Benvenuto nel Sito dell`Associazione Culturale  Messaggero Sardo

HomeCuriositàRicette Sarde“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Aprile 2020

“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Aprile 2020

 Canciofa a cassoba cun petza de angioni e pibadredda

Il carciofo è una pianta erbacea poliennale e appartiene alla famiglia delle Composite. Il fusto ha una sezione circolare e un'altezza che varia fra i 50 e i 150 e più centimetri, i fiori sono azzurri con tonalità violacee, l’ortaggio ha forma oblunga e colore grigioverde bruno. La freschezza di un carciofo si riconosce nel seguente modo:  punta chiusa, foglie esterne di colore verde scuro, all’interno gialline e tenere, assenza di peluria, gambo grosso, tenero, senza ammaccature.

 

Il carciofo è un antico prezioso prodotto della natura, che si mangiava comunemente sin dal tempo degli Egizi. Una leggenda narra che Giove, il padre di tutti gli dei,  sembra  avesse un pessimo carattere, diventava furibondo quando qualche fanciulla lo respingeva. Infatti Cynara, una bellissima ragazza bionda rifiutò le attenzioni del dio e, per questo fu trasformata in carciofo, la pianta che punge, da Linneo poi catalogata nella famiglia delle Composite con il nome di - Cynara cardunculus -.

Il carciofo nasce da una  attenta selezione del cardo (Cardo Cardunculus) e le sue proprietà medicinali sono conosciute da tempo antichissimo, apprezzato dai Greci e dagli Egizi. Il carciofo “Cynara cardunculus scolymus”, ortaggio tipico delle aree del Mediterraneo, continuò ad essere apprezzato per tutta l’epoca dei Romani. Pare siano stati gli Etruschi ad esercitare per primi la piantagione dei carciofi e le riproduzioni di foglie dell’ortaggio, ritrovate presso qualche sepolcro della necropoli di Tarquinia, ne sono la palese dimostrazione. Notizie più certe sulla sua coltivazione in Italia sono da attribuire alle attenzioni dei giardinieri italiani che risalgono al XV secolo, di quando Filippo Strozzi noto condottiero e banchiere italiano del Rinascimento la introdusse nell’area che circondava tutti i territori del napoletano.

La coltura del carciofo si diffuse anche in Toscana (Caterina dè Medici ne fu una eminente consumatrice) e successivamente in molte altre regioni.  Mammole romane, violetti di Toscana, spinosi di Liguria e di Sardegna sono le cultivar più diffuse. A seconda delle varietà la loro disponibilità inizia dalla fine di settembre fino alla metà del mese di maggio,  la razza spinosa proviene intorno al il 90% dalla Sardegna, che ha ottenuto nel 2011 la denominazione di origine protetta a livello europeo, grazie anche all’impegno e al lavoro svolto dalle cooperative e all’indotto derivato dagli innumerevoli produttori. La restante parte della produzione si fa riferimento essenzialmente alla Sicilia, alla Campania e alla Puglia, ma anche la Liguria vanta un importante produzione. La produzione non spinosa è presente sul mercato in tre principali varietà: il carciofo “Thema” di Villasor (Cagliari), che mostra alcune piccolissime spine, il “Violetto” dalla Toscana e la “Mammola” romanesca. I carciofi romaneschi sono grossi, con il capolino ovale, con pochissimo scarto e sono i più indicati  per essere cucinati imbottiti. La parte mangereccia del carciofo, a dire il vero, è il cuore, definito cimarolo ed è il più richiesto sul mercato. Naturalmente, il prezzo fa la differenza e, come sempre accade le cose buone si pagano.

I carciofi possono essere cucinati in vari modi: per esempio in Sardegna una ricetta tradizionale molto diffusa è quella dei carciofi in casseruola con carne d’agnello e pomodori secchi - canciofa a cassoba cun petza de angioni e pibadredda -.

Altre ricette: alla romana con la mentuccia o fritti, famosa è la ricetta dei carciofi alla giudia (quest’ultima, quasi certamente, nasce nel quartiere povero ebraico di Roma verso il XVI secolo), alla siciliana, fritti e pastellati, tanto per citarne alcune tra le più frequenti. Si tratta di un ortaggio dal basso contenuto calorico, circa 22 calorie per ogni etto di prodotto crudo. Un trucco in cucina prevede che; man mano che pulite i carciofi, dovete immergerli in acqua acidulata con succo di limone, sfregarli direttamente con mezzo limone per evitare che diventino scuri o messi a bagno con dei rametti di prezzemolo, il limone già utilizzato potrà servire poi anche per togliere il nero rimasto sulle mani.

Oggi la coltivazione dei carciofi si è estesa anche in altre nazioni, quali la Francia e la Spagna. Ma va ricordato che un tempo in Sardegna, a testimonianza del fatto che i carciofi, sin dai primi del Novecento erano già una realtà produttiva dell’Isola, li ha menzionati anche Max Leopold Wagner in “La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua”, pubblicata a Heidelberg in Germania nel 1921. Tanto è vero, che l’autore nel paragrafo riservato alla bonifica dei campi, menziona le coltivazioni eseguite dai contadini nei piccoli appezzamenti di terra attigui alle proprie abitazioni.

Il carciofo, a causa del notevole contenuto di fibre indigeribili e acidi organici può irritare l'intestino dei bambini e pertanto conviene evitarne il consumo fino ai tre anni di età, però è ricco di sodio, potassio, calcio, fosforo e sali di ferro. Sotto il profilo farmacologico, il carciofo è un alimento tonico e digestivo, contiene per l’appunto molto ferro. Il segreto di molte delle sue virtù benefiche risiede nella Cinarina contenuta in buona quantità e questa è risultata avere un importante ruolo nell’abbassare il livello del colesterolo. Inoltre, il suo principio attivo favorisce la diuresi e la secrezione biliare, anche se tali proprietà vengono annullate con la cottura. Questo effetto farmacologico è stato dimostrato da numerosi studi scientifici. Insomma una vera miniera di proprietà a difesa del corpo umano.

Ingredientis:

kg 1,5 circa di carne d’agnello tagliata a pezzi regolari, 6 carciofi spinosi sardi compreso il gambo - canciofa -, 1 limone giallo  non trattato, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 mazzetto di timo sardo - armiddha -, 1 cipollotto, 1 ciuffo di finocchietto selvatico - fenugheddu aresti -, 3 spicchi d’aglio, 4 pomodori secchi ben dissalati - pibadra -, g 100 di olive di Gonnos (facoltative), vino bianco secco, zafferano San Gavino - tzaffanau Santu‘Engiu -, brodo vegetale, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

pulisci la carne dall’eventuale residuo di grasso, i vari filamenti e tienilo da parte, poi prendi un capace tegame e versaci dentro un giro d’olio, ponilo sul  fuoco e quando  bollente fai imbiondire l’aglio leggermente schiacciato (che dopo eliminerai) insieme ai pomodori secchi, il cipollotto il finocchietto e il timo, il tutto tritato finemente.   Trascorsi un paio di minuti, tuffaci lo spezzatino d’agnello e fallo sigillare uniformemente. Una volta dorato, bagnalo con una spruzzata di vino, evaporato, copri la preparazione con un coperchio e prosegui la cottura dolcemente per quaranta minuti circa, bagnando di tanto in tanto la pietanza con del brodo bollente aromatizzato con una bustina di zafferano, qualora la medesima tendesse ad asciugarsi. Nel mentre, monda e pulisci i carciofi (gambi compresi) eliminando le foglie esterne più dure e facendo attenzione a non pungerti. Con un coltello molto affilato, torniscili, tagliali tutt’intorno come per scolpire una trottola e man mano  che li prepari, dividili in metà, elimina la barba all’interno, le eventuali spine rimaste e tagliali ancora a spicchi, ponendo il ricavato dentro a un recipiente contenente abbondante acqua fredda e il succo del limone (va bene anche un ciuffo di prezzemolo - pedrusémi - perdusemini - pedrusemmi -), onde evitare che anneriscano. Terminata questa operazione, uniscili allo spezzatino insieme ai gambi, il prezzemolo tritato, le olive se gradite, una mestolata di brodo bollente, infine regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe. Porta a termine la cottura, controllando  che i carciofi non si scuociano: occorreranno ancora venti minuti circa, prima di servire la vivanda insieme ai carciofi, il suo sughetto e delle sfoglie di pane carasau.

Vino consigliato: Cannonau di Sardegna Indolente rosso, dal sapore morbido, con finale lungo e pulito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Caffèi de gicòja o zicònia ranchida

 

 

  

La cicoria, pertinente alla famiglia delle Compositae - Gen. Cicorium sp. Intybus, cresce spontaneamente in tutte le regioni d’Italia e si trova nei campi arati, lungo i  bordi delle vie campagnole, nei terreni trascurati, nei prati e tanti altri posti ancora. In passato era ritenuta un erba amara e brutta, da qui il nome “bruttona”, ma nonostante l’appellativo negativo rilascia caratteristiche giovevoli per il corpo e nondimeno è erotizzante. Le virtù medicinali del tarassaco sono note sin dall’antichità, è ricco di vitamine e sali minerali, ha proprietà diuretiche, stimolanti, digestive, risulta essere un ortaggio utile contro la sonnolenza, per la salute di reni e del fegato, ed è soprattutto utile in cucina.

Plinio il Vecchio, nel suo trattato “Storia Naturale”, ne elogiava le virtù fondamentali. Mentre l’illustre medico greco antico Galeno di Pergamo, sosteneva che la cicoria era amica del fegato e aiutava la digestione, di conseguenza gli specialisti greci e latini la indicavano per curare i malanni  del ventre.

I Romani  nel corso dei triclini luculliani, erano soliti farsi portare vassoi colmi di cicoria, insieme a porzioni di uova di quaglie, di tordi, beccafichi (volatili simili alle capinere) e pavoni. Sempre nell’antica Roma il noto gastronomo Marco Gavio Apicio, in latino: Marcus Gavius Apicius, considerato il più grande esperto di gastronomia dell’antichità, chiamava la cicoria “intuba” e la condiva con il miele. I legionari dell’esercito romano la coglievano per cibarsene ai margini degli accampamenti “castrum”.

Una curiosità: in Sardegna esiste una ricetta: - lactuca e mele -, che veniva preparata sin dall’inizio degli anni Cinquanta, con la cicoria  “lactuca” con miele di favo e altri ingredienti. Nelle leggende alemanne la cicoria era ritenuta un erba prodigiosa, in quanto dava un ulteriore piacere nell’atto amoroso, aveva inoltre il potere di annientare i sortilegi della mala sorte e rendere le persone invisibili e invincibili. Ma, per riuscire ad avere questi benefici, era necessario estrarre dalla terra una radice, utilizzando un attrezzo d’oro e le corna di un cervo proprio nel giorno dell’anniversario di San Pietro e Paolo. Sempre in Germania, un’antica leggenda racconta che una principessa fu  lasciata dal consorte perché attratto da una fanciulla in fiore. La principessa dopo giorni di tormento si auto recluse dentro una torre del castello assieme alle sue ancelle proprio per non correre il rischio di rincontrare il suo compagno e, come succede nelle favole, il destino volle che un incantesimo tramutò la principessa in uno splendido fiore bianco e le sue dame di compagnia in fiori azzurro-violaceo che germogliavano nei campi e ai bordi delle strade dove passava il signorotto ripudiato.

Non a caso in germanico la cicoria “wegwarte”, guardiana delle strade o “wegeleuchte”, luce delle strade. Una curiosa storia rumena narra che un giorno il Sole, Sol in latino, domandò in sposa donna Floridor, l’interessata però declinò la richiesta, allora il nume, per dispetto la tramutò in un fiore di cicoria, obbligandola ad ammirare  l’esposizione dei suoi raggi durante il giorno, diventando “sposa del sole”, così come la chiamò Konrad von Megenberg (1309 - 1374), l’illustre botanico tedesco.

Ai giorni nostri, la cicoria selvatica conosciuta anche con il nome di dente di leone - dente di cane - cicoria dei prati - soffione - pisciacane - polenta del diavolo - corona del sacerdote e tanti altri nomi dialettali ancora, normalmente si utilizza fresca di taglio in insalata con uova sode ed insieme ad altre verdure, per preparare zuppe e minestre, ma anche lessata (l’acqua impiegata è utilizzata come pozione disintossicante) e condita in purezza con olio extravergine d’oliva, oppure una volta cotta, ben strizzata e saltata in padella con olio, aglio e peperoncino. In particolar modo in alcune regioni del Meridione, si conserva in svariate ricette e dentro a vasi di vetro sterilizzati. La cicoria è diventata famosa per essere un degno sostituto del caffè, preparato con le radici tostate, nell’Ottocento, questo rimpiazzo, si mise in evidenza, grazie al blocco del commercio dei prodotti alimentari provenienti dall’Inghilterra, ordinato da Napoleone.

Nel 900 durante la guerra e nei periodi di carestia, si utilizzavano per l’appunto le radici essiccate in quanto il vero caffè risultava introvabile o comunque molto costoso. Nei miei ricordi di infanzia e adolescenza c’è l’immagine di mia mamma che raccoglie le radici di cicoria o tarassaco - gicòria - gicòia - nei campi adiacenti alla nostra abitazione. Dopo averle lavate accuratamente le spezzettava e le faceva  tostare sul fuoco dentro a un apposito cilindro (fornello) di latta munito di sportellino e, tramite uno spiedo fissato al contenitore lo girava obliquamente in continuazione sulla fiamma, come si fa per cuocere il maialino o l’agnello arrosto, fino al raggiungimento del giusto livello di tostatura o fino a quando i rizoma si abbrustolivano totalmente. Una volta tostate e raffreddate le radici, le triturava con l’aiuto di un macinino e il ricavato lo utilizzava come surrogato del caffè - caffè de gicòja o zicònia ranchida -  caffè di cicoria amara e, per dirla con tutta sincerità, buono che era.

Ingredientis:

kg 1 di radici di cicoria o tarassaco appena raccolte, rigorosamente in terreni  non inquinati e ben distanti da strade circondate da immondizie e detriti urbani, bicarbonato q.b.

Approntadura:

come prima operazione, raccogli le radici della cicoria o tarassaco  durante le ore soleggiate della mattinata, poi una volta arrivati a casa, monda il ricavato, tuffalo dentro a un capace recipiente colmo d’acqua fredda e lascia in ammollo per  una buona mezz’ora. Trascorso il tempo pesca le radici con un colino e man mano accomodale in un altro recipiente. Fatto  elimina l’acqua sporca e con l’aiuto di una spazzolina per alimenti, raschia il terriccio e le impurità rimaste attaccate alle radici, quindi rilavale in acqua fredda corrente e lasciale a bagno per un altra mezz’ora. Passato il tempo, scolale un'altra volta e getta via l’acqua sporca. Solo allora pulisci accuratamente le radici con un coltellino affilato, eliminando così altri eventuali residui, quindi rimettile in ammollo in altra acqua corrente fresca insieme una bella cucchiaiata di  bicarbonato e lasciale in ammollo per mezz’ora. Quando sarà trascorso il tempo indicato, scola le radici, lavale attentamente in acqua fredda corrente, allorché sistemale sopra a un canovaccio ad asciugare, dopodiché tagliale a piccole rondelle e man mano  che le prepari allargale dentro a una teglia foderata con carta oleata, di seguito passale in forno già caldo a 230°, lasciando lo sportello aperto quattro dita circa, in modo da permettere all’umidità contenuta di fuoriuscire. Non appena le radici risulteranno di un bel colore brunito scuro, o perlomeno sino a quando non saranno del tutto secche, sfornale e quando raffreddate, poche alla volta triturale dentro al macinino, così come si fa con i chicchi di caffè. Terminata questa operazione, con l’aiuto di un cucchiaino travasa parte della polvere dentro al filtro della caffettiera, riempiendolo solo a metà del suo livello e infilalo dentro alla caldaietta colma d’acqua. Infine avvitaci il supporto superiore dove a bollitura avvenuta fuoriuscirà il prezioso nettare dei poveri. Servi la bevanda caldissima in purezza o con del latte e a piacere con dello zucchero di canna.

 

 

 

 

 

 

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalita illustrate nella pagina di policy e privacy.

Chiudendo questo banner , scorrendo questa pagina,cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all`uso dei cookie. Per saperne di piu'

Approvo

Pubblicità big

Contatore accessi

Archivio

In questa sezione potrai trovare tutti i numeri del "Messaggero Sardo" dal 1969 al 2010

Archivio Nuovo Messaggero Gds Online...

Circoli

Elenco completo di tutti  i circoli sardi in Italia e nel Mondo, le Federazioni e le Associazioni di tutela.

Sport

Le principali notizie di tutti gli sport.

In Limba

Le lezioni in limba, il vocabolario e le poesie in limba.

doğal cilt bakımı doğal cilt bakımı botanik orjinal zayıflama ürünleri doğal eczane avon