Benvenuto nel Sito dell`Associazione Culturale  Messaggero Sardo

HomeCuriositàRicette SardeL'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Gennaio 2022

L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Gennaio 2022

 Sa Candelera o sa die de su pani urci

 È sicuramente vero che: “tutto il mondo è paese”, ma è altrettanto vero che, alcune località della Sardegna hanno espresso peculiarità uniche in tema di folclore e costumi, poi difeso in modo caparbio come forse solo i sardi sanno fare. In Sardegna, in particolare, ci sono paesi che sin dall’antichità, hanno saputo custodire il legame con la tradizione in modo ostinato e gelosamente custodito dalla comunità isolana. Fra i tanti paesi della provincia dell’Ogliastra, ne emerge uno compreso  nel Parco Geominerario della Sardegna e conosciuto fin dal Medioevo con il nome di Perdasdefogu “pietre di fuoco”, proprio perché nella zona dove è sorto il paese si trovano rilevanti giacimenti carboniferi e ricche presenze minerali che risalgono a civiltà primordiali.

 

Già in passato in questo luogo si estraeva il litantrace e l’antracite, attività in funzione sino al tempo della seconda guerra mondiale e che ha dato il nome al luogo. Perdasdefogu è conosciuta anche come una delle località dell’Isola dove si vive più a lungo rispetto al resto del mondo e sin dagli anni cinquanta ospita la base militare dell’Aeronautica Militare - Marina Militare -  Esercito Italiano delle forze armate italiane.

La gente del posto, come d’altronde tutti gli abitanti dell’Isola, sono da sempre  fortemente legati alle tradizioni del proprio paese, infatti a Perdasdefogu, nel corso della Settimana Santa è usanza cucinare - su nenniri -, una pietanza molto antica che si prepara ponendo del grano dentro ad una pentola - pingiada - di terracotta - olla - con del lino pestato e acqua. Una volta terminato il rito, il recipiente si pone sotto un letto e li vi rimane al buio per una ventina di giorni, fino a quando non sarà  germogliato e fiorito.

La composizione floreale viene poi utilizzata come abbellimento della chiesa in  circostanza del giovedì e del venerdì santo. Quindi, secondo l’usanza, i fiori nel giorno di Pasqua - Pasca -, saranno benedetti e nella seguente Pasquetta -Paschixedda - disseminati in campagna per augurare un raccolto fecondo e abbondante.

Ogni anno si rinnova inoltre l’antico rito legato ai giorni del pane dolce - sa die de su pani urci -, tant’ è  vero che per le vie del paese,  in tale occasione il profumo della legna bruciata nei caminetti e quello dei forni dove si cuociono i dolci, si diffondono nelle vie creando una atmosfera davvero suggestiva.

C’è poi la festa della Candelora - Candelera -, detta pure “festa della Purificazione della Madonna”, giorno in cui si benedicono le candele - stearicas - candelas - candebasa -. In questa celebrazione le donne rievocano favole arcaiche, coniugando l’arte della panificazione con le credenze religiose, anche perché l’enigma del cibo dolce riconduce a radici primitive di culture semitiche, che legano da sempre la devozione alla difesa dalle influenze maligne. Questo pane dolce e poco conosciuto è quello che secondo l’usanza è portato in chiesa in processione per essere benedetto e al termine della funzione distribuito alla comunità dei credenti. 

Ingredientis:

per l’impasto: g 350 di farina di semola, g 250 di semola rimacinata,  1 uovo più un tuorlo, g 150 di lievito madre - framentu -, g 300 di mosto cotto - saba -, 1 cucchiaino di polvere di scorze d’agrumi essiccate, g 150 di uva passa, g 150 di  scorze candite d’arancia, g 150 di granella di mandorle, liquore tipo villacidro, cannella, anice e garofano in polvere q.b. per la glassa: g 150 di -  saba -, confettini - diavoletti di zucchero colorati - tragera  - tragea - dragea - codetta - mompariglia q.b., farina per lo spolvero, sale q.b.

Approntadura:

prima di tutto, poni l’uva passa dentro a una tazza, poi colmala con il liquore e lasciala in ammollo fin quando  non sarà rinvenuta. Trascorso il tempo occorso, scolala, strizzala e tienila da parte. Fatto, accomoda il lievito madre dentro a - sa xivedda – scivedda - capace recipiente di terracotta e slegalo con l’aggiunta di una tazzina di - saba - mosto di vino cotto intiepidita che hai in dotazione, poi unisci le uova, le farine miscelate insieme, la polvere d’agrumi, una presa di cannella, una presa di anice, una presa di sale  e una di chiodi di garofano ed impasta ogni cosa amalgamando fra loro tutti gli ingredienti ed incorporando poco alla volta la - saba -rimasta. Terminata questa operazione, trasferisci il composto sul ripiano della madia ben infarinato e lavoralo a lungo, non appena risulterà liscio ed omogeneo, unisci l’uvetta tenuta da parte e infarinata, i canditi di arancia ridotti a piccoli cubetti, la granella di mandorle e amalgama insieme il tutto. Quindi metti a riposare l’impasto dentro a un recipiente, che porrai a lievitare nel forno spento con la sola luce accesa per un paio di ore. Quando sarà passato il tempo, togli la massa dal forno e dividila in

sei panetti, modellali a forma di palla e man mano sistemali su una teglia foderata con della carta oleata, allorché coprili con un canovaccio e sistemali un’altra volta dentro al forno spento con la sola luce accesa e lasciali lievitare per 72 ore, pennellandoli tutt’intorno con la - saba - intiepidita mano, mano che si gonfieranno. Consumato il periodo richiesto, passa i dolci in forno già caldo a 180° per circa tre quarti d’ora, dopodiché sfornali e lasciali intiepidire su una gratella. Solo allora bagnali con la restante - saba - e non appena si sarà asciugata, ripeti l’operazione ancora due volte, infine cospargi - su pani durci - con - sa tragera - tragea - dragea -, confettini caratteristici di zucchero colorati, utilizzati nell’arte dolciaria in Sardegna.

Vino consigliato: Vernaccia di Oristano dolce, dal sapore fine, sottile, caldo e asciutto con leggero retrogusto di mandorle amare.

 

***

 

Is gabadiasa de sa zobia de perdaiou

 

Is gabadiasa - preparazione a base di cotenne, orecchie, nervetti e piedi di maiale in gelatina,  è  un piatto caratteristico  che come un tempo a Carnevale (peculiare usanza andata pian piano in declino e poi reintegrata) veniva e, tutt’ora viene cucinato a Baratili San Pietro - Boàtiri - in dialetto sardo, piccolo centro abitato del Medio Campidano in provincia di Oristano, di circa 1270 anime, a pochi chilometri dal mare, circondato da paesaggi antichi incontaminati e puliti, che ritemprano l’anima al solo sguardo, un piccolo angolo di paesaggio ricco di storia, uno scorcio di naturale bellezza, un angolo di terra che sa regalare il valore autentico dei frutti del suo ambiente.

Secondo la fonte di Wikipedia, gli albori del paese lo riconducono all’era preromana e la regione risulta già popolata in età fenicia.

Durante il medioevo visse un lungo periodo sotto il Giudicato di Arborea e più tardi fece parte della curatoria - curadorìa - del Campidano di Oristano, col solo nome di Baratili. Subito dopo la caduta del giudicato (dal 1410 al 1478), divenne un villaggio del Regno di Sardegna, che venne incluso nel Marchesato di Oristano, in un primo momento donato alla famiglia Cubello e subito dopo al Marchese Leonardo Alagon, ultimo Marchese di Oristano.

Quando gli arborensi vennero sconfitti, Baratili diventò a sua volta un’area di potere aragonese. Il paese fu assorbito nel Marchesato d’Arcais nel 1767 di proprietà del Marchese di Nurra, alla sua morte il feudo passò al nipote Francesco Flores, che lo riscattò nel maggio del 1838. Ma solo nel 1864 il paese prese il nome di Baratili San Pietro e amministrato da un sindaco.

Col passare degli anni il paese fu associato a quello di Riola Sardo e solo nel 1945 il Comune riprese la  propria indipendenza.

Il Carnevale baratilese oggi (festa attesa con trepidazione come avvenimento di grande interesse, in quanto ha sempre avuto la peculiarità di rendere complice tutto il paese), si festeggia anche con la preparazione - de is gabadiasa de sa Zobia de Perdaiou - cotenne, orecchie, nervetti e piedi di maiale in gelatina di Giovedì Grasso.

 - Is gabadiasa - si cucinanano partendo dalla prima domenica dopo Natale fino al Martedì Grasso. Infatti, da Martedì Grasso - Mattisi Coau -, in paese c’è grande esultanza e, già di prima mattina le strade del luogo cominciano a popolarsi e vengono rallegrate con piacevole fragore - cun su ballu de sa Zappitta - il ballo dell’obolo, in presenza di quattro - zappittadorisi - parte del comitato organizzatore istituito per la questua e ad ogni donazione ricevuta, con riguardo ringraziano i benefattori, battendo il piede per terra così come accadeva in tempi lontani, ossequiandoli poi con doverosa riverenza. 

Quando arriva il Giovedì Grasso - sa Zobia de perdaiou  - giorno che viene ricordato anche per  un proverbio in uso ancora oggi  nella cultura dei baratilesi che narra: - sa Zobia de perdaiou femminasa bezzasa a su crazou  -  cradazou - Il Giovedì Grasso le donne anziane finiscono nel calderone, poiché l’usanza è quella di mangiare cotenne e piedi di maiale in gelatina e i baratilesi insieme il pubblico affluito, rendono onore alla complessa preparazione.

Nella piazza principale, posto al centro su una pedana di legno, un musicante con la sua fisarmonica intona le classiche note che invitano i partecipanti ad aprire le danze e, come vuole la tradizione baratilese, si parte con il ballo sardo - ballu tundu -, ci si diverte fino a tardi e si vive una magica atmosfera. Ad arricchire il clima della festa si aggiunge l’immancabile preparazione de - is gabadiasa -, il piatto principe che corona la tavola di ogni famiglia e i banchetti allestiti per l’occasione all’interno della manifestazione, per la gioia dei - liconiaxius - ghiottoni -, il tutto annaffiato, manco a dirlo, di ottima vernaccia: di Baratili s’intende!

Nell’archivio parrocchiale del paese esiste un registro “Liber Chronicus” ben protetto, datato 1833, nel quale si legge che i baratilesi cantavano e ballavano nei giorni di festa,  carnevale compreso, al dolce suono dei flauti a tre canne differenti - launeddas - uno strumento musicale antichissimo a fiato policalamo ad ancia battente originario della Sardegna.

Il Liber descrive anche che le coppie di ballerini, agghindati con il classico costume sardo, si disponevano in cerchio, un grande cerchio, largo quanto la circonferenza della piazza, conosciuta come la “Piazza dei Balli”, e danzavano con portamento lento fino a confluire al centro della piazza dove per l’occasione era stata posizionata una pianta di arance e un musicante abbracciato alla sua fisarmonica. Al centro del piazzale erano presenti anche quattro persone dette - zappittadorisi -, che si avvicinavano a caso a una coppia di ballerini e con cenni eloquenti e con portamento riverente li invogliavano a dare l’obolo, così coloro che offrivano la donazione più consistente, veniva nominata “prima coppia del Carnevale”. Solo allora, i componenti dei - zappittadorisi - persone attempate, con stretto intorno al collo un fazzoletto - mucadori - dalle tonalità sgargianti. Questi si muovevano saltellando goffamente e non appena una coppia elargiva la propria oblazione, battevano il piede per terra facendo un inchino per ringraziarli. Sempre secondo il testo del Liber, i - zappittadorisi - invitavano gli scapoli del paese ad elargire un offerta più consistente ed era usanza anche recarsi nelle abitazioni del paese, ballando davanti alla porta di  ogni casa, in questa occasione ricevevano quasi sempre in dono dolciumi, frutta secca e  - su cumbidu - l’invito a bere un bicchiere di vernaccia locale.

In Sardegna era usanza, come ancora oggi in ogni festa, esibirsi in balli vari, così come accadeva a Carnevale, oltre ai bagordi e - su ballu tundu - l’antico ballo sardo,

la festa si protraeva fino al lunedì. All’alba del martedì nelle vie del paese si dava già inizio ai balli e i partecipanti indossavano (obbligatoriamente) per l’occasione sfarzosi costumi sardi. Ogni tanto i danzatori facevano una pausa per poter assaporare le frittelle offerte dalle donne delle borgate insieme a frutta, dolciumi (rigorosamente preparati dalle abili mani delle cuciniere del posto) e vernaccia e nel pomeriggio iniziava il ballo più importante del Martedì Grasso di Carnevale - su Mattisi Coau -.

I balli terminavano poi a notte inoltrata, con la premiazione della coppia del Carnevale che aveva sbalordito di più.

I miei ringraziamenti vanno alla gentile signora Cristina Madau della biblioteca civica per le preziose informazioni insieme ai complimenti alla classe III D delle Scuole Medie Baratili S. Pietro, per la documentata ricerca.

Ingredientis:

kg 1,5 in tutto di piedini di maiale, orecchie, cotenne e nervetti già puliti, 1 bella cipolla, 2 spicchi d’aglio, una costa di sedano, 2 carote, 4 pomodori secchi ben dissalati, un ciuffo di prezzemolo, 1 ciuffo di armidda (timo sardo), 2 foglie di lauro, strutto, vino tipo  vernaccia, sale e pepe  in grani q.b.

Approntadura:

poni un capace recipiente sul fuoco e tuffaci dentro la cipolla con l’aglio, il sedano, le carote, i pomodori secchi, il prezzemolo, il timo, e un cucchiaio di strutto, poi alza la fiamma e fai rosolare gli odori, dopo qualche minuto, spruzzali con poco vino.  Evaporato, coprili con dell’acqua e porta a ebollizione il brodo. Fatto, regola di sale, quindi aggiungi i piedini precedentemente bruciacchiati in modo da eliminare la peluria, le orecchie, le cotenne, i nervetti e prosegui la cottura fino a quando il tutto risulterà tenero. Solo allora scola il tutto, allorché spolpa i piedini eliminando tutte le ossa e versa il ricavato dentro a un recipiente d’acciaio, insieme ai nervetti e le cotenne tagliate a listarelle. Terminata questa operazione, filtra il brodo di cottura, aggiungi un  bicchiere d’aceto e versa la miscela ancora bollente dentro al recipiente dei piedini spolpati, nervetti, orecchie, cotenne e appena la preparazione si sarà  raffreddata, copri la terrina e ponila in frigorifero per un paio di giorni. Passato il tempo, il brodo si sarà gelatinizzato, perciò togli la pietanza dal frigorifero solo mezz’ora prima di servirla in tavola, preferibilmente insieme a un insalatina di cicoria - gicoia - fresca di taglio, condita con un emulsione di olio, sale e aceto.

Vino consigliato bianco: Vernaccia di Oristano superiore, dal sapore fine, sottile, caldo con leggero retrogusto di mandorle amare e asciutto.

 

 

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalita illustrate nella pagina di policy e privacy.

Chiudendo questo banner , scorrendo questa pagina,cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all`uso dei cookie. Per saperne di piu'

Approvo

Pubblicità big

Contatore accessi

Archivio

In questa sezione potrai trovare tutti i numeri del "Messaggero Sardo" dal 1969 al 2010

Archivio Nuovo Messaggero Gds Online...

Circoli

Elenco completo di tutti  i circoli sardi in Italia e nel Mondo, le Federazioni e le Associazioni di tutela.

Sport

Le principali notizie di tutti gli sport.

In Limba

Le lezioni in limba, il vocabolario e le poesie in limba.

doğal cilt bakımı doğal cilt bakımı botanik orjinal zayıflama ürünleri doğal eczane avon