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Elogio della monumentale “Bibliografia sarda” di Raffaele Ciasca

 Ogni studioso di qualsiasi argomento che riguarda la Sardegna sa che la prima base di consultazione, per avere una bibliografia imprescindibile sulla materia che gli interessa approfondire,è rappresentata dalla “Bibliografia sarda” curata, a metà degli anni Trenta del Novecento, da Raffaele Ciasca, dal 2001 pubblicata in un prezioso CD-ROM della casa editrice Carlo Delfino di Sassari e tuttora disponibile.

 

Ecco la scheda editoriale di presentazione del CD-ROM che compare nel catalogo della Delfino: «Lo storico catalogo dell’editoria sarda è ora disponibile in formato digitale consultabile su personal computer. L’opera contiene in forma integrale il riferimento ai circa 22.000 libri e articoli che compongono la “Bibliografia sarda”, con l’indicazione della loro collocazione aggiornata rispetto alla versione cartacea. La visualizzazione dei riferimenti bibliografici è proposta in varie modalità ed è possibile effettuare ricerche incrociate tra tutti i campi riportati nell’opera (titolo, autore, editore, ecc.) e ottenere report per i più diffusi software di office automation. È inoltre possibile l’esplorazione degli indici per materia con il collegamento immediato tra il codice e il riferimento bibliografico».

Voglio cogliere questa occasione per dire  1) che è giusto riconoscere in generale (ciò che non sempre avviene) i meriti di coloro che si dedicano alla ricerca e alla sistematizzazione bibliografica e 2) che, per noi Sardi, è un dovere tributare una particolare lode nei confronti diRaffaele Ciasca che, nel 1931, quindi novanta anni fa, ha cominciato ad approntare una monumentale opera in cinque ponderosi volumi che ha fissato in maniera egregia i lemmi costitutivi della “bibliografia sarda” raccoglibili in quel torno di tempo.

***

In principio – si sa – sono le fonti. Ma queste, in campo culturale, al contrario di quanto avviene in natura, devono essere opportunamente costituite. Acribia, pazienza, tenacia sono necessarie nel lavoro di ricerca e di inquadramento delle fonti documentarie. Le stesse doti mentali non devono far difetto al raccoglitore di fonti bibliografiche. Entrambe sono fatiche che spesso sono destinate a rimanere oscure, gratificate soltanto degli apprezzamenti degli intenditori.

«La simpatia unanime da cui la “Bibliografia sarda” fu salutata in Sardegna e fuori fin dal suo primo apparire, le sollecitazioni e le richieste da parte di studiosi nel corso di essa, costituiscono l’unico, tutt’altro che modesto, mio compenso», scrive Raffaele Ciasca in chiusura della sua bibliografia speciale dedicata alla Sardegna e pubblicata in cinque volumi sotto gli auspici della R. Università degli Studi di Cagliari dal 1931 al 1934: in pratica un volume per anno più un quinto che contiene 98 pagine di aggiunte alle 2253 precedenti e, preziosissime, 219 pagine di uno scrupolosissimo indice per materie.

In totale, con l’appendice, si tratta di 21449 titoli schedati a cui l’indice finale per materie rimanda tramite il numero progressivo che identifica ciascuno di essi.

In fondo a ogni scheda è segnalata in sigla la biblioteca presso la quale è reperibile l’opera schedata; «per i lavori inseriti in pubblicazioni periodiche l’indicazione delle biblioteche manca ed è da ricercare nella scheda bibliografica del periodico stesso; se è data, vuol dire che ne è posseduto l’estratto» (paginaXXXVI dell’Introduzione).

L’attenzione sistematica a tutte le discipline umanistiche e scientifiche, l’impostazione “architetturale” dell’apparato di indicizzazione e di classificazione degli argomenti pertinenti allo studio di una realtà regionale “speciale”, il rigore delle notazioni bibliografiche desunte da libri e da periodici (sono oltre 460 le fonti principali consultate) fanno di quest’opera uno strumento fondamentale di consultazione per chiunque voglia avviare una ricerca su qualsiasi tema relativo alla Sardegna di cui si sia scritto qualcosa di significativo fino al 1934.

E dopo? Bisogna aspettare il marzo 1955 per veder comparire il fascicolo n. 1 del “Nuovo Bollettino Bibliografico della Sardegna”, pubblicato da Giuseppe Della Maria (il “Nuovo” del titolo intende istituire un collegamento con il “Bullettino Bibliografico Sardo”, fondato e diretto da Raffa Garzia e uscito dal 1901 al 1913).

Della Maria ha approntato nelle pagine del suo “Bollettino” una lista di oltre 1700 schede di rettifica o di integrazione delle unità bibliografiche costruite dal Ciasca; inoltre – come ha scritto Tito Orrù (direttore del “Bollettino Bibliografico della Sardegna”, il cui primo fascicolo, doppio, è datato gennaio-agosto 1984) – il periodico di Della Maria, «durato dal 1955 al 1976, ha recato, oltre all’esteso aggiornamento della bibliografia attuale (22123 schede, in un decennio, a cura dì Maurizia Rad), l’apporto di importanti repertori e indici di spoglio di carattere retrospettivo».

Al Della Maria spetta anche il merito di aver formulato nel 1973 una organica proposta per la realizzazione di un Centro Bibliografico Regionale che avesse come finalità il completamento e l’aggiornamento della “Bibliografia sarda” del Ciasca e, come progetto più ambizioso, la compilazione di una nuova bibliografia generale della Sardegna.

Entrambi gli obiettivi (a parte il meritorio lavoro di continuazione della compilazione della rassegna bibliografica relativa alla Sardegna operato dalla rivista fondata e diretta daTito Orrù fino al numero n. 29, I e II, datati 2009, con il complemento bibliografico 2008: poi, agli inizi del 2012,  è sopraggiunta la morte del grande studioso, che era nato a Orroli nel 1928,  e la conseguente fine della pubblicazione) sono stati colpevolmente dimenticati da una cultura pasticciona, incapace di immaginare l’utilità non solo di un censimento puntuale di tutte le pubblicazioni che escono in Sardegna ma anche e soprattutto di un lavoro di schedatura sistematica e continuativa di tutto ciò (saggi, articoli) che viene pubblicato sulla Sardegna, nell’isola e fuori, dalle riviste accademiche ai giornali più “effimeri”.

Si tratta evidentemente di un compito che deve essere perseguito dalla struttura regionale attraverso la creazione di un ufficio specializzato. Solo un’équipe interdisciplinare può proficuamente continuare oggi l’opera svolta negli anni Trenta da un solo studioso, sia pure del livello di Raffaele Ciasca.

Nato nel 1888 a Rionero in Vulture (provincia di Potenza; lo stesso paese natale del giornalista, critico letterario e conduttore televisivo Beniamino Placido –1929-2010 – che, come è noto, ebbe un passato di bibliotecario alla Camera dei deputati: potenza delle fonti!), Ciasca fu docente di storia moderna a Cagliari negli anni 1928-1931. Ed è proprio in quel periodo che, aiutato da allievi e collaboratori, gettò le basi di questa opera bibliografica sulla Sardegna.

Ciasca passò quindi a Genova e poi a Roma, nelle cui Università continuò a insegnare Storia moderna. Nel secondo dopoguerra, fu anche, oltre che senatore democristiano, il primo presidente dell’Istituto per la storia moderna e contemporanea.

Sicuramente qualcuno in Sardegna, quando morì (1975), avrà dedicato un ricordo bibliografico al benemerito storico lucano ponendo nella giusta evidenza il suo repertorio bibliografico di argomenti sardi. Quello che è certo, oggi, è che questo suo titolo è scomparso dal novero delle opere fondamentali citate, nella bibliografia dell’autore, dalle enciclopedie correnti che riportano la voce CIASCA.

La miseria della tradizione bibliografica italiana non si smentisce mai. È noto che anche ai concorsi universitari, nella valutazione dei titoli, l’opera bibliografica – anche la più rigorosa e ragionata – conta “meno di zero”.

Diceva il professor Sylvestre Bonnard, immortalato da Anatole France: «Non conosco lettura più facile, più attraente, più dolce di quella di un catalogo» (o di una bibliografia, aggiungiamo noi: non sottilizziamo sulla distinzione concettuale e funzionale tra i due termini).

Certo, cataloghi e bibliografie, dati gli alti costi di produzione, tendono a rarefarsi sempre di più. Se ci riferiamo però all’importanza storica e alla profondità culturale di un catalogo bibliografico come quello di Ciasca, ci rendiamo conto che – se manca il seguito – non è tanto in gioco il pur essenziale piacere individuale della lettura-scoperta quanto il diritto di una società regionale come quella sarda a disporre di un insieme di fonti che costituiscano il metaforico abbeveratoio comune della propria autoconoscenza.

Paolo Pulina

 

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