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“I delitti della salina” di Francesco Abate

 Il titolo, “I delitti della salina”, dell’ultima opera narrativa (Einaudi) dello scrittore cagliaritano Francesco Abate, ci dice immediatamente che abbiamo a che fare con un romanzo giallo che lascia facilmente individuare l’ambiente in cui si svolgono le vicende narrate: le famose saline di Cagliari, dalle quali da secoli è stato estratto il sale marino, tanto prezioso perché tanto ricercato. Il commercio di quello che giustamente è stato definito l’“oro bianco” ha favorito lo sviluppo dell’apparato produttivo necessario per l’estrazione e ha reso fiorente l’attività del porto di Cagliari, luogo di partenza delle navi adibite all’esportazione.

 

L’opera è però anche un romanzo storico e una guida alla città di Cagliari (non a caso, nella sezione finale dei ringraziamenti, sono ricordate sia le pubblicazioni di storia sia quelle di descrizione dei luoghi e dei percorsi della città sulle quali si è documentato l’autore).

La suspense della trama, del plot, di questo libro è certo intrigante (lo è stata anche per me, e ne dirò l’essenziale più avanti) ma personalmente, come deformazione professionale derivante dal mio ruolo di attivo divulgatore della storia della Sardegna presso i Circoli degli emigrati sardi, mi preme sottolineare il fatto che – una volta soddisfatta la curiosità di come “va a finire” lo sviluppo dell’intreccio – i lettori sardi (emigrati e residenti) e i lettori italiani colgano le allusioni ai fatti storici che vengono evocati nelle pagine del romanzo per approfondirne la conoscenza sui testi che li ricostruiscono.

Siamo nel mese di settembre dell’anno 1905. «L’unica giornalista donna della Sardegna era finita in un sottoscala a correggere [per il quotidiano “L’Unione”. NdR] le bozze di due rubriche di scarso valore per aver osato far venire a galla la verità. Una verità che non era piaciuta a molti». Quale era stata la colpa di Clara Simon (che esplicitamente vuole ispirarsi al modello della giornalista statunitense Nellie Bly, 1864–1922, che ha voluto non nascondere la verità «dai luoghi più disgraziati del mondo: fabbriche, orfanotrofi, manicomi»)? Aver raccontato in un articolo la verità «facendo finire in galera un crumiro al posto di una povera operaia dei trinciati»: era stata “demansionata”, come si direbbe oggi, nel lavoro, ma si era guadagnata la simpatia e l’ammirazione delle sigaraie della manifattura tabacchi, impegnate nella difesa dei propri diritti (richiesta di riduzione del massacrante orario di lavoro: da quindici a tredici) e nelle lotte contro il carovita (che suscitarono a Cagliari e nell’isola intera i moti popolari del 1906: a questa rivolta cagliaritana Sergio Atzeni ha dedicato un testo teatrale, “Quel Maggio 1906”).

In un dialogo fra il tenente napoletano dei carabinieri Rodolfo Saporito che replica paonazzo («Fatemi capire, siete di nostalgie borboniche?») a un’affermazione di Clara («Da dove viene lei è Italia: questa terra, invece, non lo è »), la quale di rimando, avvampando,  controbatte (« Ma quale borbonica e borbonica! Siamo stati noi sardi ad avervi dato un regno. Diversamente, lei e il suo uso smodato del “voi” sareste rimasti borbonici, e i Savoia duchi di un luogo senza…») si coglie l’eco delle tesi di una certa corrente storiografica che sostiene – ha scritto Aldo Accardo, nel suo volume “Eutanasia di un Regno”, che non condivide l’assunto  – «l’esistenza di una continuità statuale del Regno di Sardegna dal 1324 ad oggi».

Leggiamo queste righe: «Da basso, in via santa Margherita, il corteo stava scemando, la testa era già in piazza Yenne, sotto la statua dell’odiato re Carlo Felice. Ritratto in vesti romane, con tanto di elmo e di braccio alzato a indicare la giusta via, il solo nominarlo faceva rivoltare le budella dei sardi. Aveva governato col pugno di ferro, tanto da beccarsi il nomignolo di “Carlo Feroce”». Su questo tema sta avendo grande successo in Sardegna il volume “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” a firma di Francesco Casula, che è tra i promotori della campagna “Spostiamo la statua di Carlo Felice: un’occasione per studiare la storia della Sardegna”.

In relazione a un paventato sciopero generale che si annunciava «in tutta la regione e questa volta, si mormorava, avrebbe persino coinvolto i forzati della salina [a partire dal 1767 e fino agli anni 1920, nelle Saline lavorarono i forzati, prima provenienti dalle carceri piemontesi e poi dal vicino carcere di San Bartolomeo. NdR]» nel libro si dice che «il prefetto Calcaterra aveva messo in allerta l’esercito, in barba allo scellerato coinvolgimento durante lo sciopero dei minatori di Buggerru, che l’anno prima [1904] aveva portato alla morte quattro operai» (e qui chi non l’avesse mai fatto è pregato di leggere almeno il romanzo storico “Paese d’ombre” di Giuseppe Dessì, ricco di riferimenti alla storia della Sardegna dell’Ottocento e degli inizi Novecento).

In questo romanzo di Dessì vengono descritti anche «i picciocus de crobi, i piccoli facchini cagliaritani, scalzi, vestiti di stracci e vispi come passeri, con le loro gialle corbule di giunco, sempre pronti a trasportare qualsiasi merce per pochi centesimi». Ebbene, Abate, con il suo giallo, fa una appassionata denuncia dello sfruttamento cui sono sottoposti questi «bambini dei cesti» e delle condizioni di miseria in cui sono costretti a vivere. La giornalista detective Clara, insieme con il collega Ugo Fassberger e il citato tenente dei carabinieri Saporito, devono risolvere il mistero della scomparsa accertata di due «piciocus de crobi», che verosimilmente fa seguito a sparizioni di cui non si è saputo niente, ma probabilmente avvenuta anche esse nella salina per i motivi che essi, alla fine, scopriranno.

 

Due notazioni personali

1)Abate non manca di fare un cenno al canonico Giovanni Spano (Ploaghe 1803-Cagliari 1878), autore, fra le tante opere, di una pionieristica “Guida di Cagliari e dintorni” (1861), ed io, in quanto ploaghese e curatore, insieme con Salvatore Tola, di un volume sul sacerdote iniziatore delle ricerche linguistiche e archeologiche applicate alla Sardegna, non posso che compiacermene.

2) Diciamo che ho maturato una certa esperienza, dal 1966, come correttore di bozze. A me non è sfuggito un lieve refuso a pagina 9. Credo che sarebbe stato individuato anche dalla giornalista investigativa declassata a correttrice di bozze, Clara Simon…  

Paolo Pulina

 

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