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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi - Ricette Febbraio 2021

 Buddeddas o sàmbene de porcu

Fra le tante ricette dell’agropastorale della Sardegna, ne affiora una molto antica, preparata ancora come un tempo ed è legata al rito della macellazione domestica del maiale. Quando ancora si poteva allevarlo in casa, gran parte degli isolani, quelli che non abitavano  nelle città s’intende, possedevano l’orto attiguo alla propria abitazione e oltre a produrre frutta e ortaggi, allevavano il maiale e le galline per uso proprio e, dato che del maiale non si getta via nulla, nel periodo più freddo dell’anno si macellava l’animale, si teneva da parte il sangue e per non farlo coagulare veniva mescolato velocemente dentro a un recipiente con un bastone o un mestolone di legno di corbezzolo, fin tanto che questo non si slegava e rimaneva liquido. Nel mentre che una persona faceva tale operazione, il norcino sardo con i suoi collaboratori, si apprestava a disossare il maiale, eliminando dapprima l’irta peluria -  zuddas - setole come si fa per radersi la barba (tecnica soppiantata e sostituita con la bruciatura). Di seguito avveniva il sezionamento delle varie parti di carne, idonee per il confezionamento dei vari insaccati, quali salsiccia - sartizzu -, coppa - cuppa -  pancetta - pantzetta - frenteddu - sumere - laldu fini - lonzino - mustela -, tanto per citarne alcuni.

 

Mentre tenevano da parte il musetto, le  orecchie, le zampe, la coda e le frattaglie, pronte per essere cucinate e mangiate alla fine della lavorazione, questo a conferma di quanto già detto che del maiale non si getta via nulla. Con il sangue tenuto da parte invece si preparavano i sanguinacci - samguineddus - sambinis de porcu - buddeddas - bentre de sambini - zurrette - e tanti altri ancora sono i nomi utilizzati in Sardegna, a seconda della zona di produzione.

La preparazione della base era ed è la seguente: si mescola al sangue zucchero, uva passa, cannella, semi d’anice - matafiluga - (questa spezia è utilizzata anche per insaporire l’impasto della salsiccia - sartizzu  -) o di finocchio - fenugu - fenugheddu - in polvere e a seconda della zona, aggiungono anche polvere di bucce d’agrumi essiccate, chiodi di garofano, noce moscata, latte, sapa -  saba -, miele, sale e pepe macinato al momento. Il tutto lasciato marinare per una notte e l’indomani la miscela ottenuta, viene utilizzata per riempire le budella e formare i sanguinacci, che vengono legati e lessati in acqua bollente leggermente salata per un quarto d’ora circa. Una volta passato il tempo si scolano, si lasciano raffreddare e si servono a fette. Nel Medio Campidano tante famiglie una volta lessati, i sanguinacci è usanza farli arrostire alla graticola sulla brace del caminetto e sono davvero buoni. Provare per credere.

Facendo un giro per l’Italia, ci accorgiamo che i sanguinacci non sono  solo una ricetta della Sardegna, per esempio in Piemonte i sanguinacci “broid - berodi” li preparano in versione salata e li fanno cuocere in casseruola con un soffritto di cipolla, alla stessa maniera li cucinano in Lombardia. Nel Novarese l’impasto è a base di patate lesse, a cui si aggiungono sangue di maiale, talvolta di bovino, pancetta e lardo, oltre alle consuete spezie: aglio e tanto pepe. Nella cucina ligure sono conosciuti col termine dialettale di “berodi”, e si cucinano con pinoli, latte di capra, cipolle e risulta essere un piatto  della tradizione natalizia. In friulano il sanguinaccio si chiama “sanganèl”, in valdostano “boudin”, in Alta Valtellina“birölt” e in tutte e tre le regioni lo consumano insieme a una fumante polenta. In Calabria il sanguinaccio lo chiamano "sangiari" e viene preparato con  sangue di maiale, mosto cotto e ricotta. Mentre i sanguinacci della Toscana si preparano secondo un’antica ricetta di insaccato, preparato con le parti meno nobili del maiale, con l'aggiunta di semi di finocchio selvatico e svariate spezie e in Garfagnana lo chiamano “biroldo”, nel senese “buristo”, nei dintorni di Firenze “bardiccio”, nell’aretino “sambuello”, in Trentino i sanguinacci li chiamano “baldonazzi, nella Valle di Non “brusti e nel Lazio il sanguinaccio lo chiamano “gastron”. Nella tradizione campana “o sanguinaccio”, in quella molisana i sanguinaci li chiamano “ru sanguanatu - le sanghenàte” e sono a base di sangue, cacao, pinoli tostati, uvetta, riso e scorze d’arancio. I pugliesi li chiamano “lu sanguina - lu sanguinazz - ru o lu sanguenacce” quelli salati,  mentre quello dolce lo chiamano “callume” ed era già presente nei banchetti seicenteschi, mentre i siciliani li chiamano “sangeli”, ma entrambe le regioni utilizzano per la preparazione l'intestino e, una volta cotti li mangiano a fette. Anche nella cucina lucana si preparano diverse ricette con i sanguinacci e a seconda del luogo variano; come quelli della zona di Potenza che si confezionano con ingredienti insoliti, tipo il cacao amaro, la cannella, il cioccolato fondente e la vaniglia ma non è finita, in un'altra ricetta è prevista l’aggiunta di friselle sbriciolate, riso, miele, caffè, biscotti secchi, uvetta passolina e cioccolato fondente a scaglie. Ma tanti altri ancora sono i luoghi in Italia, dove si cucinano i sanguinacci, ognuno con la propria tradizione, la cultura e l’usanza che da sempre diversifica gli uni dagli altri, ma sempre nel segno della qualità e dell’umiltà che vive dentro l’ego di ogni persona.

Ingredientis:

g 800 di sangue di maiale, g150 di zucchero comune, g 300 di uva passa senza semi, un cucchiaino raso di polvere di bucce essiccate di agrumi, un cucchiaino raso di polvere di anice, un cucchiaino raso di cannella in polvere, budella di maiale pronte all’uso, sale e pepe nero q.b.

Approntadura:

la sera prima, versa il sangue dentro a un recipiente d’acciaio, poi unisci lo zucchero, di seguito l’uva passa, l’anice, la cannella, la polvere d’agrumi e mescola bene il tutto con un mestolo di legno di corbezzolo per fare amalgamare armonicamente gli ingredienti. Fatto, copri la pentola con un coperchio e lascia riposare la miscela tutta la notte in luogo fresco. L’indomani, preparati le budella ben lavate in precedenza con acqua e aceto, tagliale della misura di un salsicciotto, legale da un lato, poi riempi ognuna con la poltiglia marinata lasciandone una parte vuota (per evitare che nella successiva fase di bollitura si apra), quindi legali accuratamente e una volta terminato, falli lessare per un quarto d’ora circa dentro a una marmitta colma d’acqua bollente, leggermente salata e aromatizzata con una foglia di lauro. Trascorso il tempo indicato, scolali e appena freddi taglia a fette i sanguinacci - buddeddas -,   oppure cucinali alla griglia sulla brace del caminetto. Va ricordato che oggi il sangue di maiale non è più commerciabile, in quanto una legge del 1992 ne vieta la vendita, a causa del pericolo di infezioni e malattie. Nonostante il sangue di maiale non sia più facile reperirlo in commercio, pastori e contadini di tutta la Penisola, utilizzano ancora quello ricavato dalla macellazione dell’animale nel periodo invernale, per preparare squisite ricette di sanguinacci.

Vino consigliato: Nasco di Cagliari liquoroso riserva ben freddo, dal sapore gradevole con punta lievemente amarognola,  tipico e dolce.

 

***

 

Mustatzollus antigórius druciatzus de is laureris 

 

Sempre stando sul tema di … non c’è occasione, … non c’è sagra e tanto meno non c’è festa paesana in Sardegna in cui possano mancare i mostaccioli - mustazzolus - ladixeddas -, così come i - mustatzollus antigórius druciatzus de is laureris - mostaccioli antichi dolciastri della cultura contadina. Si trovano sulle bancarelle assieme ad enormi blocchi di torrone e altri dolci della tradizione isolana.

Presumibilmente fanno parte di quel genere di dolci che appartengono alla memoria rurale del popolo italiano. Sobri, di sapore dolce, sostanziosi con la peculiarità di durare diversi giorni, infatti sin da tempi molto lontani venivano apprezzati ed erano dolci da offrire alle persone in segno di ospitalità. L’autore latino Marco Porcio Catone detto il Censore, nel suo Liber De Agricoltura, descrive i  “mustacei”, citando ingredienti come il mosto, la farina, la sugna, l’anice, il cumino, l’alloro, ma l’ingrediente che amalgamava il tutto era il mosto d’uva, sapa - saba -  per i sardi. Quel  mosto che per molti secoli è stato il dolcificante per eccellenza, degno sostituto dell’attuale zucchero, almeno  fino al secolo scorso e in particolar modo nella cucina contadina.

Durante tutto il periodo medioevale, gli ingredienti utilizzati per preparare mostaccioli erano gli stessi delle attuali ricette, con l’aggiunta della cannella per confezionare le torte nuziali “mustaceus”. Nella città di Romolo durante i giorni solenni dedicati a Saturno, divinità romana dell’agricoltura, il venticinque dicembre che simboleggiava il Natale, festa che avveniva dopo il solstizio d’inverno, oltre ai convenevoli di rito, si offrivano “i mustacca”, dolci preparati con farina e miele, di aspetto similare ai mostaccioli - mustatzollus -  nostri.

Queste offerte di biscotti, richiamano gli arcaici e semplici rituali delle credenze idolatriche che ricordano i progenitori della Valle dell’antico fiume Oxus,  l'odierno Amu Darya (Asia Centrale), in quanto il sacerdote ayrano, nelle prolifiche regioni dell’Eptasiuda che su la vetta del colle, dinanzi a un disadorno  altare, offriva il miele dorato e la candida farina al dio della luce e al dio delle tempeste.

Oggi con il termine mostaccioli si indicano dei biscotti pressoché simili fra loro in tutte le regioni del sud Italia e il nome “mustum” (mosto) non proviene dal latino, ma da “mustacee” una qualità di alloro, infatti in passato, nell’antica Roma erano soliti preparare con il “mustaceum”, una sorta di focaccia o torta per le nozze, che abitualmente fasciavano con foglie di alloro, in quanto queste conferivano al dolce fragranza mentre cuoceva. Da qui il proverbio “loreolam in mustace quaerere”: cercare inutilmente nella focaccia le foglie di alloro che si erano bruciate nel forno.

I mustazzoli sono noti anche come: - mostaccioli - zozzi - (a causa della glassa al cioccolato sulla superficie), - mostaccioli - mustatzollus - mustazzueli - bisquetti - pisquetti - mustazzòli ‘nnasparati - scagliòzzi - scàiezzuli - castagnette - e tanti altri ancora. Naturalmente molte regioni ne rivendicano a se la paternità, fra le pretendenti ci sono Sardegna, Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e persino Lombardia  e, tra una diatriba e l’altra, anche gli arabi ne rivendicano le origini, tanto è vero che nella loro cultura i dolci in questione, così come pure il pane erano privi di lievito. Era consuetudine ancora oggi in uso, cucinare e cibarsi con questi biscotti in occasione di ricorrenze e solennità.

Una curiosità riporta che, stando alle abitudini, questi caratteristici dolcetti si prestavano ad essere forgiati in diverse figure, per esempio nell’usanza cristiana a sagoma di pesce e volatili e in quella “infedele” a sagoma di donna, serpente o lettere. Oggi i mostaccioli fanno parte della cultura gastronomica popolare e col passare dei secoli sono cambiati nella forma e nella glassatura e ogni regione li arricchisce a seconda della propria usanza.

Cuoco Corrado, detto il cuoco filosofo e letterato italiano (1736 – 1836), scrisse il “Cuoco galante” nel 1773 e tra le sue ricette ne suggeriva alcune basilari che già nel 1800, anche in base alle evoluzioni culinarie regionali, erano aumentate di numero.

Bartolomeo Scappi, cuoco personale del papa Pio V, nel suo “pranzo alli XVIII di ottobre”, descrive gli ingredienti dei tradizionali mostaccioli partenopei “mustacciuoli” detti pure “mostaccioli”, fatti di pasta morbida che sa di miele e frutta candita, ricoperti con della glassa di cioccolato. Attualmente le regioni che si sono mantenute più vicine alle trazioni antiche sono: la Sardegna con i - mustatzollus - di Oristano a base di spezie, anice stellato e polvere di scorze d’agrumi essiccate, l’Abruzzo con i mostaccioli a base di farina, miele e mosto ben cotto, la Sicilia con i rinomati 'mustazzola' di Ragusa, preparati a base di farina, vino cotto, miele fuso e mandorle tritate, la Puglia che per dolcificare i “mustazzoli” impiega il mosto cotto di fichi al posto di quello d’uva, i mostaccioli o – “ ‘nzuddha” calabresi a base di miele e tanti altri ancora. Sta di fatto che ogni Regione adopera le materie prime di cui dispone per preparare questi antichissimi biscotti, ricchi di storia e di bontà. Ma tra storia e tradizione, i mostaccioli - mustatzollus - mustazolus - mustazzolus – mustazzolos - di Oristano (anche se non c’è certezza, pare siano stati gli arabi a lasciarci questa sublime dolcezza, per via delle spezie e l’alta percentuale di zucchero utilizzato), rigorosamente glassati in superficie, si differenziano da quelli di ogni altra regione d’Italia, per la loro fragranza, per le appassionanti curiosità che la storia ci ha regalato e perché a Oristano non c’è Sartiglia senza vernaccia e mostaccioli.

Ingredientis:

kg 1 di farina tipo 0, kg 1,2 di zucchero comune, 1bel limone giallo non trattato, 1 cucchiaino di polvere di scorze d’agrumi essiccate, una presa di anice stellato in polvere, una presa di chiodi di garofano in polvere e un cucchiaio raso di cannella in polvere, un cucchiaio raso di bicarbonato di sodio, g 500 d’acqua, g 30 di lievito di  birra, g 25 di strutto suino, 1 cucchiaino di miele o di malto, un cucchiaino di zucchero comune, strutto per ungere la teglia e farina per lo spolvero q.b. per la glassa: g 300 di zucchero al  velo, 2/3 albumi d’uova, succo di limone o liquore a piacere, sale q.b.

Approntadura:

disponi a fontana la farina setacciata sul ripiano di una madia o su una spianatoia e al centro tuffaci lo zucchero, il limone grattugiato, la polvere d’agrumi, un pizzico di sale, l’anice stellato, la cannella, i chiodi di garofano, il bicarbonato e l’acqua tiepida, nella quale avrai fatto stemperare il lievito insieme allo strutto con il miele o il malto e un cucchiaino di zucchero (questo accorgimento serve per agevolare la lievitazione e a rendere la superficie dei mostaccioli leggermente più croccante). Fatto, amalgama insieme  tutti gli ingredienti fino a quando otterrai un composto privo di grumi ed omogeneo, che lascerai riposare coperto in luogo tiepido e privo di correnti d’aria per due giorni interi (l’ideale sarebbe riporre l’impasto dentro al forno  spento con la sola luce accesa). Trascorso questo tempo, rimaneggia l’impasto sul ripiano di lavoro generosamente infarinato e lavoralo accuratamente fin quando risulterà compatto e morbido. Terminata questa operazione, ritaglia un pezzo di pasta e con l’aiuto di un matterello allargala appiattendola dello spessore di sei, sette millimetri (o comunque non più spesso di un centimetro), poi ungi con dello strutto più teglie, quindi cospargile abbondantemente di farina, subito dopo scuotile per eliminare quella in eccedenza, dopodiché con l’apposito stampo a rombo (anch’esso infarinato) ritaglia i mostaccioli, tanti quanti ne consente l’impasto, ritagli compresi (otterrai circa 60 mostaccioli) e man mano che li confezioni, accomodali sulle teglie precedentemente unte e infarinate distanziandoli. Dopodiché passa i dolci in forno già caldo a 180° per venti minuti, passato il tempo, sfornali e tienili  da parte. A questo punto, prepara la -cappa - glassa, mescolando insieme lo zucchero al velo con gli albumi dentro a un recipiente, una presa di sale, poco succo di limone e una cucchiaiata di liquore a piacere. Quanto si sarà formata una crema liscia e malleabile, prendi un pennello per alimenti, intingilo nella glassa e delicatamente imbianca a uno a uno i mostaccioli e, una volta che la - cappa - si sarà asciugata, diventerà  bianca. Solo allora i -  ladixeddas - mustatzollus - saranno pronti per essere serviti o conservati per parecchio tempo dentro a scatole di latta chiuse ermeticamente.

Vino consigliato: Vernaccia di Oristano liquoroso, dal sapore fine, sottile, caldo con leggero retrogusto di mandorle amare, asciutto e dolce.

 

 

 

 

 

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