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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Gennaio 2020

 Caulada a sa sarda o  tzuppa de cixiri e cauli

Sa caulada o cauladda - la zuppa di ceci e verza è una ricetta della gloriosa tradizione culinaria isolana e, a seconda della zona cambia qualche ingrediente e prende un nome differente, considerando il fatto che alla base c’è sempre il cavolo verza o quello cappuccio e le parti meno nobili del maiale.  Per esempio,  nel nuorese, la zuppa viene chiamata - cassolla nuoresa - ed è preparata con le cipolle, il cavolo, le patate e le costine di maiale. Nell’Ogliastra e paesi confinanti, la pietanza la cucinano aggiungendo ai cavoli fave, patate e lardo e prende il nome di - fada e lardu a s’ogliastrina - fave e lardo all’oglistrina. Sempre nei dintorni dell’ogliastrino, aggiungono ai precedenti ingredienti i ceci e così la preparano anche in molti paesi della Sardegna e, nel sassarese ne esiste una versione che chiamano favata sassarese - faada tattaresa -. Qualunque siano i nomi, qualunque gli ingredienti, alla base ci sono sempre il finocchietto - fenuju areste - fenugheddu aresti - e la menta - menta de arriu -nebidedda - mentaspru - puleu -  che è la costante fissa.

 

Stando ancora nella cultura contadina sassarese, la minestra di cavoli è un piatto ritenuto importante da sempre, difatti alla base della zuppa ci sono gli immancabili cavoli  e i numerosi  ortaggi (che gli ortolani del luogo producono da sempre), con l’aggiunta di erbe aromatiche, poiché mescolati alle parti meno pregiate del maiale ne fanno un matrimonio gastronomico unico, ricco e succulento. Tutto questo fa si che, la cucina tipica sassarese sia un tripudio di profumi e di sapori, ricca di storia, di fascino e legata alla tradizione arcaica contadina, ancorata saldamente a quella trasmessa dalle mamme alle figlie che, ancora oggi riescono a preparare con passione e abile manualità, sempre nella ricerca (se pur semplice) degli ingredienti più giusti da combinare armonicamente. Va considerato il fatto che, nonostante non vi sia una collocazione geografica della ricetta, se pur con qualche variante - sa caulada a sa sarda - o - tzuppa de cixiri e cauli -, si cucina in parecchie zone della Sardegna, dall’entroterra alle coste e anche nell’area montana ma, tutte quante restano legate alla coltivazione degli ortaggi e agli allevamenti dei maiali. Questa straordinaria preparazione viene cucinata ancora oggi soprattutto nel periodo invernale, non appena inizia la macellazione dei maiali e ogni anno vengono dedicati appuntamenti gastronomici a questo antico piatto. Mentre per la gioia di tutte quelle persone che non amano consumare la carne, c’è sempre spazio per cucinare la versione di una zuppa di cavoli, ortaggi, erbe aromatiche e ceci. Il risultato sarà una minestra in umido molto gustosa e ricca di sostanze, da assaporare fumante scodellata dentro a una ciotola insieme a delle fette di pane tipo - civraxiu - abbrustolite e strofinate leggermente con dell’aglio, infine coronerà la zuppa, una grattugiata di pecorino, una macinata di pepe nero e un filo d’olio. Che ne dite, non è  una bella cavolata?

Ingredientis:

g 500 di foglie di cavolo verza pronte a cuocere, g 300 di cavolo cappuccio, 1 cipolla, 2 cipollotti con il verde, 3 patate, un ciuffo di menta un mazzetto di finocchietto selvatico, g 150 di  guanciale sardo, 3 spicchi d’aglio, vino bianco secco, g 300 di ceci sardi, g 100 di pecorino fiore sardo grattugiato, pane raffermo tipo - civraxiu -, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

la sera prima, poni in ammollo i ceci dentro un recipiente colmo di acqua fredda insieme a un cucchiaino di bicarbonato (facoltativo). Il giorno seguente, lava tutte le verdure e una volta scolate, affetta a listarelle la verza, riduci a fettine il cavolo cappuccio, a rondelle le patate pelate, poi schiaccia due spicchi d’aglio sbucciato e tieni da parte al fresco il tutto. Terminata questa operazione, batti a coltello il guanciale - grandua - rendendolo una poltiglia e versa il ricavato dentro a una capace pentola di terracotta dalle pareti alte – olla -. Fatto, trita la cipolla con i cipollotti e aggiungi il battuto al guanciale, quindi fallo rosolare dolcemente insieme a una spruzzata di  vino. Evaporato, unisci  le verdure tenute da parte, falle insaporire e dopo qualche minuto aggiungi i ceci ben sciacquati e sfregati su una grattugia, in modo da eliminare la pellicina che li avvolge, tre litri di acqua e appena prende il bollore  abbassa la fiamma e prosegui la cottura per due ore circa a recipiente coperto. Passato questo tempo, trita il finocchietto assieme alla menta e tuffali dentro alla zuppa, allorché dai una mescolata con un mestolo di legno, regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una macinata di pepe nero e prosegui la cottura per circa un quarto d’ora recipiente scoperto. Quando sarà passato il tempo, controlla la cottura dei ceci, che dovrebbe essere perfetta, ma se cosi non fosse lasciali cuocere ancora fino a quando risulteranno teneri. Arrivati a questo punto, fai abbrustolire una dozzina di fette di pane e ancora calde strofinale con l’aglio rimasto, dopodiché accomodale su delle scodelle, subito dopo colmale con la zuppa, infine cospargi ognuna con il pecorino, un’ulteriore macinata di pepe e un giro di olio.

Vino consigliato bianco: Sardegna Semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 

 

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Is coièttas  de malloru

 

Gli involtini - coiètas - coièttas (coièttas - con la doppia t, si riferisce agli involtini di carne farciti con guanciale, erbe aromatiche e versioni a base di prosciutto crudo o cotto e formaggio, mentre - coiètas - con una sola t, si riferisce agli involtini di verdure ripieni di carne macinata o salumi, uova, pane e pecorino grattugiati e acciughe o altro). Per esempio - is coiètas de salbei - gli involtini di salvia (nella credenza antica la salvia in infusione era ritenuta diuretica e miracolosa per chi soffriva di gotta) con all’interno acciughe e formaggio. Il significato del nome, proviene da “quaglia”, piccolo uccelletto, probabilmente per la similitudine con il piccolo volatile, ecco perché nel dialetto di diverse zone della Sardegna gli involtini di carne vengono chiamati - coièttas -. Questi involtini ripieni, ricchi di succulenza, non si preparano solo nell’Isola, infatti ogni Regione propone differenti esecuzioni, con piccole varianti a seconda del luogo.  In Piemonte, nella cucina popolare che affonda le proprie radici nel tempo, per “cojettas - quajette” ovvero piccole quaglie, si intendono involtini di carne, oppure di foglie di cavolo verza, simili alle “quagliette” della Val d’Aosta, o di fiori di zucchine. Questi ultimi a seconda della zona si chiamano anche “caponet”, da cappone - evirato, (per il fatto che i fiori sono quelli che non generano lo zucchino), ripieni di carne macinata, verdure, salumi, pane ammollato nel latte e strizzato, formaggio ed erbe aromatiche.

In Lombardia gli involtini ripieni “uccellini scappati” sono preparati con carne di vitello o vitellone, ripieni di parecchi ingredienti, hanno origini popolari e devono il loro nome al fatto che in passato si usava arrostire sugli spiedi gli uccelli cacciati e, nei periodi di divieto di caccia o magari per via di una mancata di uccellagione, si sostituivano con degli involtini di carne che, per forma ricordavano gli uccelli e per l’occasione si definivano beffardamente “scappati”. Mentre gli uccelletti dei vicini confinanti veneti e nella cucina tradizionale vicentina, come pure  quella del resto della Regione,  si chiamano “i useleti scampai - osei  scampadi o scampai - oseleti scampai”. Il nome di questa pietanza deriva dal fatto che di veri uccelli, in questa ricetta non compaiono, però i degni sostituti si sposano ottimamente con una fumante polenta o polenta abbrustolita. In Trentino la stessa ricetta viene chiamata “oseleti scampadi”. In Friuli, li chiamano “useletti scampai de carne” e “rambasicci” e vengono  cucinati con un ripieno avvolto nelle foglie di verza. In Liguria, gli scrigni ripieni li chiamano "tomaselle”, laddove i limitrofi lunigiani li battezzano “tomaxelle”. A Roma e dintorni sono chiamati “uccellini matti” o “uccellini scappati”, termine ironico con cui si indicano gli involtini di manzo arrostiti allo spiedo.

Un sapore deciso e un gusto agrodolce rendono gli involtini “invulten -  invogliuzzi” all’emiliana un’autentica specialità dal risultato soddisfacente, facilissimi e velocissimi da cucinare, preparati con ingredienti di prima qualità; una ricetta patrimonio di famiglia con diverse sfumature. Quelli toscani vengono farciti con una foglia di salvia e rigatino e si chiamano “Involtini all’uccelletto”. In Umbria gli involtini li preparano con porchetta, frittatina alla scamorza, prosciutto  e li chiamano “braciole all’urbinate”. Nella cucina marchigiana trovano spazio i “ciarimboli” involtini di budella di maiale di provenienza contadina. Continuando il giro d’Italia, dell’involtino, è sicuramente  appetitoso quello dei siciliani “’brivi’nu”, un secondo piatto di carne caratteristico che utilizza ingredienti singolari della cucina sicula come i pinoli, l’uva secca, la cipolla, il lauro e il caciocavallo. A Messina li chiamano “braciole” e nella provincia Etnea, oltre ai classici ingredienti, si utilizza pure la pasta di salame piccante nell’imbottitura, mentre nel catanese prendono il nome di “sasizzedi”.

In Puglia, e per la precisione a Foggia, il  vanto della cucina locale sono i “turcinelli – torcinelli”, squisiti involtini di carne di agnello cotti alla brace, mentre in altre zone della Regione prendono il nome di “braciole – bracioline”, in questo caso preparati con carne di cavallo e sono davvero molto saporiti. In base al luogo, il ripieno cambia, tant’è che c’è chi utilizza nella farcia parecchio pepe, il caciocavallo e chi nell’intingolo adopera un battuto di pancetta e cipolla. Sempre in Puglia, sono noti con il nome di “bombette - gnummareddi” e vengono cotti nella brace. Nei pressi di Alberobello si trovano ancora i “Fornelli”, macellerie che di giorno vendono la carne e alla sera si trasformano in griglierie  dove i  vari tagli di carne vengono arrostiti insieme agli involtini. Nel dialetto barese sono chiamati “trònere de carcavadde”, prendendo il nome dal tuono, ed è il piatto della domenica, perché in passato la carne di cavallo costava poco rispetto a quella più nobile del manzo e con il sugo si condiva ogni tipo di pasta, dai rigatoni alle orecchiette. Non di meno nella zona di Nardò e Gallipoli gli involtini vengono chiamati “‘mboti”.

Invece in Lucania, Irpinia e Molise, secondo il luogo di provenienza, “nghiemeridde -turcinelli – turcinieddi - m'miglíatidd - 'mboti - mugliatielli -  marretti o mbujacati – abbuoti o torcinelli”. In Campania sono battezzati col nome di “braciole di maiale alla napoletana” e hanno la forma di involtini per l’appunto, ripiene di uva passa, pinoli, aglio, prezzemolo e pecorino. In Abruzzo troviamo le “mazzarelle teramane”, preparate con fettine di coratella d’agnello, farcite con fettine di cipolla, prezzemolo e aglio, sale e pepe abbondante, poi avvolte con foglie di lattuga sbollentate, infine legate con le budelline dell’animale e le “ventricine di Chieti”, a base di interiora d’agnello, con prezzemolo e aglio, il tutto avvolto con della reticella d’agnello (rete - omento). Nell'alta Murgia, a Minervino Murge gli involtini sono chiamati “maricidd”. Le “vrasciole”invece sono una pietanza tipica della cucina povera cosentina e calabrese, infatti si tratta di un piatto a base di carne di vitello tenerissima e gli involtini vengono farciti con ingredienti molto energetici come uova sode, pancetta stagionata e caciocavallo silano, insaporiti con un intingolo a base di pomodoro fresco, ‘nduja  e cipolla rossa di Tropea. Sempre  in Calabria si cucinano le “mazzacorde” involtini  di interiora di agnello o capretto, si preparavano e tuttora li preparano abitualmente per il pranzo della domenica. Tanti ancora sono i  nomi dialettali dati a questo prezioso scrigno di carne, di pesce o di verdure ma qualunque esso sia, l’involtino da sempre ha saputo conquistare e deliziare il palato degli italiani.

Ingredientis:

12 fettine sottili di noce di vitellone - malloru -, 12 fette di prosciutto crudo di Desulo - presuttu -, g 60 di guanciale sardo - grandua - ridotto a poltiglia, g 160 di formaggio tipo peretta - casiggiolu -, 2 cipollotti, 12 foglie di salvia - sàlvia - salbei -  un mazzetto di prezzemolo e uno di timo - armiddha -, 3 pomodori secchi - pibadra - ben dissalati, 2 spicchi d’aglio, vino bianco tipo vernaccia, brodo vegetale, olio extravergine d’oliva, zafferano San Gavino, noce moscata, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

per prima cosa, allarga le bistecchine di carne su di un piano di lavoro, poi massaggiale ad un ad una con un pizzico di sale e una macinata di pepe. Fatto, disponi una fetta di prosciutto su ogni porzione, su di esse accomoda una foglia di salvia e un bastoncino di formaggio, arrotolala la carne e dai loro la forma degli involtini - coièttas -, quindi sigillali con degli stecchini o se preferisci legali con dello spago da cucina e tienili da parte. Terminata questa operazione, trita molto finemente i cipollotti assieme al prezzemolo, il timo sgranato (meno un cucchiaino colmo che utilizzerai per la decorazione finale), i pomodori secchi e il battuto ottenuto, fallo rosolare in ampio tegame con un giro di olio, la poltiglia di guanciale, l’aglio schiacciato e una spruzzata di vino. Evaporato, unisci gli involtini e appena avranno preso un bel colore dorato, bagnali con una mestolata di brodo bollente e prosegui la cottura dolcemente a recipiente coperto per 7/8 di minuti, aggiungendo altro brodo, qualora la preparazione tendesse ad asciugarsi. Trascorso questo tempo, regola il sapore di sale, impreziosiscilo con un’ulteriore macinata di pepe, una grattata di noce moscata, un’idea di zafferano - tzaffanau -  fatto stemperare in poco brodo e continua la cottura ancora per un paio di minuti. Servi - is coièttas - immediatamente con il suo fondo di cottura e una spolverata di foglioline di timo, quelle che avevi tenuto da parte.

Vino consigliato: Monica di Sardegna fermo, dal sapore gradevole, morbido, vellutato e asciutto.

 

 

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