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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Agosto 2022

 Sos ciciones cun ghisadu de iveghe e sa mendula bellinda de Bessude

Bessude è un piccolo paesino di 412 abitanti della provincia di Sassari, nell'antica regione del Logudoro-Meilogu.

I primi abitanti del luogo risalgono al lontano periodo prenuragico e nuragico,  così come lo documentano alcune - domus de janas - e il nuraghe di San Teodoro in prossimità del borgo.

Bessude nel XIII secolo faceva parte del giudicato di Torres, poi venne accorpato alla curatoria di Caputabbas.

Nel 1259 il paese passò sotto il dominio dei Doria e successivamente sotto quello degli aragonesi.

Nel XVI secolo la popolazione fu colpita da un improvviso focolaio di peste che perversò per diversi anni, sterminando un gran numero di abitanti.

Nel 1636 la borgata venne integrata nel marchesato di Montemaggiore e nel 1839 la stessa venne liberata dai Manca, i quali furono anche gli ultimi vassalli.

Oggi Bessude è un delizioso paesino dove gli abitanti mantengono saldo il contatto con le tradizioni contadine ed è caratterizzato da scorci in cui la natura è ancora sovrana, ma forte è stato anche il rispetto della storia e del passato.

L’economia del paese ruota intorno all’iniziativa di famiglie dedite alla pastorizia,  alla passione per l’orticoltura, alla coltivazione della terra, alla cura degli olivi, degli alberi da frutta e in particolare dei mandorleti, in cui ancora oggi le varie tecniche di lavorazione resistono nel tempo.

Il fiore all’occhiello del paese è la coltivazione dei mandorli e la raccolta dei suoi frutti rappresenta un importante contributo all’economia delle famiglie.

Il mandorlo ha origini antichissime, si hanno notizie già nella prima parte dell’Età del Bronzo.

 

Il mandorlo, “Amygdalus communis L.- Prunus dulcis Mill” - Prunus amygdalus Batsch”, proviene dall’Asia centrale.

Si presume sia stato portato nel bacino del Mediterraneo dai fenici, dai punici e dai greci tra il quinto e il quarto secolo a. C., e furono proprio questi ultimi a diffondere le prime piante in Sardegna tra il 500 e il 200 a. C..

In Egitto, nella tomba del faraone Tutankamon, dai resti ritrovati appare chiaro che si tratti di quelli di antiche specie di mandorle, forse importate dall’Oriente.

Una leggenda narra che la mandorla fosse in realtà la vulva della Dea Cibele, adorata in Anatolia come la Grande Dea Madre, immagine-metafora riconducibile senza dubbio al simbolo della fertilità.

Nel Medioevo la mandorla era uno degli ingredienti usati per chimerici filtri d’amore e per infusi erotici, era anche abitudine renderla in poltiglia e miscelarla con essenze odorose e con l’unguento ottenuto si cospargeva il corpo di splendide fanciulle da maritare.

Ma anche per i giovani sposi, come segno di buon auspicio, veniva offerto dell’olio di mandorle e per questo motivo, oggi, molto probabilmente il gesto di lanciare e offrire confetti con l’anima di mandorla nei matrimoni, si lega alle tradizioni di quell’epoca.

Sempre nel solco delle tradizioni e per rendere onore alla mandorla, a Bessude, la Pro Loco, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, provinciale e regionale,   organizza ogni anno un appuntamento dedicato a - sos cicciones - gnocchetti di piccolissime dimensioni rispetto a quelli classici più conosciuti, confezionati manualmente con l’aiuto di canestri di giunchi - chiliros - e a - sas mendulas bellinda  - le mandorle dolci di Bessude, che si fanno abbrustolire prima in forno a legna e poi candite con acqua, zucchero e scorze grattugiate di limoni gialli rigorosamente non trattati. Questi dolcetti vengono serviti nelle grandi occasioni, feste natalizie e pasquali, matrimoni, battesimi, comunioni, cresime e cerimonie importanti.

Ingredientis:

per  la pasta: 300 g semola, g 200 di farina grano duro rimacinata, una cucchiaiata di olio extravergine d’oliva, zafferano (facoltativo), acqua tiepida e sale q.b. per il condimento: g 600 di polpa pecora o di maiale o di manzo, g 800 di polpa di pomodori ridotta a poltiglia, g 80 di guanciale - grandua - 4 cipollotti con il verde, 2 spicchi di aglio, un mazzetto di prezzemolo, un ciuffo di salvia e uno di timo, 2 foglie tenere di lauro, vino bianco secco, g 150 di pecorino grattugiato, olio extravergine d’oliva, zucchero comune, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

disponi a fontana le due farine sul ripiano della madia e al centro tuffaci l’olio, a piacere un’idea di zafferano e tanta acqua tiepida quanto basta per ottenere un impasto sodo e privo di grumi, che lascerai riposare coperto con un canovaccio in luogo fresco. Intanto, suddividi la polpa di pecora (o la carne prescelta) in piccoli pezzetti, eliminando l’eventuale grasso in eccedenza e tienila da parte. Fatto, prepara un trito con il guanciale, i cipollotti, il prezzemolo, la salvia, il timo e il battuto ottenuto fallo rosolare con un giro di olio in un ampio tegame di terracotta - caccavella - sattaina - sciacuera - strexiu - cassarolla - grassanera - schiscionera -, dopo qualche minuto bagna il soffritto con una spruzzata di vino. Evaporato, aggiungi la carne e lasciala insaporire, poi unisci la poltiglia di pomodori insieme a una presa di zucchero, l’aglio sghiacciato, le foglie di lauro e prosegui la cottura per un’abbondante ora, o per lo meno fino a quando il sugo diventerà vellutato e la carne si disferà in bocca. Regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe e allontana l’intingolo dal fuoco. Terminata questa operazione, dedicati alla preparazione degli gnocchetti, prelevando piccole parti di pasta, arrotolandoli fino ad ottenere dei fili lunghi e grossi quanto una stringa, quindi riducili a piccoli pezzetti e con il pollice strisciali su di un canestro di giunchi - chiliros – oppure sulla tavoletta riga gnocchi e man mano che li prepari allargali sul ripiano da lavoro ad asciugare. Non appena hai terminato, riscalda la salsa, lessa la pasta in abbondante acqua salata a bollore e quando al dente, scolala direttamente dentro al recipiente del condimento, padella velocemente il tutto, giusto il tempo che occorre per fare insaporire gli ingredienti. Servi - sos ciciones - immediatamente spolverati con il pecorino, un ulteriore macinata di pepe e un filo di olio.

Vino consigliato: Cannonau di Sardegna rosso riserva, dal sapore sapido, tipico  e asciutto.

 

***

 

Arrosu cun meboni de jerru de Lunamatrona e presuttu cruu de Dèsulu

 

Maometto (1430 - 1481), il crudele sultano che conquistò Costantinopoli ne era talmente goloso  da inventarsi una dieta a base di meloni. Un giorno si accorse che dalle sue fornite dispense mancavano alcuni dei suoi pregiati meloni, in preda ad un’ira isterica, decise di punire in modo esemplare ben quattordici servitori aprendogli la pancia  per scoprire chi avesse osato mangiarli.

Il melone - Cucumis melo L., 1753 - è un arbusto rampicante che appartiene alla specie delle Cucurbitaceae e molte sono le varietà che sono state selezionate per salvaguardarne la specie.

Non esistono notizie sicure sulla sua origine, alcuni esperti sostengono che provenga dall’Asia, nell’antica Persia, mentre altri attribuiscono l’origine all’Africa, dove è stata trovata presenza di meloni selvatici.

Gli egizi nel V secolo a.C., pare furono i primi a divulgarlo in tutta l’area del Mediterraneo e in Italia fu introdotto intorno alla metà dell'Impero Romano (27 a.C. - 476 d.C.). Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo; Como, 23 - Stabia, 79)  asseriva che il melone piaceva moltissimo all'imperatore Tiberio, ne parla nel suo libro  “Naturalis Historia” uniformandolo al cetriolo a forma di mela cotogna - melopepaes -. Dai recenti ritrovamenti archeologici fatti in Sardegna nel sito Sa Osa a Cabras (Oristano), sono venuti alla luce dei semi di meloni, riconducibili al periodo del Bronzo tra il 1310 - 1120 a.C. nel pieno periodo nuragico, perciò antecedente alle testimonianze egizie.

Marco Gavio Apicio, famoso cuoco vissuto nella Roma del I Secolo dopo Cristo e autore di un famoso ricettario in dieci libri, “De re Coquinaria”, descrive nella sua opera una ricetta a base di meloni acerbi conditi con un intingolo ottenuto da una  miscela di miele, menta selvatica, pepe, aceto e brodo.

Come attestano alcuni dipinti rinvenuti ad Ercolano, durante alcuni scavi, è stato trovato un affresco che evidenzia l’immagine di due meloni tagliati in metà.

Francesco Sforza, duca di Milano nel 1450, era solito ripetere che tre erano le cose difficili: acquistare un melone maturo al punto giusto, scegliere un buon cavallo e prendere una buona sposa, per semplificare le cose il duca proponeva questa soluzione: affidarsi a Dio, coprirsi gli occhi e scegliere a caso!.

Enrico IV di Francia adorava come aperitivo il melone e una ricetta culinaria del suo  medico Yaques Pons che prevedeva: aceto, sale, pepe, preparazione che viene utilizzata tutt’oggi.

Francois de Malherbe, poeta francese del Cinquecento, era solito dire che nella vita esistono due cose belle: le donne e le rose e due cose buone: le donne e i meloni.

Sempre nel XV secolo, i meloni qualità Cantalupo (frutto dei papi), furono portati da missionari provenienti da lontani paesi asiatici a Cantalupo, castello pontificio situato sui colli di Roma.

Va ricordato che i meloni più dolci sono quelli femmina, quelli cioè che hanno, dalla parte opposta al picciolo una specie di areola più scura che ricorda il seno di una donna.

La Sardegna vanta un’importante produzione di meloni, infatti se ne coltivano parecchie varietà in tutta l’Isola. Particolarmente apprezzati quelli di Lunamatrona.

Oggi Lunamatrona è un paesino di circa 1680 abitanti della provincia del Sud Sardegna. Il suo nome pare che provenga da Juno, Giunone, seguito dall'attributo matrona, o da altra fonte che paragona il paese a luna (luna regina), alla divinità notturna Diana, la romana Proserpina dea delle tenebre.

Lunamatrona è un centro agricolo dove si coltivano: cereali, grano, ortaggi e la pianura è ricca di uliveti, agrumeti, frutteti, ma il vanto degli agricoltori lunamatronesi è quello dello coltivazione dei meloni (melone coltivato in asciutto - melone d’inverno - meboni de jerru -), vigneti e annovera numerosi allevamenti di ovini, suini, equini, avicoli e bovini. In paese la pastorizia è legata con profitto ad imprese che operano nel settore lattiero-caseario e derivati.

Ogni anno a Lunamatrona viene dedicata una mostra mercato al “melone in asciutto” e alla malvasia, che si svolge dal 31 agosto al 1 settembre (chiedere conferma per la data agli organizzatori). Considerato che vino e melone vanno a braccetto, perché non chiudere in bellezza citando un antico proverbio sardo che citava sempre mio papà, quando si mangia il melone: - binu a su meboni -  vino al melone e - acqua a su maccarroni - acqua al maccherone. Quando si mangiano i maccheroni: - binu a su maccarroni - vino al maccherone e - acqua a su meboni - acqua al melone. A buon intenditor poche parole!.

Ingredientis:

g 350 di riso qualità carnaroli is molas, mezzo melone d’inverno d’asciutto maturo di Lunamatrona, una cipolla  media di Zeppara - rigogliosa località della Marmilla - g 200 di vino bianco secco tipo vermentino, brodo vegetale, g 150 di prosciutto crudo di Desulo a fette, burro, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

prima di tutto elimina la scorza del melone, poi riduci la polpa a piccole listarelle e il ricavato tienilo da parte. Fatto, in un capace recipiente di terracotta - tianu mannu - fai rosolare dolcemente la cipolla tagliata finemente insieme ad un filo d'olio aggiungi successivamente il riso e tostalo a fiamma media per un paio di minuti, girandolo spesso. Spruzzalo con il vino e una volta evaporato, aggiungi una mestolata di brodo bollente e anche metà del melone tagliato. Copri il recipiente e prosegui la cottura, mescolando e aggiungendo altro brodo bollente di tanto in tanto. Nel mentre fai rosolare il prosciutto crudo in una larga padella antiaderente e una volta rosolato scolalo su dei fogli di carta assorbente a perdere il grasso in eccesso e tienilo al caldo. Terminata questa operazione, regola il sapore di sale (tieni presente che il prosciutto crudo è piuttosto sapido, di conseguenza usa il sale con parsimonia) e impreziosiscilo con una macinata di pepe. Quando mancano circa 5 minuti al termine, aggiungi la restante parte del melone e porta a completamento la cottura. Passato il tempo allontana il risotto dal fuoco, aggiungi una noce di burro e fallo mantecare. Servilo in piatti singoli assieme a una fetta di prosciutto crudo tenuto al caldo e cospargi infine il risotto con il rimanente sbriciolato.

Vino consigliato: Vermentino di Sardegna spumante ben freddo, dal sapore delicato, gradevole, tipico, sapido, fresco, acidulo con retrogusto amarognolo e asciutto.

 

 

 

 

 

 

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