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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Novembre 2019

 Fregula o succu tundu a su tzaffanau

È un antica ricetta che fa parte della cucina tradizionale contadina dell’Isola. La - fregula o succu tundu - è una pasta ottenuta con l’impiego della semola di grano  duro sardo -  trigu saldu -, preparata rigorosamente dentro una conca di terracotta - scivedda - xivedda -, alla quale si aggiunge un cucchiaio di acqua alla volta oppure è sufficiente bagnarsi le dita utilizzate per sfregare la semola (a piacere può essere aromatizzata con dello zafferano San Gavino - città dell’oro rosso), poi con la pressione del palmo di una mano o con quella delle dita si sfrega velocemente il composto in senso rotatorio (aggiungendo altra semola tenuta nel pugno dell’altra mano, facendola scivolare a pioggia poca alla volta, come quando si prepara la polenta) e con l’altra si continua a fregare (dal latino fricare), quindi una volta che si saranno formati dei grumi, si travasano su di un canestro - corbula - canistedda - crobi - cioliriu - foderato con un panno da cucina ad asciugare e si prosegue così fino al termine della semola. Dopodiché, tutta la - fregula - ottenuta si mette ad asciugare al sole oppure si fa tostare in forno caldo. In Sardegna la - fregula - è utilizzata in moltissime ricette, per esempio per citarne alcune; cotta nel brodo di pecora insieme a delle fette di - casu axedu - (pecorino freschissimo in salamoia, ben lavato prima dell’utilizzo), oppure cotta -  istuvada - alla maniera di Neoneli, Paese che ogni  anno dedica una festa a questo piatto caratteristico. Una curiosità ci riporta indietro nel tempo ed è quella che le ragazze dell’epoca in età da marito, intonavano un’antica melodia che narrava così: - coiami ca sciu fai fregula - tradotto in italiano, sposami perché so preparare la - fregula -. A significare di quanto le fanciulle erano pronte per formare una famiglia. A dimostrazione del fatto che la Sardegna da secoli è stata una grande produttrice ed esportatrice di pasta di ottima qualità, il filosofo storico Benedetto Croce 1866 - 1952 di Pescasseroli (Abruzzo), annotava in uno dei suoi taccuini personali, come già a quei tempi (1600) a Napoli la pasta venisse chiamata “Pasta o maccheroni di Cagliari” a conferma del fatto che per produrla si utilizzavano farine di qualità eccellenti, non a caso la Sardegna al tempo dei Romani era considerata il granaio di Roma. Ma nonostante le varie influenze, Fenicie, Cartaginesi, Puniche, Arabe, Ebraiche e altre ancora, non si ha una prova certa di chi abbia lasciato una traccia sulle tecniche di lavorazione della semola. Gli arabi per esempio è vero che diffusero nel Mediterraneo il couscous, ma è altrettanto  vero che non sostarono per molto tempo in Sardegna, perciò non lasciarono un segno tangibile sia nelle usanze, sia nella cucina. Mentre migliaia di ebrei al tempo dell’imperatore Tiberio, furono condotti con la forza in Sardegna, perciò è probabile, siano stati proprio loro a portare tale tecnica di lavorazione, anche se non è da escludere che il modo di lavorare la semola alla fine possa essere stata una scoperta casuale delle massaie sarde.

Ingredientis:

per la fregula: g 250  di semola grossa di grano duro sardo, acqua e sale q.b. per il  brodo: kg 1 di carne sgrassata di pecora, una bella cipolla di - sa zeppara - zona della Marmilla -, 2 belle patate, 2 carote, 3 pomodori secchi ben dissalati, un gambo di sedano, un ciuffo di prezzemolo, g 200 di - casu axedu - pecorino freschissimo in salamoia che va ben lavato prima dell’utilizzo,   pecorino grattugiato, pane raffermo tipo -  cixraxiu -, 1 spicchio d’aglio, olio extravergine d’oliva, zafferano San Gavino, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

per prima cosa, accomoda dentro a una conca di terracotta - scivedda - xivedda - parte della semola, incorpora un cucchiaio di acqua tiepida leggermente salata oppure bagnati le dita della mano che utilizzerai per sfregare in senso rotatorio la semola, aggiungendone dell’altra pian piano come fai quando cucini la polenta e sempre con le dita inumidite prosegui a fregare fino a quando si formeranno i grumi della grossezza desiderata. Terminata questa operazione travasa la - fregula - dentro a una teglia e passala in forno già caldo ad asciugare. Una volta tostata, toglila dal forno e lasciala raffreddare. Nel mentre,  monda, pulisci tutte le verdure (lasciandole intere) e tuffale dentro a una marmitta insieme a un giro d’olio, quindi ponila sul  fuoco e lasciale rosolare a fiamma moderata per qualche minuto. Subito dopo, unisci la carne, colma il tutto con dell’acqua e prosegui la cottura fino a quando la carne sarà ammorbidita. Solo allora, filtra il  brodo dentro a una pentola di terracotta - olla - e tieni al caldo le verdure con la carne che servirai come secondo piatto. Fatto, riporta a bollore il  brodo, poi regola il sapore di sale e impreziosiscilo con una bustina di zafferano, quindi tuffaci la - fregula - tostata, dopo qualche minuto il formaggio fatto a fettine e appena la pasta è cotta al dente due cucchiaiate di pecorino grattugiato. Servi la minestra in ciotole di coccio con fette di pane tipo - civraxiu - abbrustolite, strofinate con l’aglio, un ulteriore nevicata di formaggio e a piacere una macinata di pepe.

Vino consigliato: Sardegna semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 

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Arrosu in sa néula de casu a su tzaffanau

 

Alcuni reperti risalenti al 6000 a.C. ritrovati in una caverna della Thailandia ed altri  reperti databili intorno al 5000 a C., ritrovati nella Cina orientale e settentrionale, dimostrano che “l'Oryza sativa” è una pianta originaria delle regioni dell'Asia sud orientale, si dice sia coltivata in modo intensivo da più di 7000 anni e risulta essere il cereale più importante per l'alimentazione umana, essendo il più consumato nel mondo con circa un terzo della popolazione terrestre. Il riso è il frutto di circa venti specie di piante erbacee annuali della famiglia delle graminacee, è una pianta che predilige l'acqua (infatti un detto popolare dice che il riso nasce nell’acqua e muore nel vino), richiede un clima caldo e umido e riesce a raggiunge persino l'altezza di circa 1 metro e al momento della maturazione del chicco, la pianta ricorda quella dell'avena. A differenza di altri cereali, il riso raramente viene impiegato per produrre farina con cui si prepara il pane. Generalmente viene consumato bollito, cucinato a  risotti con una infinità di intingoli, dolci di ogni fantasia e condito secondo gli usi locali. Il riso è coltivato, oltre che in quasi tutti i paesi dell'Asia orientale, in Egitto, in Italia, negli Stati Uniti e in Brasile. Per far si che la sua coltivazione avvenga senza nessuna complicazione occorre un'abbondantissima disponibilità di acqua, gli appositi spazi di terreno dove si coltiva si chiamano risaie e devono essere allagati al momento della semina e mantenuti costantemente umidi sino alla mietitura. Sovente i chicchi di riso sbramati e sbiancati vengono brillantati, cioè lucidati tramite  talco e glucosio. Già negli anni sessanta gli esperti hanno condotto ricerche per ottenere varietà di riso migliori con produttività maggiore e sono riusciti a selezionare un riso eccezionale, che produce più chicchi e sopporta le condizioni climatiche meglio delle varietà tradizionali. Il riso che viene coltivato in Italia ha chicchi tondeggianti e per le sue qualità è ritenuto uno dei migliori a livello mondiale. Il riso ha cominciato a farsi apprezzare nel mondo occidentale verso il primo secolo a.C. Nel mondo greco - romano il riso era considerato una spezia esotica, dal costo proibitivo e quindi da usarsi con estrema parsimonia, in eventi straordinari, oppure come medicamento. Anche nel Medioevo italiano il riso conservò tale caratteristica, come confermano alcune annotazioni riportate sui registri dell’ospedale Sant'Andrea di Vercelli, risalenti al 1250. Altre testimonianze d'epoca riguardano l'acquisto di quattrocento grammi di riso per preparare originali tipi di dolci e acquisti sono documentati sui registri contabili delle spese dei Savoia. In Italia la coltivazione del riso iniziò a espandersi nelle zone del milanese e del vercellese, tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo e sono tutt’oggi zone di ragguardevole e importante produzione. Proprio grazie alla immediata conversione a tale coltura, alle buone risposte produttive della campagna piemontese, il riso continuò a diffondersi e ad essere apprezzato come piatto quotidiano per larga parte della popolazione. Con il riso si possono realizzare un numero incredibile di piatti differenti, dall'antipasto al dolce e, se cucinato a dovere, sarete sicuri di soddisfare anche i palati più raffinati ed esigenti. La riuscita della ricetta prescelta è comunque condizionata dalla scelta della varietà di riso più indicata. Bisogna tener conto quindi delle rispettive caratteristiche dei tipi di riso che riguardano con riferimento alle dimensioni dei chicchi e le modalità di cottura.  Poco significative invece le differenze, in relazione alle proprietà nutritive tra le varietà in commercio Le varietà italiane di riso sono divise in quattro tipi: comuni, semifini, fini e superfini. I comuni, Originario e Balilla,  si riconoscono perché i chicchi risultano essere piccoli e tondi, adatti per minestre, minestroni e occorrono circa 12 minuti per la cottura. I semifini nelle varietà più rinomate, si  identificano con il Rosa Marchetti, il Padano, il Vialone nano, l’Italico R. ed hanno chicchi tondeggianti di media lunghezza, adatti per antipasti, risi in bianco, supplì, timballi, sartù e occorrono circa 14 minuti di cottura. I fini nelle varietà più conosciute S. Andrea, Europa e Ribe, si riconoscono per chicchi lunghi e affusolati, adatti specialmente a risotti, contorni e cuociono in circa 15 minuti. Infine i superfini nelle varietà più impiegate Roma, Arborio, Carnaroli e Baldo si riconoscono per i loro chicchi grossi e molto lunghi, eccezionalmente impiegati nella preparazione di risotti e contorni e cuociono in circa 18 minuti e più. Di riso in Sardegna se ne parla sin dai tempi dei Fenici, infatti furono proprio loro a divulgarlo in tutta l’area del Mediterraneo (in realtà già a quei tempi nell’oristanese il riso aveva trovato terreno coltivabile, acqua in gran quantità e tecniche di lavorazione idonee per ottenere un prodotto di alta qualità e in diverse varietà), tanto è  vero che venivano  nel porto di Oristano e scambiavano il riso a parità di peso con dell’oro. Come altrettanto è vero che oltre all’occupazioni dei Fenici in Sardegna ci sono state pure quelle dei Romani e degli Arabi; di seguito le invasioni degli Aragonesi, dei Genovesi, dei Pisani e Piemontesi e ogni civiltà ha lasciato un suo segno. Va sottolineato che oggi in Sardegna e per la precisione a San Gavino Monreale, nel centro del Campidano in provincia di Cagliari, si coltiva un riso di particolare qualità, si tratta del riso Carnaroli sardo, un’eccellenza che messa insieme a quella dello zafferano, fa sì che il loro matrimonio rimanga indelebile nella storia della gastronomia mondiale.

Ingredientis:

g 320 di riso tipo carnaroli di San Gavino qualità molas, una cipolla di -  sa Zeppara - zona della Marmilla, 2 pomodori secchi, vino tipo malvasia secca, 4 cucchiaiate di pecorino grattugiato, g 40 di pecorino in lamelle, brodo di pecora sgrassato, zafferano San Gavino, burro, olio extravergine d’oliva, sale pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

arrosu in sa néula de casu a su tzaffanau - risotto nella cialda di pecorino allo zafferano, risulta essere un piatto molto squisito e si prepara nel seguente modo: affetta finemente la cipolla e falla appassire in un recipiente con i pomodori secchi tritati finemente, un giro d’olio e una noce di burro. Una volta rosolata, aggiungi il riso e lascialo sfrigolare per un minuto, poi spruzzalo con un bicchiere di vino che lascerai sfumare. Evaporato, bagna il riso con del brodo bollente, continuando a bagnarlo man mano che lo assorbe. Dopo un quarto d’ora di cottura, aggiungi una bustina di zafferano stemperato in poco brodo, regola il gusto di sale e impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe, amalgama bene il tutto e prosegui la cottura fino a quando il riso sarà cotto al dente (il tempo di cottura è riportato nella confezione). Solo allora, allontana il recipiente dal fuoco, unisci il formaggio grattugiato, un pezzo di burro e lascialo mantecare a recipiente coperto per un minuto. Passato il tempo, suddividi il risotto in piatti individuali preriscaldati, cospargi ognuno con le lamelle di pecorino, qualche pistillo di zafferano e porta subito in tavola. Un modo originale di servire il riso è quello di usare come piatto delle ciotole di pecorino, che preparerai in anticipo nel seguente modo: su una teglia foderata di carta oleata distribuisci il pecorino in quattro mucchietti distanziati fra loro e allargati con un cucchiaio in un diametro di quindici centimetri circa, poi passa la preparazione in forno già caldo a 200°, giusto il tempo che occorre al formaggio di prendere un bel colore dorato, poi estraili dal forno e posa le cialde su delle tazze capovolte per prenderne la forma e una volta raffreddate mettile da parte fino al  momento dell’utilizzo.

Vino consigliato bianco: Semidano di Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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