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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Maggio 2022

 S’uscellè o uxellè a sa casteddaja

Una delle rare ricette di uscellè trovate sui libri è quella pubblicata dall’editore Muzzio: “Cucine di Sardegna” edito nel 1995, a conferma del fatto che si tratta di un piatto tipico isolano, in questo caso circoscritto a Cagliari. Mentre nel ricettario “Mangia italiano, guida alle specialità regionali italiane” di Monica Sartoni Cesari, edizione 2005, a pagina 244, l’autrice scrive: - uscellè - è la coratella d’agnello completa - animella, cuore, fegato, retina e polmone -, tagliata a pezzi e cotta in casseruola con olio, cipolla e aceto. Per - uscellè o uxellè - in Sardegna e, precisamente nelle macellerie “loggette - panga”  della marina del porto di Cagliari si intende per coratella d’agnello: polmone, fegato, cuore e rognoni, anche se oggi oltre a queste parti si aggiungono reni, milza e animelle, il tutto identificato con il nome di “quinto quarto” - frisciura - trattalìa - tattaliu - fressura - in lingua sarda, tagliata a pezzi e cotta in un tegame di terracotta - tianu mannu - con strutto o olio extravergine d’oliva, aglio, cipolla, lauro, prezzemolo, volendo bacche di ginepro, aceto e vino bianco secco.

 

A proposito delle “loggette - panga”, vorrei dare alle persone che ancora non le conoscono alcune informazioni. Le loggette (piccole macellerie) hanno origini molto antiche, infatti erano già presenti agli inizi del 1300 e ancora attive in forma adeguata ai primi del ‘900, operanti nei mercati come piccoli negozi di circa 12 metri quadri e collocate ai lati delle piazze dei mercati. In questi mercati erano presenti oltre alle loggette dei macellai, quelle del vino, del pane e del pesce. Sempre all’interno del mercato si commerciavano partite di grano, capi di bestiame e persino terreni ed immobili.

Era comunque compito degli uomini, andare la mattina del giorno dopo la macellazione degli agnelli, da una macelleria all’altra, alla ricerca - dell’uscellè - uxellè - e ancora oggi, con consolidata maestria gli stessi si occupano anche di far arrostire la carne allo spiedo. Sempre in Sardegna, nella cucina agropastorale, la coratella si prepara anche in fricassea, con tuorli d’uovo, succo di limone e prezzemolo. Ma per essere pignoli, fricassea (dal francese fricassée - frika'se) è il termine esatto per indicare un taglio di carne fatto a pezzi, anche se in Grecia con fricassea si intende la preparazione fatta con lo spezzatino di maiale, assieme a erbe aromatiche e salsa all’uovo.

In passato con gli appellativi corata e coratella (dal latino cor - corata), si distinguevano le frattaglie dei vari animali, per esempio per corata si intendevano le frattaglie di un animale adulto, mentre per coratella si specificava l’insieme di interiora quali: omento, fegato, polmone, rene, milza, animelle, cuore e budelline dell’agnello o animali di piccola taglia. Era un piatto povero perché gli ingredienti erano  quelli  meno pregiati dell’animale e nella cucina rurale si aspettavano le feste per poterlo mangiare, ma ricco perché era un piatto delle feste e si accompagnava con una spensierata convivialità.

Oggi, per degustare questo piatto, ogni momento è quello giusto, basta un tavolo, un gruppo di amici e una grigliata di frattaglie, il tutto accompagnato con fette di pane casereccio, annaffiato da buon vino, e… - l’uscellè - uxellè, o - ziminu - (interiora di vitello e frattaglie di agnello - agnellone - capretto) così come lo preparano nel sassarese,  che di queste delizie se ne intendono. - E custu es’tottu… ajoo tottus a mesa a cambarada!. - E questo è tutto… andiamo tutti a tavola in compagnia!.

Ingredientis:

una coratella di agnello, una bella cipolla di - sa Zeppara - zona florida della Marmilla, un mazzo di prezzemolo fresco di taglio, due spicchi d’aglio, un germoglio di foglie tenere di alloro,  un bel limone giallo non trattato, aceto di ottimo vino bianco, vino bianco secco, brodo vegetale, olio extravergine d’oliva, strutto di maiale, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

per prima cosa lava accuratamente la coratella, poi tagliala a pezzi piccoli e ponila a bagno dentro a un capace recipiente con abbondante acqua acidulata con il succo del limone filtrato, mezzo bicchiere d’aceto e lasciala da parte a marinare. Nel mentre, prepara un soffritto affettando la cipolla, tritando il prezzemolo e metti il ricavato dentro a un capace tegame di terracotta - tianu mannu - con un  pezzo di strutto, un giro d’olio, l’aglio schiacciato, il lauro e una spruzzata di vino. Evaporato, unisci la fricassea di coratella ben scolata dalla marinata e falla cuocere a fiamma moderata per circa quaranta minuti. Di tanto in tanto dai una mescolata, poi bagna le interiora con qualche cucchiaiata d’aceto e una spruzzata di vino, facendoli sfumare dolcemente. Trascorso il tempo, regola il sapore di sale e impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe, allorché copri il recipiente e prosegui la cottura dolcemente per altri dieci minuti, aggiungendo del brodo bollente qualora la preparazione tendesse ad asciugarsi. Terminata la cottura servi la coratella con fette di pane tipo - civraxiu - di Sanluri raffermo abbrustolite e un contorno di carciofi trifolati, oppure di piselli freschi in umido, o una salsa di tuorli d’uovo, succo di limone e prezzemolo.

Vino consigliato: Carignano rosso del Sulcis, dal sapore armonico, sapido e asciutto.

 

***

Malloreddus cun curcusa e brodu de  areeche

  

 

Gli gnocchetti Sardi - malloreddus - con farina di granito sardo - granitu sardu - lessati nel brodo di pecora - is malloreddus cun curcusa in brodu de  areeche -, sono un piatto antico e di rara squisitezza. Infatti il brodo utilizzato per la cottura della pasta è quello della pecora bollita, una preparazione collegata alle consuetudini culinarie del mondo agropastorale. Una cucina semplice che secondo le abitudini culinarie contadine e pastorali si prepara in particolar modo nell’area sassarese - thatharese -. Si tratta di un piatto che è stato  molto rivalutato e si ispira all’antica e saggia esigenza di non buttare via niente.

La Sardegna è un isola splendida, incantata, incorniciata da un territorio con una vegetazione a sprazzi aspra, arida e allo stesso tempo boschiva, dove regnano secolari lecci, sughere, ginestre e ginepri profumati. Lo scenario è da cartolina, caratterizzato dalla macchia mediterranea, ma la natura è affiancata alla storia, infatti numerosi resti sono testimonianza di un passato destinato a non tramontare mai.

I sardi, da sempre hanno fondato la loro forza economica sulla pastorizia, conservando con ostinazione le tante tradizioni alimentari legate alle avare  varietà di cibo consumato dai pastori, nei lunghi periodi che trascorrevano negli ovili disseminati in tutta l’Isola, ad accudire il bestiame.

Mentre, una volta ricoverati gli animali, trascorrevano la notte dentro alle - pinnettas  - pinnettus - pinnettos -, antiche capanne pastorali con struttura in legni di ginepro o in pietra. In questi lunghi periodi di isolamento l’alimentazione doveva essere pratica e calorica. Immancabile era il pane, quello carasau, in quanto si conserva più a lungo, unito con insaccati, olive, verdure, carni ovine e suine macellate sul posto, formaggi e dolci secchi. Le ricette “povere ma ricche” variano da paese a paese, non solo nel nome, ma anche nella preparazione degli ingredienti. Per esempio nella preparazione degli gnocchetti - malloreddus - piatto preparato in tutta l’Isola, possono cambiare i condimenti, ma la ricetta ha come elemento imprescindibile la farina, ovvero la semola di grano duro - granito sardo - granitu sardu - triticum durum - curcusa - quest’ultima di derivazione spagnola. Il nome curcusa oggi non più in uso, si riferisce a una semola di forma spezzata (tipo tabulè o - granitu sardu -) che si utilizzava nel mondo antico, in particolare dai popoli moreschi con il frumento di Barbary (nord del continente africano).

Per queste notizie ringrazio la gentile signora Olga Pischedda, dello sportello bibliotecario del comune di Sassari, che ha collaborato nella ricerca, con preziosi suggerimenti e puntuali indicazioni.

Ritornando ai nostri - malloreddus -, a conferma del fatto che la Sardegna da secoli è stata una grande produttrice ed esportatrice di pasta di ottima qualità, il filosofo storico Benedetto Croce 1866 - 1952 di Pescasseroli (Abruzzo), annotava nei suoi appunti, come già nel 1600 a Napoli la pasta venisse chiamata “Pasta o maccheroni di Cagliari” e che per produrla si utilizzavano farine di qualità eccellenti, non a caso la Sardegna al tempo dei Romani era considerata il “granaio dell’Urbe”.

Ma nonostante le varie influenze: Fenicie, Cartaginesi, Puniche, Arabe, Ebraiche e altre ancora, non si ha la certezza di chi abbia lasciato una traccia delle tecniche di lavorazione dei diversi formati di pasta preparati nell’Isola. L’unica cosa certa è che ancora oggi giovani donne, con passione e dedizione continuano la tradizione di   lavorare la pasta con abili mani, proprio come un tempo, tecnica lasciata in eredità da madre in figlia, mantenendo l’usanza che da sempre accompagna il popolo sardo, così come la volontà di mantenere le radici che sono solide basi e fondamento per un futuro sempre più incerto.

Ingredientis:

per la pasta: g 400 di farina di granito - granitu sardu - curcusa -, acqua e un pizzico di sale, per il brodo: kg 1 di spalla di pecora,  2 cipolle di Banari,  2 belle patate di Sorso, 2 carote, 2 pomodori secchi ben dissalati, una costa di sedano verde, un ciuffo di prezzemolo legato, vino bianco secco, una presa di zafferano San Gavino, sale q.b. per il condimento: una bella cipolla di Banari, un ciuffo di prezzemolo g 40 di pomodori secchi ben dissalati ridotti a poltiglia, g 200 di salsiccia fresca spellata non condita con i semi d’anice o di finocchio, olio extravergine di oliva, vino bianco secco, g 80 di pecorino sardo grattugiato, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

prima di tutto, comincia a preparare gli gnocchetti procedendo nel seguente modo: disponi la semola setacciata a fontana sul piano della madia, forma un cratere ed al centro tuffaci tanta acqua tiepida leggermente salata, che si riveli necessaria per ottenere un impasto privo di grumi e malleabile, che lascerai riposare in luogo fresco per un ora. Nel mentre monda e lava le cipolle, le patate, le carote e il ricavato versalo dentro a una capace marmitta insieme a un giro di olio, il mazzetto di prezzemolo, il sedano, i pomodori secchi, una presa di sale grosso e fai rosolare il tutto per tre minuti, poi aggiungi la carne rifilata del grasso eccedente, falla insaporire due minuti e subito dopo spruzza la preparazione con mezzo bicchiere di vino. Evaporato, colma il recipiente con dell’acqua ed appena prende il bollore,  elimina la schiuma che si formerà in superficie e prosegui la cottura per due ore circa a fiamma moderata. Fatto, rimaneggia la pasta, forma dei rotolini grossi come una matita e tagliali a tocchetti di due centimetri e con l’aiuto di un canestro, crivello - cioliriu - canisteddu - canistréddhu - o di un piccola tavoletta di legno rigata dai forma ai - malloreddus - in italiano vitellini e man mano  che li prepari allargali su un piano di lavoro foderato con un canovaccio da cucina infarinato e lasciali asciugare. Terminata questa operazione, poni a rosolare in mezzo bicchiere di olio la cipolla tagliata sottilmente, il prezzemolo tritato, la poltiglia di pomodori secchi e la salsiccia sbriciolata grossolanamente, dopo una decina di minuti, sfuma il condimento con poco vino e appena evaporato, prosegui la cottura dolcemente per mezz’ora. Terminato questo tempo, aggiungi un’idea di zafferano e continua a cuocere per un'altra mezz’ora facendo pipare l’intingolo. Aggiusta il sapore di sale e impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe e allontana il recipiente dal fuoco. Arrivati a questo punto, filtra il brodo dentro ad un'altra pignatta (la carne e le verdure saranno un ottimo secondo piatto), aggiungi una presa di zafferano e riportalo a ebollizione. Solo allora tuffaci gli gnocchetti tenuti da parte e appena saranno cotti al dente, scolali direttamente dentro al recipiente del sugo, padellali velocemente a fiamma vivace giusto il tempo che occorre per farli amalgamare. Servili immediatamente cosparsi con il pecorino grattugiato.

Vino consigliato: Monica di Sardegna fermo, dal sapore gradevole, morbido, vellutato e asciutto.

 

 

 

 

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