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“L'ISOLA IN CUCINA” di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi - Ricette Settembre 2021

 Amarettus de Santu ‘Engiu Murriabi

Si narra che Giasone l’epico combattente della mitologia greca, figlio del re di Iolco Esone e sposo della maga Medea, durante i preparativi per la partenza in nave alla conquista del vello d’oro (manto di pecora o di ariete alato capace di volare, che aveva il potere di guarire le ferite), incaricò il capocuoco di procedere a cuocere il pane da portare in viaggio. Secondo la leggenda, pare che il fornaio a causa della grande mole di lavoro sostenuta durante la panificazione, introdotti gli ultimi pani nel forno, spossato si addormentò e al risvegliò grande fu lo stupore, quando si accorse che il pane anziché bruciarsi si era abbassato sino a ridursi producendo delle schiacciate dorate.

 

Giasone, per non sprecarlo, dato che era comunque una notevole quantità, lo fece stivare assieme all’altro pane. Col passare dei giorni, quelle  schiacciate dorate furono le uniche a non ammuffire (a differenza del resto del pane che divenne stantio e immangiabile), risultando buonissime da accompagnare con il cibo preparato dai cuochi di bordo e allo stesso tempo divenne anche una piacevole novità da consumare intinte nel vino. In questo modo, facendo riferimento alle schiacciate secche, sempre secondo la leggenda, si individuarono i predecessori biscotti, definiti dai panificatori latini “panis nauticus” gallette dei marinai (così sono chiamate anche quelle utilizzate nella preparazione del sontuoso “cappon magro” dei liguri) o “biscoctus”, letteralmente cotto due volte.

I romani affinarono la preparazione addolcendo gli ingredienti con il miele, foggiando così il “buccellatum” e la “offa”, oggi conosciuta col nome di “offella”. questi biscotti sono menzionati anche dallo storico greco Polibio e da Papa Marcellino - III secolo dopo Cristo - 29º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica dal 30 giugno 296 al 25 ottobre 304.

Intorno all’Ottocento, si parla di dolci di mandorle che erano conosciuti nei paesi arabi e nel Medioevo si parla di amaretti. Mentre nel periodo rinascimentale si diffusero in Europa. Con il termine amaretto si intende un tipo di dolce a base di pasta di farina di mandorle, preparato con zucchero, albume d'uovo, mandorle dolci e mandorle amare, dette “armelline”, che è il seme che si trova all’interno delle albicocche, in  dialetto veneto “armellino” e con le mandorle non hanno nulla a che fare è solo un ingrediente simile per l’amaro contenuto, che costa decisamente meno delle vere mandorle.

Detto questo, si parla di amaretti anche in Italia, in particolare in Lombardia, nella Lorena francese  e nei Paesi Baschi. Quasi certamente l’amaretto, essendo un dolce poco deperibile, entrò nella trazione culinaria degli arabi, dei normanni e di riflesso dei siciliani. Sicuramente contribuirono i pellegrini e la rete di conventi a promuovere la divulgazione di questo delizioso e fragrante pasticcino.

Gli amaretti oggi sono diffusi in tante regioni d’Italia e ognuna ne rivendica la paternità. La tesi più attendibile attribuisce l’origine ai piemontesi che nel XVIII secolo li introdussero alla corte dei Savoia.

Altre fonti sostengono che provengano dalla Sicilia e altre ancora, attribuiscono ai liguri la primogenitura  che li avrebbero inventati nell’Ottocento.

Da segnalare gli amaretti di Gallarate e quelli di Saronno in Lombardia, questi ultimi sono usati per la preparazione di alcuni dolci tradizionali, quali le pesche ripiene alla piemontese, il Bônet e alcuni tipi di tiramisù. C’è l’amaretto del Sassello in Liguria che salì all’onore delle cronache ricevendo diversi riconoscimenti come in occasione dell’Esposizione Internazionale di Genova nel 1892, delle mostre di  Parigi nel 1911 e di Madrid nel 1914. Famosi sono pure gli amaretti di Voltaggio che si imposero a fine Ottocento in Piemonte, anche se il borgo è storicamente ligure, in quanto gravita più sul capoluogo ligure che verso l’entroterra piemontese.

Una curiosa vicenda narra che gli amaretti del Sassello nati intorno al 1860, siano legati alla storia di una famiglia trapiantata in Piemonte e precisamente nell’astigiano. La storia narra di un  parsimonioso signore, a servizio con la moglie a casa Savoia, lei originaria della Sicilia ed esperta pasticcera, quando prepararono i  primi dolci a base di mandorle, destarono  non poco clamore. Infatti  le persone che li assaggiarono li trovarono alquanto deliziosi, anche se taluni, nel cercare il classico pelo nell’uovo pronunciarono con enfasi: “sono un po’ amaretti”!. Da quella esclamazione, nacquero gli amaretti.

Tra i più conosciuti ci sono gli amaretti di Chivasso in Piemonte e quelli del Sassello sempre in Piemonte e in Liguria, gli amaretti di Saronno in Lombardia, gli amaretti di Modena in Emilia, i pasti di mennula (pasticcini di mandorle) in Sicilia e sos amarettos in Sardegna. Nell’Isola questi speciali dolci, vengono preparati esclusivamente con le mandorle, delle quali, il novanta per cento sono mandorle dolci del territorio e il dieci per cento mandorle amare, acqua fior d’arancio, albumi d’uovo che conferiscono ai dolci una delicata consistenza all’esterno, una raffinata morbidezza all’interno e un particolare retrogusto amarognolo, ecco perché si differenziano dalla produzione che avviene nel resto d’Italia. Sempre in Sardegna sono famosi gli amaretti di Oristano e di San Gavino Monreale, apprezzati in tutto il Medio Campidano e non mancano mai nelle feste e nelle ricorrenze. Tante sono le varianti, quante sono le sequenze di esecuzione, ma l’ingrediente che accomuna questi deliziosi dolci, sono sempre le mandorle .

L’autentica ricetta, difatti prevede solo mandorle dolci e amare del Medio Campidano, albumi e acqua fior d’arancio, sostituita a quella di gelsomino usata nel Medioevo e la consistenza deve essere croccante fuori e morbida all’interno e si tramanda da generazioni, resistendo all’attacco delle sempre più innovative tendenze. Molte altre ancora sono le ricette sparse per tutto lo Stivale, tutte quante con una propria storia e la convinta rivendicazione della paternità, ma qualunque sia l’inventore, qualunque sia il luogo di appartenenza, nulla toglie alla bontà di questi famosi dolci italiani che restano superlativi.

Ingredientis:

per l’impasto: 5 chiare d’uovo, g 500 di farina di mandorle dolci, g 50 di farina di mandorle amare, g 400 di zucchero comune, la buccia gialla di  2 limoni  non trattati  grattugiata, acqua fior d’arancio e sale q.b. per guarnire: mandorle già spellate, zucchero comune q.b.

Approntadura:

la sera prima, prendi una conca - scivedda - xivedda - e all’interno tuffaci la buccia dei limoni, la farina di mandorle, lo zucchero e amalgama insieme gli ingredienti, poi monta le chiare (non esageratamente) e poco alla volta incorpora il composto alle mandorle. Ottenuto un impasto omogeneo e malleabile, preleva dunque pezzi d’impasto con le mani inumidite con dell’acqua fior d’arancio e forma delle polpette grosse poco più di una noce. Man mano che le prepari, falle rotolare su un vassoio contenente dello zucchero, quindi accomodale dentro a una teglia foderata con carta oleata distanziandole fra loro. Fatto, copri i dolcetti con una pellicola trasparente per alimenti e mettili a riposare in luogo fresco per tutta la notte. Il giorno dopo, inserisci una mandorla (c’è chi  sostituisce le mandorle con mezza ciliegia candita rossa o verde o chi non mette nulla) su ogni dolce, premendo leggermente ognuno in modo da attivare le classiche screpolature che caratterizzano questi dolci e quando terminato, passa la preparazione in forno già caldo a 160° per mezz’ora circa. Trascorso il tempo occorso, sforna gli amaretti, lasciali raffreddare su una gratella e subito dopo servili.

Vino consigliato bianco: Vernaccia di  Oristano liquoroso ben freddo, dal sapore fine, dolce, sottile, caldo con leggero retrogusto di mandorle amare. 

 

 

***

 

 

Su strippidi de Ussassai

 

 

 

Ussassai - Ussàssa -  in sardo è un incantevole scorcio dell’ogliastrino situato ai piedi del monte Arcueri, dove ancora oggi convivono il sacro e il profano, con un fascino speciale che rende particolarmente suggestivo il paesaggio della valle del Rio San Gerolamo, territorio ricco di tesori naturali. Il paesaggio  è modulato da verdeggianti foreste, rigogliose distese di vegetazione a macchia mediterranea che profumano di passato e d’antico, dai colori in tinta pastello, che ricordano la tavolozza di un pittore. Tavolozza arricchita da fascinosi siti archeologici, di rara bellezza e incanto, di immagini fiabesche che non hanno eguali al mondo.

Ussassai è un paese nel cuore della Sardegna, ricco di tradizioni e di storia. I suoi abitanti sono un popolo antico, orgoglioso e geloso delle proprie usanze e  della loro cultura. Una comunità semplice, contadina, sempre impegnata a difendere e dar valore al territorio e a salvaguardare le peculiarità enogastronomiche. Una vera icona di grande saggezza.

Rimanendo nel settore della gastronomia tradizionale, gli ussassesi, da sempre estimatori e coltivatori di zucche, ne valorizzano le eccellenti qualità fino a farle diventare fiore all’occhiello della produzione locale ed è riconosciuta ed apprezzata in tutta la Sardegna.

Nella cucina contadina, con questo ortaggio, le massaie del posto preparano numerose ricette, abbinando la zucca  - crocoriga - corcoriga - sia a preparazioni salate, che a quelle dolci, riuscendo a combinare e ad armonizzare succulenti piatti che da sempre sono fonte di storie e leggende. Una curiosità: la tradizione vuole che la suggestiva rassegna sulla zucca,  avvenga ogni anno in coincidenza con il plenilunio di settembre, presso la magica chiesetta di San Salvatore  - Santu Sarbadori -, eretta nel dodicesimo secolo, periodo romanico - bizantino e da diversi secoli utilizzata anche per festeggiare San Gerolamo -  Santu Gironi -.

Nei paraggi dell’antico santuario sono situati sedici ricoveri fatti in pietra -  cumbessias -  o - posadas - disposti ad anfiteatro, a disposizione oggi come un tempo per pellegrini provenienti da tutta la Sardegna e dal Continente in occasione della ricorrenza. Con tale accoglienza la festa della zucca è diventata un appuntamento che ogni anno si ripropone nel periodo estivo ed è molto apprezzata da tutti i partecipanti. Durante la manifestazione, gli organizzatori preparano piatti storici e prelibati a base di zucca per il palato degli intenditori, dall’antipasto al dolce. Anche se i veri intenditori preferiscono la zucca come da antica tradizione, ovvero ridotta a piccola dadolata e impastata con farina e cipolle, che conferisce alla preparazione una squisitezza unica e rara, tale da ricordare quella di un tempo e che gli abitanti di Ussassai chiamano - su strippidi - civargius - a base di polpa di zucca ed erbe varie.

Ingredientis:

g 300 di farina di grano sardo, g 30 di strutto suino - ozzu porchinu - ozzu polhinu - oggiu prohinu -, g 700 polpa di zucca, una bella cipolla di Lanusei, 1 bicchiere di conserva casalinga, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

prima di tutto, riduci a piccola dadolata la zucca e poni il ricavato dentro a un recipiente di terracotta - scivedda - xivedda -. Fatto, affetta finemente la cipolla e aggiungila nel recipiente della zucca, allorché unisci anche la farina setacciata, lo strutto, la conserva, un generoso giro d’olio, una presa di sale, una macinata di pepe ed amalgama insieme tutti gli ingredienti, lavorandoli fino ad ottenere un impasto morbidoso. Terminata questa operazione, prendi un ampio tegame - tianu mannu - càccau - caccavella - sattaina - sciacuera - strexiu - cassarolla - grassanera -,  irroralo con un filo d’olio e ponilo a scaldare sul fuoco, dopodiché versa l’impasto preparato in precedenza, avendo cura di allargarlo in modo uniforme e comprimerlo con una paletta di legno per farlo diventare sottile. Arrivati a questo punto, copri - su strippiddi - con un coperchio e lascialo cuocere per cinque minuti circa a fiamma moderata, stando attenti a non far bruciare la frittata sul fondo. Trascorso il tempo occorso, con l’aiuto del coperchio capovolgila, rovesciala dall’altra parte dentro alla padella e falla cuocere per altri cinque minuti, sempre a recipiente coperto, fino a quando non avrà un aspetto bello dorato e croccante. Solo allora, scolala su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere il grasso in eccesso. Servila immediatamente, ma è buona anche a temperatura ambiente.

Vino consigliato: Vernaccia di Oristano dolce, dal sapore fine,sottile, caldo e asciutto con leggero retrogusto di mandorle amare.

 

 

 

 

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