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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi - Ricette Aprile 2021

 Trutta sabòrida de lingua arada o pizz’e cabombu

 In Sardegna in primavera, nelle campagne di San Gavino - Santu ‘Engiu -  (Città dello zafferano - oro rosso di Sardegna) che portano ai piedi della collina dove sorge il resto delle mura del castello di Monreale è capitato parecchie volte di vedere delle distese di fiori dal suggestivo colore azzurro, tanto azzurro da confondersi con il cielo, una vera opera d’arte naturale. La borragine, dal latino medievale Borago officinalis, nome di origine orientale, che si collega all’arabo “abu ‘arak” che vuol dire sudorifero per le caratteristiche della pianta.

 

Già gli antichi Romani esortavano l’utilizzo della borragine in diverse pietanze, per il caratteristico sapore che somiglia vagamente a quello del cetriolo. Usavano la borragine anche come decori floreali nelle case dove si festeggiava un matrimonio e la mescolavano al vino come rimedio alla tristezza. Marziale, sommo poeta latino, la riteneva erba rara, perché in grado di allietare il cuore dell’uomo e, al medesimo tempo di regalargli forza e l’intrepidità. Mentre per Plinio, la borragine “Euphrosinum” rendeva l’uomo ottimista, gioioso, appagato e affermava che i fiori mangiati in insalata, rendevano l’uomo favorevole all’ilarità e liberava la mente dai brutti pensieri, le foglie e i fiori nel vino invece, regalavano gioia e felicità.

Plinio sosteneva inoltre che la borragine fosse il famoso Nepente di Omero, ovvero l’erba che se mescolata nel vino portava all'oblio ed alla spensieratezza. Una leggenda narra che la Madonna, nel guardare i fiori della borragine, in quanto originariamente pare fossero candidi e che al suo sguardo assunsero subito il colore del cielo azzurro.

Tanti antichi pittori, infatti scelsero il loro colore per dipingere il manto della Madonna. Gli stessi fiori erano quelli ricamati sulle tappezzerie durante il Medioevo. Sulle cinture dei concorrenti nei tornei delle giostre e nelle gare di abilità, ai partecipanti veniva offerto il tè alla borragine in modo da dare loro coraggio, proprio perché "Borragine porta coraggio". Tanto è vero che era usanza mescolare la borragine al vino  che veniva offerto ai  Crociati in partenza per la Terra Santa al fine di incutere forza. Si narra pure che fu parecchio diffusa e curata nei giardini all’epoca dell’ancien regime (metodo di governo che aveva preceduto la Rivoluzione francese del 1789), laddove era impiegata per impreziosire gli intingoli. La borragine, detta anche borrana, è una pianta annuale della famiglia delle Borraginaceae, proviene dall’Europa e dal Nord Africa, può raggiungere i 60 cm e più di altezza, ha fusto e foglie completamente ricoperte di piccolissimi peli, e fiori a cinque petali di un blu profondo, con corolla a forma di stella a cinque punte, che pendono  da un peduncolo ricurvo.

Cresce nelle regioni che si affacciano sul Mediterraneo e nei terreni fino a 800-1000 metri di altezza. Le foglie fresche e i germogli della borragine si consumano crude in insalata o tritate finemente e mescolate a formaggi freschi e morbidi, come caprini e robiole; oppure cotte come gli spinaci o insieme ad altre verdure, nelle minestre o zuppe, ma anche pastellate, mentre gli steli vengono fritti. È molto usata nelle frittate e nei ripieni:  è un elemento  indispensabile nei pansotti genovesi e anche nella torta Pasqualina. I fiori, dal delicato sapore di cetriolo,  si possono mangiare nelle insalate e spesso sono messi a macerare nell’aceto bianco (che diventa azzurrino), o nelle grappe, possono essere anche canditi o congelati in cubetti di ghiaccio per rallegrare e decorare le bevande.

Con la borragine si preparano anche delle torte, macedonie e tisane rilassanti. Presso gli antichi romani, il vino alla borragine era ritenuto un antidoto alla tristezza. La parola Celtica "borrach" significa "coraggio"; la borragine, aggiunta al vino, veniva usata anche dai Celti per dare coraggio ai guerrieri nell'affrontare i nemici in battaglia. Gli antichi Greci invece la usavano per curare i mal di testa da sbronza! La borragine incoraggia anche l'allegria; era tradizionalmente usata per decorare le case in occasione di matrimoni. Il nome gallese per la borragine "llawenlys", significa infatti “erba della contentezza”. La borragine ha diverse proprietà terapeutiche: contiene in abbondanza  nitrati di potassio e una moltitudine di vitamina C. L’infuso e le tisane con i fiori di borragine sono un magnifico tonico per il sistema nervoso: hanno proprietà rilassante, emolliente, espettorante, e calmante della tosse, ed anche un leggero effetto diuretico e depurativo. Le foglie, hanno azione sudorifica e sono ritenute un valido rimedio nelle affezioni delle vie respiratorie, nei reumatismi e nelle malattie eruttive (eczemi e foruncolosi), insieme all’olio dei semi di borragine. È ottima nella circostanza in cui la pelle risulta essere disidratata, irritata, lenita da eruzione cutanea ed aiuta a cautelarsi contro l’invecchiamento della pelle.

Ingredientis:

per la pasta violada: g 350 di semola di grano  duro, g 75 di strutto ozzu porchinu - oggiu prohinu - ozzu polhinu, sale e acqua tiepida q.b. per il ripieno: un bel mazzo di borragini tenere fresche di taglio, 1 cipolla media di sa Zeppara (località della Marmilla), 2 spicchi d’aglio, g 100 di guanciale sardo grandua, g 300 di ricotta freschissima di pecora, 2 uova, g 40 di pecorino grattugiato, zafferano tzaffanau San Gavino, vino  bianco secco, olio extravergine d’oliva, farina, sale, noce moscata e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

come prima operazione, preoccupati della realizzazione della pasta violada. Per la preparazione della torta salata di borragine - truta sabòrida de lingua arada o pizz’e cabombu -, disponi la farina setacciata a fontana sul ripiano della madia. Fatto, tuffa al centro una presa di sale, mezzo bicchiere d’acqua (qualora  occorresse dell’altra acqua, aggiungila un cucchiaio per volta), lo strutto e lavora il tutto  fino ad ottenere  un impasto liscio e malleabile, che raccoglierai a palla e avvolgerai con un canovaccio da cucina e porrai in frigorifero per mezz’ora a riposare. Nel mentre monda la borragine, lavala ripetutamente e ancora grondante d’acqua, accomodala dentro ad un recipiente d’acciaio, poi unisci una presa di sale, metti il recipiente sul fuoco e lasciala appassire per qualche minuto. Trascorso questo tempo, scolala, strizzala accuratamente, tritala e tieni da parte il ricavato, quindi metti dentro a una padella il guanciale ridotto a poltiglia insieme a un giro di olio, la cipolla tritata finemente, l’aglio e fai rosolare il soffritto per cinque minuti, dopodiché bagnalo con una spruzzata di vino. Evaporato, elimina l’aglio, unisci la borragine e falla insaporire fin quando si sarà asciugata. Una volta raffreddata, aggiungi la ricotta, le uova, una bustina di zafferano, una presa di sale, il formaggio, una grattata di noce moscata, una macinata di pepe ed amalgama omogeneamente tutti gli ingredienti, fino a quando avrai ottenuto un ripieno denso e cremoso che terrai da parte. Arrivati a questo punto, rimaneggia la pasta sul ripiano di lavoro ben infarinato e appiattiscila con un matterello. Una volta ottenuta una sfoglia rotonda sottile - su croxiu -, allargala dentro a  una tortiera foderata con della carta oleata, al centro tuffaci il ripieno tenuto da parte, subito dopo assestalo delicatamente scuotendo leggermente lo stampo, infine rincalza tutti i bordi con la pasta eccedente e coi i ritagli, prepara delle strisce che adagerai sulla superficie a forma di griglia, simile a quelle che di solito fai con la crostata. Solo allora puoi passare  la torta in forno già caldo a 180° per tre quarti d’ora circa. Servila a temperatura ambiente con dei fiori di borragine e una crema di basilico.

Vino consigliato: Sardegna semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.

 

 

***

 

 

Ous de buchacas o de butxacas

 

Le uova da tasca - ous de buchacas o de butxacas - in dialetto sardo, fanno parte di un lungo elenco di dolci della tradizione catalana - algherese. Si tratta di un dolce alquanto antico di origini catalane, come tanti altri dolci e ricette che gli algheresi preparano sin dalla prima metà del Quattordicesimo Secolo ai tempi del regno catalano - aragonese. Il Re Pietro, detto “il Cerimonioso - Pere el Cerimoniòs” in catalano, già nel 1353 provò a conquistare il territorio algherese per la sua ubicazione strategica (presentandosi nella rada di Alghero con più di 90 galee), tentativo risultato vano in quanto gli abitanti, a furor di popolo si ribellarono, respingendo gli insistenti attacchi delle truppe del Re all’urlo liberatorio di: Arborea! Arborea! Morte ai catalani!. 

Il dolce in questione, anche se sta scomparendo è uno di quelli che lasciano in bocca quel soave sapore zuccherino esclusivo. Questi dolci sono preparati a forma di pagnottelle lisce, il cui impasto viene impreziosito con dell’anice (spezie peraltro molto usata in Sardegna per insaporire ricette dolci e salate: vedi per esempio la lavorazione della salsiccia sia quella fatta essiccare, sia quella fresca), poi avvolte con una candida glassa bianca a base di zucchero e, si tratta di un pasticcino cordiale che si approntava nei giorni di festa.

Sempre in passato, nei giorni di festa, con la rimanenza dell’impasto all’anice de - is ous de buchacas o de butxacas -, si modellavano dei biscotti a forma di cavallo, imbiancati in seguito con una angelica glassa bianca - cappa - a base di zucchero, succo di limone filtrato e chiare d’uova, quindi a piacere decorati con dei confettini di zucchero colorati - tragera - tragea - dragea - per conquistare e deliziare il palato dei più piccoli. Anche il menjar blanc (dolce cremoso che presumibilmente deve i suoi albori all’Andalusia), comunemente preparato ad Alghero “l'Alguer” in catalano - s'Alighera - in sardo, - l'Aliera - in sassarese, ridente cittadina in provincia di Sassari, conosciuta anche con l’appellativo di piccola Barcellona, risulta essere di quella tipologia di creme che fanno parte dell’arcaica tradizione locale. Come in egual modo lo sono - tortas e tabacheras -, avvolti unicamente da una lieve copertura di pasta sfoglia. Peccato però, perché a causa della lunga e laboriosa preparazione, questi dolci stanno diventando sempre più rari da reperire, in quanto resta difficile trovare maestre dolciarie o persone appassionate all’altezza di elaborare questi caratteristi dolci dal sapore così unico, così accattivante, così insolito, così antico, sempre più raro. Resta inteso che, anche le persone che vogliono cimentarsi nella preparazione -de is ous de buchacas o de butxacas -, possono comunque provarci, eseguendo la ricetta più moderna e più facile da eseguire. Avendo così la possibilità di realizzare questo straordinario dolce, in versione semplificata.

Ingredientis:

per l’impasto: g 600 di farina bianca, g 15 di lievito di birra freschissimo, 2 tuorli d’uovo più 1 intero, g 230 di zucchero comune, liquore all’anice, acqua di fonte q.b. per la glassa: g 300 di zucchero al velo, un bicchiere scarso di acqua di fonte o minerale naturale, il succo di mezzo limone filtrato, 2 chiare d’uovo, zucchero per il lievito, sale q.b.

Approntadura:

per prima cosa la sera prima, stempera il lievito in un bicchiere di acqua tiepida insieme a due cucchiaiate di farina e una di zucchero, mescola accuratamente e lascia riposare in luogo tiepido, privo di correnti d’aria il ricavato (l’ideale sarebbe metterlo dentro al forno spento, con la sola luce accesa), sin tanto che in superficie si sarà formato uno strato di schiuma fitta. Nel mentre, disponi la farina setacciata a fontana sul ripiano della madia e tuffa al centro una presa di sale, i tuorli d’uova più quello intero, lo zucchero, il liquore d’anice, il lievito stemperato e tanta acqua tiepida che si riveli sufficiente per ottenere una massa liscia e priva di grumi. Ciò fatto, forma una palla, poi disponi un canovaccio da cucina dentro a una terrina, infarinalo e accomodaci l’impasto, quindi incidi una croce sulla superficie, ricopri il composto con i lembi del canovaccio e ponilo a lievitare un'altra volta sempre dentro al forno spento con la sola luce accesa. Trascorse tre ore, rimaneggia l’amalgama sul ripiano infarinato della madia e mentre che la lavori e inizia a scoppiettare, riaccomodala formando una palla dentro alla terrina col canovaccio, incidila un'altra volta a croce e riponila nuovamente dentro al forno spento, sempre con la luce accesa. L’indomani mattino, suddividi il composto in quattro pezzi da 100-150 grammi circa cadauno, allorché, lavora un pezzo alla volta formando dei panini leggermente ovalizzati e man mano  che li prepari, posizionali dentro una placca da forno foderata con un foglio di carta oleata, distanziandoli fra loro. Subito dopo prendi una teglia del tipo utilizzato per cucinare la pasta al forno e capovolgila sulle pagnotte cercando di non danneggiarle, su di essa poni un panno da cucina inumidito con acqua tiepida e poni la leccarda dentro al forno spento con la sola luce accesa, lasciando lievitare i dolci per altre sei ore. Non appena sarà passato questo tempo, togli i panini dal forno, pertanto accendilo e portalo a una temperatura di 165° (funzione ventilato) e nel frangente che raggiunge la temperatura, spalma con cautela i panini con dell’albume sbattuto. Solo allora passali nel forno, lasciandoli cuocere per una mezz’ora circa. Passato il tempo sfornali e lasciali raffreddare completamente. Arrivati a questo punto, prepara la glassa miscelando all’acqua leggermente calda lo zucchero, il succo di limone, dopodiché unisci a filo lo sciroppo ottenuto alle chiare d’uova rimaste precedentemente montate a neve insieme a un pizzico di sale finoùe e con il ricavato, ricopri uniformemente i panini, affinché una volta asciugati diventino bianchi come le uova: - ous de buchacas o de butxacas naturalmente -!.

Vino consigliato: Alghero bianco passito, dal sapore sapido, armonico e amabile

 

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