica che vive sulle cime del Gennargentu), sostituibile con carne di capra nostrana oppure con carne di montone, 1 litro di vino rosso tipo cannonau, 1 bella cipolla di - Zeppara - località della marmilla, 4 pomodori secchi ben dissalati, g 800 di polpa di pomodori freschi battuta a coltello, 2 foglie di lauro, 1 cucchiaino di bacche di ginepro - tzinnibiri -, alcuni grani di pepe, 1 ciuffo di salvia, 3 spicchi d’aglio, 1 mazzetto di timo sardo - armiddha -, 1 ciuffo di rosmarino, 1 ciuffo di germogli di mirto - mutta -, 1 peperoncino rosso piccante, vino bianco secco tipo vernaccia, pane tipo - civraxiu - di Sanluri, strutto suino, farina bianca, brodo vegetale, olio extravergine d’oliva, sale q.b.
Approntadura:
la sera prima, rifila ed elimina il grasso della carne preferita, poi lavala, asciugala con un panno bianco da cucina o con dei fogli di carta assorbente per alimenti e tagliala a pezzi regolari, quindi accomoda lo spezzatino dentro a una conca di terracotta -scivedda - xivedda - insieme al lauro, il mirto spezzettato, le bacche di ginepro pestate, i grani di pepe, il rosmarino, la salvia, uno spicchio d’aglio in camicia e il vino. Fatto, avvolgi il recipiente con una pellicola alimentare e ponilo in frigorifero. La mattina seguente, metti un capace tegame di terracotta - grassanera - sul fuoco con all’interno un cucchiaio di strutto, un generoso giro d’olio, la cipolla finemente tritata con i pomodori secchi, il peperoncino, uno spicchio d’aglio schiacciato, una spruzzata di vino e fai rosolare il tutto. Quando evaporato, aggiungi la carne sgocciolata leggermente infarinata e falla insaporire girandola spesso per evitare che si attacchi sul fondo, bagnandola ancora con del vino della marinata bollente filtrato e appena prende colore, aggiungi la polpa di pomodori, una presa di sale e prosegui la cottura dolcemente a recipiente coperto per un paio d’ore, mescolando di tanto in tanto e qualora la salsa tendesse ad asciugarsi troppo, bagna la preparazione con del brodo bollente. Passato il tempo, aggiungi il timo sgranato, correggi di sale se occorre e, servi la carne irrorata con il suo fondo di cottura ristretto in ciotole individuali, insieme a delle fette di pane tipo - civraxiu - abbrustolite e strofinate leggermente con l’aglio rimasto.
Vino consigliato rosso: Cannonau di Sardegna Bantu, dal sapore sapido, armonico, caldo e piacevolmente tannico.
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Olla podrida o lepudrida casteddaia
L'olla (pot romano - aulla - aula - recipiente di terra cotta - ceramica - vaso spesso non smaltato), era usata nella Roma antica per la cottura e la conservazione dei cibi. Il recipiente inoltre, veniva utilizzato oltre che per cucinare stufati o zuppe, anche per contenere la scorta di acqua, ingredienti secchi e pare che fosse impiegato anche come urna per contenere le ceneri da cremazione dei corpi. Le ollas hanno il collo corto largo e la pancia più ampia, simili alle pignatte usate in America “Beanpots” o a quelle usate in India nel 1783 a Nawab Asaf-ud-Daulah, durante la costruzione di Bara Bara (Imam Moschea), dove cucinarono il cibo per il personale di fatica, dentro a grandi pentoloni d’argilla, chiamati “Handis”, la cui imboccatura veniva otturata con un coperchio d’argilla e sigillato con un impasto a base di farina per impedire al vapore di fuoriuscire. Si parla di Olla Podrida nel “Bazar di novità artistiche, letterarie e teatrali di Milano” anno III del 1843 a pag 415, dove “Thierry ne la storia delle Gallie” scrive: e con questo metodo si ha la più magnifica storia, cioè la più magnifica Olla Podrida che l’Aragona, l’Andalusia e la Catalogna abbiano mai cucinato. Infatti il nome di questa gustosissima minestra indica, il felice matrimonio tra le verdure e le carni; non a caso la minestra maritata campana è simile alla olla podrida, Codesto piatto molto antico della cucina spagnola (specialità e piatto principale della città di Burgos nel nord della Spagna), risale al 1200, quando gli Iberici la importarono a Napoli durante la loro dominazione, intorno al 1300. Come già accennato, l’olla podrida è una vivanda consistente in una minestra di legumi e carni miste di manzo e maiale, a cui si aggiunge la polpa del gambuccio o muscoletto del prosciutto crudo, osso compreso, perché risulta essere meno salato. La - lepudrida - cagliaritana (òl’a podhrdha - olla podhridha - olla podrida - ogliapodrida - òglia podrida - ogliopotrida - podrit, ovvero pentola marcia - imputridita), invece è di antiche origini catalane e prende tale nome dal fatto che in passato, il grosso pentolone nel quale si cuoceva il cibo (varie tipologie di verdure con carne di diversi animali, ceci o altri legumi), non veniva lavata e non facendolo mai si evitava lo spreco di eventuali residui di cibo precedentemente cucinato. Abitudine adottata in molte cucine povere, per non sprecare appunto nemmeno un rimasuglio della pietanza cucinata in precedenza. Si parla di “olla podrida” anche nel castigliano e di riflesso anche ad Alghero, infatti la ricetta più utilizzata è quella preparata con le lumache al posto della carne ed è la versione preferita dagli anziani, ai quali è stato dedicato il libro “Olla Podrida - memoria dell’alimentazione algherese”.
Ingredientis:
1cipolla di - Zeppara - zona della Marmilla -, 1 spicchio d’aglio, g 120 di lardo pancettato, g 150 di girello di spalla o fusello (finto filetto) di vitellone, g 250 di polpa magra di coscia di maiale, la polpa disossata di un gambuccio di prosciutto crudo, un mazzetto di cicorie selvatiche, 4 foglie di bietole selvatiche, 4 foglie di cavolo verza, g 200 di ceci del tipo bell’a coi (ceci di ottima qualità di San Gavino), g 150 di fagioli freschi borlotti già sgranati, g 150 di piselli teneri freschi già sgranati, g 60 di pecorino sardo stagionato, brodo vegetale, zafferano San Gavino, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.
Approntadura:
la sera prima poni ad ammollare i ceci in acqua tiepida. Il giorno seguente, lavali e lessali in acqua leggermente salata per un’ora circa, poi scolali e tienili da parte. Fatto, batti al coltello la cipolla con il lardo e il trito ottenuto fallo appassire in una grande pentola di terracotta dai bordi alti (olla in sardo dal catalano), poi unisci l’aglio, un filo d’olio, le carni tagliate a spezzatino e il prosciutto a dadini compreso l’osso. Appena il soffritto sarà diventato di un bel colore dorato, aggiungi i ceci tenuti da parte, i fagioli e i piselli, quindi dai una mescolata e copri il tutto con del brodo bollente, regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe, copri il recipiente e prosegui la cottura a fiamma moderata per una mezz’ora. Nel mentre, lava verze, bietole e cicorie, scarta le parti dure e filacciose e affettale sottilmente, allorché uniscile alla minestra insieme a una bustina di zafferano e continua a cuocere ancora per mezz’ora a recipiente coperto. Servi la preparazione spolverata di formaggio e fette di pane tipo coccoi abbrustolite.
Vino consigliato: Mandrolisai rosato, dal sapore asciutto, sapido con retrogusto amarognolo, armonico, vellutato e caratteristico.