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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Dicembre 2020

Sa carapigna de Santa Luxia de Santu ‘Engiuu Murriabi

 

Il 13 dicembre in Svezia, ricorre la festa di Santa Lucia e coincide con la notte più lunga dell’anno. In questo paese, la Santa Siracusana è ricordata con rituali conviviali ed enogastronomici. Anche nel nostro paese, in modo particolare al nord, è tradizione che Santa Lucia porti i regali ai più piccini insieme alle caramelle e ai dolcetti che appesi all’albero dureranno fino al Santo Natale. In Svezia la tradizione vuole che la festa si celebri con l’apparizione di una Lucia  dai capelli lunghi e biondi avvolta da una candida e bianca camicia da notte e con in testa una corona formata da sette candele accese, che porta il caffè e poi canta. Questo rito avviene in tutte le case, dove i bambini, insieme con Staffan, lo stalliere e Tontem, il folletto (mitici personaggi delle saghe nordiche) cantano inni religiosi e ballano. Solo allora gli invitati iniziano a sgranocchiare i lussekatter, panini dolci aromatizzati allo zafferano, innaffiandoli con abbondante glogg, il vino caldo di Santa Lucia. Il glogg assomiglia parecchio al nostro vin brulé ed ha una notevole gradazione alcolica, l'ideale per scaldarsi e sollevare gli animi. Non si è mai capito come Santa Lucia, una bella e giovane patrizia di Siracusa vissuta al tempo dell’imperatore Diocleziano e morta martire per non rinunciare alla fede cristiana, sia finita in Svezia. Forse gli svedesi l’hanno scelta perché in questa buia notte, la bellezza splendida della Santa ricordava loro il calore del sole di Sicilia, un allontanarsi dal gelido nord, come i piatti di questa straordinaria festa invernale, in cui abbondano spezie che profumano di caldo  oriente e di  calore fraterno.  In Italia, sono diverse le ricette regionali che si preparano per Santa Lucia, per citarne alcune: i siciliani per l’occasione preparano la cuccia, dolce che per tradizione, veniva e viene tutt’ora distribuito a familiari, amici e vicini di casa. In Campania, e per la precisione nell’Irpinia è tradizione per Santa Lucia cucinare i cicci (misto di leguni: ceci e fagioli), conditi con abbondante aglio, peperoni e aceto (papaccelle o pupacchie). La consuetudine vuole che per l’occasione i devoti donassero in voto una scodella di cicci in onore della Santa, chiamati “Cicci di Santa Lucia”, la quale Santa è la protettrice degli avellinesi. Nel nord Italia, si preparano i lussekatter "gatti di Lucia", brioche gradevolmente saporite, di chiara connotazione svedese, conosciute pure come “focaccine allo zafferano di Santa Lucia”. Hanno la forma di una esse e sono di un accattivante colore giallo caratteristico dello zafferano (spezia oggi coltivata anche negli orti giardini di Milano) che,  con il suo colore giallo brillante, ricorda il sole nella buia stagione invernale nordica. Santa Lucia è anche patrona di tantissime altre città d’Italia e in Sardegna è la patrona dell’associazione dei calzolai di Sassari. Sempre in Sardegna e, precisamente a San Gavino Monreale, ricordo da bambino, quando il 13 dicembre si festeggiava Santa Lucia e,  in quei tempi era meta di pellegrini che si spostavano a piedi o con il carro trainato dal cavallo dai paesi vicini, per invocare una grazia alla Santa. La festa avveniva nel piazzale della chiesa omonima, risalente al nono secolo (inizialmente dimora dei monaci bizantini, chiamati Basiliani, appellativo della congregazione religiosa creata da San Basilio, vescovo di Cesarea 329-379 d.C., città scomparsa che era territorio di cinque città: Ravenna, Forlì, Forlimpopoli, Classe e San Vitale, successivamente abitata dai frati minori francescani), opportunamente ghirlandata e abbellita da migliaia di bandierine colorate e bancarelle di ogni genere, che mettevano in bella vista la loro merce. Ma, la bancarella che ancora oggi ricordo con più entusiasmo era quella che esponeva - sa carapignacarapinnia - carapinna - garapina e dal catalano garapinya - (sorbetto – gelato o granita al limone). Ogni anno, all’interno della manifestazione, sono presenti mostre, spettacoli e l’immancabile “stand delle bambole”, ovvero il banco della lotteria, con premi raccolti dal comitato preposto, che ancora oggi come allora avviene attraverso una questua - sa circa - la cerca, effettuata in paese di casa in casa e  coinvolgendo così tutti gli abitanti, compreso mia mamma che, per l’occasione regalò agli organizzatori un servizio completo di tazzine da caffè in porcellana per sei persone, compresi i  piattini, il bricco, la lattiera, la zuccheriera e il vassoio. Il giorno della festa, io e i miei fratelli andammo  a fare un giro in convento per assistere alla messa in onore di Santa Lucia e subito dopo cercammo la bancarella dove preparavano - sa carapigna - per gustarne un bicchierino a testa e, dato che ci rimasero ancora dei soldini, decidemmo di comperare un biglietto della lotteria. Notevole fu l’entusiasmo nell’apprendere che avevamo vinto e… altrettanto fu lo stupore quando ci consegnarono il premio ambito: il servizio da caffè di porcellana che mia mamma aveva regalato al comitato  della questua (di solito la gente regalava gli oggetti che secondo loro erano diventati obsoleti - accaiousu -). Inutile dire le risate che si fece mia mamma quando riportammo il premio a casa, esclamando: oh no!. Non è possibile, non vedevo l’ora di liberamene e, voi me lo avete riportato indietro! Simpatica la storia vero?. Cosa ne pensate… non ha del fantastico! Una curiosità: l'Occhio di Shiva (Occhio di Santa Lucia), è conosciuto in tutto il mondo con molteplici nomi. In Italia, Occhio di Santa Lucia, è la piccola “porta di casa” di un frutto di mare soprannominato Astrea rugosa. Questa conchiglia è diffusa in tutto il Mediterraneo, Sardegna inclusa e nelle credenze popolari dei sardi, vengono ritenute pietre contro il malocchio - pedras contra s’ocru malu -. Le spiagge dell’Isola sono ricche delle suddette e, i bagnanti che le affollano, le ricercano minuziosamente, come cercare una pepita d’oro, tanto è vero che chi le trova le utilizza per farle incastonare in un anello o come ciondolo di una collana.

Ingredientis:

g 400 di acqua pura di sorgente, g 200  di zucchero comune o zucchero bianco di canna, g 200 di succo di limoni gialli non trattati e filtrato, scorza grattugiata di 1 limone giallo non trattato.

Approntadura:

prepara lo sciroppo, versando l'acqua in dotazione dentro una pentola d’acciaio, aggiungi lo zucchero e porta a bollore mescolando spesso il liquido. Quando l'ebollizione sarà avvenuta, mantienila per circa tre minuti. Trascorso il tempo spegni il fornello e lascia raffreddare lo sciroppo. Tieni in frigorifero fino al momento dell'uso. Solo allora, spremi gli agrumi ben lavati, grattugia la scorza dell’altro limone, unisci il tutto allo sciroppo, versa il composto nella gelatiera e fallo mantecare fino a quando otterrai una crema morbida, omogenea e priva di grumi. Servi la carapignia in bicchieri di vetro con un ciuffo di menta selvatica - menta de arriu -.

 

***

Su trigu cottu e sa Candelarìa

 

Sin dal tempo dei Romani, da oltre 2000 anni, era usanza mettere a disposizione il primo giorno del mese dell’anno nuovo (kalendae, così veniva indicato il primo giorno di ogni mese). un  bene da condividere con altre persone indipendentemente dal ceto sociale. Una simile consuetudine è stata tramandata e avviene pure in Sardegna attraverso il rito - de su trigu cottu e sa candelaria - il grano cotto e il pane, che è un arcaico cerimoniale scaramantico che si festeggia pur con differenti abitudini da un paese all’altro.

Per esempio nel Campidano cagliaritano è usanza festeggiare con - is candelaus - dolci preparati con pasta di mandorle, zucchero e acqua ai fiori d’arancia (nel Medioevo si impiegava l’acqua di gelsomino) a forma di calice o di animaletti. Ad Armungia - Armùnja - (provincia di Cagliari), paese di grande interesse storico e antropologico il 31 dicembre si svolge come da tradizione il rituale obolo - de su trigu cottu -, grano cotto impreziosito con miele e - saba - mosto di vino cotto. A Fluminimaggiore (Carbonia-Iglesias) invece, i ragazzini andavano e tutt’ora vanno a bussare di porta in porta nelle abitazioni a chiedere - is candeleris -, una ciotola di grano bollito e una tazza di latte appena munto, con la speranza che l’anno che verrà, sia all’insegna del buon auspicio. Mentre in altri paesi, San Gavino, Pabillonis, Sardara, Sanluri, Guspini tanto da citarne alcuni, si festeggiava (e in alcuni la tradizione continua) con il grano cotto addolcito con - sa saba - o il miele. Per riportare una curiosità, a San Gavino Monreale (oggi “città dell’oro rosso” per l’importante produzione nazionale di zafferano), durante la mattina di capodanno, da bambino, io e miei fratelli andavamo con una scodella o un sacchetto di tela in mano a bussare di casa in casa per chiedere se ci offrivano del grano cotto, esclamando così: - buongiorno sa zia! -: - “sindi onada de trigu cottu”?-  buongiorno signora, ci da del grano cotto? E, ad esaudire la nostra richiesta seguiva il sorriso e la compiacenza di una donna tutta indaffarata ed impegnata a riordinare la casa ancora in disordine, a causa della baldoria avvenuta durante i festeggiamenti del cenone di San Silvestro. È un ricordo ancora vivo che mi porto da sempre dentro allo scrigno della memoria.

Il grano cotto con - sa saba -, veniva anche portato in dono a parenti, amici e vicini, con lo scopo di augurare loro prosperità e salute per l’anno appena cominciato all’insegna dell’abbondanza e della salute. In Sardegna, durante i preparativi delle feste, ancora oggi si vivono momenti emozionanti e nell’attesa vengono coinvolti grandi e piccini. Anche se le antiche consuetudini variano da paese in paese, sono tutte collegate da un solo germe, laddove per quanto pochi siano i giorni di festa,  non esiste il bello e il brutto, il grande e il piccolo, il ricco e il povero, il buono e il cattivo ma, esistono solo momenti di giubilo. Questo a dimostrazione del fatto che, nell’Isola le costumanze da sempre sono sentite profondamente in tutto il loro fascino leggendario che le avvolge, tramandate da generazione in generazione, fino a giungere così come erano ai nostri giorni.

Ogni luogo ha una sua folcloristica usanza, per esempio  nell’oristanese  è abitudine il offrire - su trigu cottu - precedentemente lessato, scolato e impreziosito con - sa saba -mosto d’uva cotto e poi donato come augurio di uno scaramantico anno nuovo. Sempre nell’area dell’oristanese, ad Armungia, il 31 dicembre, si svolge l’abituale distribuzione - de sutrigu cottu -, il grano cotto addolcito con miele, zucchero e - saba -. A San Vero Milis, paese noto per gli agrumeti e pure per l’esistenza di alcune - domus de janas -, e terra di conquista dei Fenici, i quali edificarono funzionali complessi agricoli di cereali, tanto che il sito è descritto e documentato fra i depositi di grano di Cartagine prima e di Roma dopo, si prepara - su trigu pillissau o trigu cottu -, grano fatto bollire in abbondante acqua sorgiva, poi condito con - sa saba -, quindi offerto come augurio per il nuovo anno. Nel medesimo giorno ad Ardauli si ripete un’arcaica tradizione chiamata - sa coccoi -, tipo di pane di semola di grano duro impastato a lungo e decorato con eleganza. Mentre a Seneghe, paese ricco di – mizzas – mitzas - sorgenti con proprietà diuretiche, come pure a Bauladu, ogni anno a fine dicembre promuovono la sagra - de su trigu cottu - il grano cotto, celebrano il rituale del grano cotto che si ripete da tempo immemorabile.

Eventi storici fortemente ancorati alle tradizioni sono ancora in uso nelle zone dell’area interna isolana, lo testimoniano le zone dell’Ogliastra, della Barbagia, del Logudoro, dove i bambini si aggirano per le vie del paese bussando alla porta delle case degli agricoltori benestanti, chiedendo loro -“a nolla dazes sa candelaria?” – “ce la date la candelaria?”, che è un obolo alimentare (mandarini - mandorle - noci – nocciole - castagne - fichi secchi – salsicce - formaggi e vino). Mentre nel nuorese, con lo scambiarsi gli auguri di buon anno si donano focacce di pane bianco - paneddas - moddizzòsus -, chiamate - arine càpute -. La stessa scrittrice e traduttrice italiana Maria Grazia Cosima Deledda, nata in Sardegna e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nell’anno 1926, cita nei sui scritti l’ultimo giorno dell’anno come la festa dei bambini del nuorese.

La candelaria viene rammentata pure dagli anziani dei paesi e dintorni di Fonni – Oliena e Mammoiada, perché la festa si svolgeva durante la notte e ovviamente anche loro  potevano ricevere le offerte che le famiglie benestanti mettevano a disposizione. A Orgosolo ancora  oggi i bambini aspettano con emozione l’arrivo della mattina del 31 dicembre perché  non vedono l’ora di poter bussare alle porte delle case del paese e ricevere i  doni mangerecci, compreso - sos cocones - pane di pregiata fattura che per l’evento, le abili mani delle massaie orgolesi preparano. - Su cocone - infatti veniva e tutt’ora viene preparato con - sa simula - farina di semola di grano duro sardo da impastare - subighere suexi – ciuexi - ciuèxiricummossai - impastai - assieme al lievito madre e acqua di fonte. Tanti altri ancora sono i paesi che ogni anno rievocano questo leggendario rito, che da sempre allieta il cuore degli abitanti di questa meravigliosa Isola e tante sono le storie e le leggende legate a - sa candelaria -, un rito che resiste da secoli e che non si lascia di certo intimidire dagli attacchi dell’era moderna.

Ingredientis:

kg 1 di  grano duro sardo, g 500 di - saba - mosto di vino cotto, g 100 di miele Montevecchio tipico della Sardegna, acqua di fonte e sale q.b.

Approntadura:

il trenta dicembre, monda il  grano - pruga – prugaddu -, eliminando le pagliuzze e le bucce rimaste delle spighe, poi lavalo e tuffalo dentro a una marmitta con abbondante acqua e lascialo a bagno per un giorno intero, cambiando l’acqua sovente. Fatto, il trentuno notte, scolalo e mettilo a  bollire dentro a una capace pentola di terracotta -olla manna - in abbondante acqua leggermente salata fino a quando il  grano risulterà bello gonfio  e i chicchi tenderanno ad aprirsi. Solo allora, allontana il recipiente dal fuoco, poi coprilo con dei panni da cucina e una coltre di lana e lascialo così coperto fino al mattino in  modo che il grano continui a gonfiarsi - a s’abbusciucai -. Trascorso il tempo occorso, scola il grano ancora tiepido dall’eventuale acqua di cottura rimasta, travasalo dentro a un largo recipiente e condiscilo con la - saba - e il miele, una volta amalgamato - su  trigu cottu - è pronto per essere offerto ai  bambini che verranno a chiederlo con la scodella in mano e quello che rimarrà sul fondo, beh è  buono  pure quello, perciò gente mano ai cucchiai.

Vino consigliato: Moscato di Sardegna, dal sapore delicato, fruttato, tipico e dolce.

 

 

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