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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Marzo 2020

 S’arrosu a su tzaffanau e sparau aresti po sa festa de is fémminas

 Le donne considerano l’otto marzo una giorno di follie, un giorno tutto loro, insomma una piacevole giornata dove tutto è permesso, infatti approfittano di questa ricorrenza per trascorrere con le amiche una serata speciale, all'insegna dello svago, dell'allegria, del divertimento e della buona tavola, tanto è vero che i ristoranti in quel giorno dichiarano immancabilmente il tutto esaurito, facendosi una concorrenza accanita a suon di promozioni, spettacoli trasgressivi e menu originali per conquistarsi la clientela. Gli uomini,  cercando di stupirle con auguri insoliti, offrono mazzi di mimose, sperando di strappare un benevolo sorriso e allo stesso tempo la complicità per poterle corteggiare. Insomma una bella festa con tutti i crismi, commerciali compresi. Ma questa festa  purtroppo  ricorda anche una giornata molto infausta.

In realtà le sue origini sono legate a un evento capitato a New York, dove le operaie dell'industria tessile “Cotton” iniziarono uno sciopero per protestare contro le pessime condizioni in cui erano costrette a lavorare. L’astensione dal lavoro andava avanti da diversi giorni, finché il padrone della Cotton, Mr. Johnson, ebbe la malaugurata ispirazione di sprangare tutti i serramenti della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Inevitabile fu il dramma: allo stabilimento (non si sa realmente cosa sia successo, se l’incendio fu di origine dolosa o causato dal malfunzionamento dell’apparato elettrico della fabbrica) si sprigionò un grande incendio e le 129 operaie (tra le quali c’erano pure delle italiane), prigioniere all'interno del cotonificio morirono tutte quante bruciate dalle fiamme. L'unica colpa di queste donne era stata quella di lottare per ottenere delle condizioni di vita più dignitose. Col tempo questa data è venuta ad assumere un significato estremamente forte, di conseguenza venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo di quella tragedia. Quell’episodio dovrebbe far ricordare a tutto il mondo i sacrifici, le difficoltà e gli abusi che le donne hanno subito nel corso dei secoli per riuscire ad affermare dignità, libertà ed emancipazione. Questo terribile avvenimento  ha dato il via  ad una serie di  celebrazioni che avevano come unico scopo il ricordo della orribile fine fatta dalle operaie morte nel rogo della fabbrica. L’otto marzo serve come esempio, per ricordare il sacrificio pagato dalle donne nella lotta contro la povertà e lo sfruttamento per divulgare ed affermare nel mondo il grande ideale dell'emancipazione femminile. Fu l'UDI (Unione Donne Italiane) nel 1946 a sceglierla come ricorrenza simbolo durante i preparativi del primo otto marzo del dopoguerra, mentre cercava un fiore che potesse contraddistinguere e simboleggiare la giornata.  Furono le donne italiane a trovare nelle palline gialle, morbide e accese che costituiscono la profumata mimosa, l’emblema della festa delle donne, in quanto il giallo esprime vitalità, forza e gioia, e rappresenta il passaggio dalla morte alla vita,  ricordando le donne che si sono battute fino al limite della propria vita, per un ideale sognato e per la nascita di un nuovo mondo più giusto, all’insegna della democrazia. Anche la Sardegna ha espresso la testimonianza di donne forti e coraggiose, che hanno fatto  sentire la voce di questa altra metà del cielo. Tra le tante, mi fa piacere ricordare come ideale rappresentante femminile dell’Isola la scrittrice e traduttrice italiana Maria Grazia Cosima Deledda, nata in Sardegna e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926, unica donna italiana ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura ed è un modello per tante donne. Mi viene ora spontaneo, con la redazione della Gazzetta del medio Campidano, augurare a tutte le donne e in particolare alle affezionate lettrici isolane che ci seguono da sempre,  di trascorrere una piacevole, serena e divertente festa della donna.

Ingredientis:

g 360 di riso carnaroli molas, 2 cipollotti, un mazzo di asparagi selvatici raccolti la mattina, vino bianco tipo semidano,  brodo vegetale, zafferano San Gavino, g 40 di burro, 60 di pecorino semi stagionato grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale e pepe si mulinello q.b.

Approntadura:

per prima cosa pulisci accuratamente gli asparagi eliminando la parte dura del gambo, poi immergili in acqua bollente salata per qualche minuto, dopodiché scolali (tieni da parte l’acqua), riducili a pezzetti, tenendo da parte una dozzina di punte che serviranno alla fine per decorare i piatti. Terminata questa operazione, trita finemente i cipollotti e il ricavato ponilo a rosolare in un capace recipiente idoneo alla cottura del risotto, insieme a un giro di olio e gli asparagi. Trascorsi un paio di minuti,  unisci il riso e lascialo tostare facendolo sfrigolare, quindi bagnalo con una spruzzata di vino e lascialo evaporare e sempre mescolando, allunga la preparazione con del brodo bollente (quello della cottura degli asparagi tenuto da parte), nel quale avrai stemprato due bustine di zafferano. Quando manca un minuto al terme della cottura, aggiungi il  burro e il formaggio, allorché allontana il recipiente dal fuoco e fallo mantecare prima di servirlo morbido in piatti individuali, decorati con le punte degli asparagi tenute da parte, una macinata di pepe e un filo di olio.

Vino consigliato: Sardegna Semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 ***

 Tzuppa de fa cun eda dè Giòbia Santa de Santu ‘Engiu Murriabi

 I riti tradizionali della Pasqua narrano che, il Giovedì Santo - Giòbia Santa - è il giorno  che precede la Domenica di Pasqua - Pasca Manna -, avvenimento devoto di antica cultura e memoria che gli isolani sentono in modo particolare. La tradizione vuole che, il giorno sia organizzato con una sequenza di cerimonie, che comprendono processioni e momenti collettivi spirituali di celebrazione della Passione di Cristo. Il Giovedì Santo - Giòbia Santa - in epoca romana, nella comunità dei Credenti era definito “Feria Quinta in Cena Domini”, Giovedì della Cena del Signore. Tra le cerimonie  più intense e suggestive  che si svolgono in Sardegna, c’è quella della Settimana Santa che, mantenendo la consuetudine trasmessa dall’influenza iberica, si propone anche nel rione di Santacroce - Santaruxi - a San Gavino Monreale. L’arcaico cerimoniale - de Su Scravamentu -, ovvero l’atto di deporre Gesù Cristo di Nazareth dalla croce, si ripete ogni anno, per iniziativa della Confraternita di Santacroce, che, da circa duecentosettant’anni, al Venerdì Santo ripropone il rito.

La storia narra che, il crocifisso utilizzato per il cerimoniale sia stato scolpito dal falegname  Francesco  Melis, nel 1745 e il materiale utilizzato  per costruire la Croce era in legno di ginepro - tzinnìbiri -, materiale non facile da lavorare, in quanto granitico ma duraturo nel tempo. La sera del Venerdì Santo - Cenàbara Santa -, quando Gesù viene deposto dalla Croce per essere poi condotto in processione con grande devozione e raccoglimento, accompagnato dall’aria struggente del canto sacro in lingua sarda - limba sarda - lìngua – foeddu -, sino alla chiesetta di Santacroce - Santaruxi - Santagruxi -, in attesa del glorioso  momento della rinascita.

È un bagliore infantile ancora presente nella mia memoria, e tutto avviene limpido come allora e ha come punto fermo la chiesetta di Santa Croce, da dove la cerimonia prende le mosse. Il Cristo Risorto percorre le vie del paese abbellite con migliaia di bandierine colorate, appese da un balcone all’altro e cosparse di fiori, con la Confraternita, della quale mio nonno paterno era orgogliosamente affiliato, che precede la processione portando con se i “sette simulacri” che, nel linguaggio popolare vengono chiamati “Santi Misteri o Sacri Misteri” e si dirigono incontro -S’incontru - alla Madonna. Oltre a questa rituale e sacra rievocazione, che è fonte di richiamo di pellegrini e fedeli sparsi in tutta l’Isola, la tradizione vuole che, per il Giovedì Santo il pasto consumato dai sangavinesi - santuingesus -, sia quello a base di fave e bietole - tzuppa de fa cun eda -, che consiste in una zuppa contadina semplice, preparata con ingredienti poveri ed erbe selvatiche del territorio. Questo piatto a base di fave, era anche quello preferito da Ercole (Hercules nella tradizione latina), mitico gigante di grande forza fisica, che anche il commediografo greco Aristofane (445 a. C. circa - 385 a. C. circa), ne racconta le gesta ne “Le Rane”, commedia teatrale messa in scena per la prima volta ad Atene, alle Lenee del 405 a.C., dove ebbe un esito trionfale.

Ingredientis:

g 100 di guanciale sardo - grandua - ridotto a poltiglia, g 600 di fave secche, 5 spicchi d’aglio, 3 cipollotti, 5 pomodori secchi ben dissalati, un mazzo di prezzemolo, un mazzo di bietole selvatiche, vino bianco secco, brodo vegetale, zafferano San Gavino - tzaffanau Santu ‘Engiu -, olio extravergine d’oliva, bicarbonato, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

la sera prima, monda le fave e ponile ad ammollare dentro a un recipiente in abbondante acqua con un cucchiaino di bicarbonato. L’indomani mattina, metti una pentola di terracotta dalle pareti alte - olla manna - sul fuoco e fai rosolare il battuto di guanciale insieme a un generoso giro d’olio, quattro spicchi d’aglio, il prezzemolo, i cipollotti, i pomodori secchi tritati e una spruzzata di vino. Evaporato, unisci le fave ben risciacquate e incise dalla parte della riga nera - naseddu -, le bietole lavate, asciugate e tagliate a listarelle e tanto brodo che si riveli necessario a ricoprire il tutto almeno quattro dita. Terminata questa operazione fai cuocere la zuppa a fuoco dolce per oltre due ore a recipiente semi coperto e, quando  manca un quarto d’ora circa al termine, regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una bustina di zafferano e una caritatevole macinata di pepe. Passato il tempo di cottura richiesto, allontana il recipiente dal fuoco e lascia riposare la zuppa cinque minuti prima di scodellarla dentro a delle ciotole, sulle quali avrai accomodato delle fette di pane tipo - civraxiu  - di Sanluri abbrustolite e strofinate con l’aglio rimasto.

Vino consigliato: Sardegna Semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 

 

 

 

 

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