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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Novembre 2022

 Is ossusu de is mortusu de su Prugatoriu de Seui

L’Italia è ricca di arte, di storia con significati simbolici, religione e tradizioni, che si differenziano di regione in regione. Fra le tante feste, quella della commemorazione dei defunti, che si svolge il due novembre di ogni anno è molto sentita.

La rievocazione simboleggia il folclore che si perde nella notte dei tempi, e collega popoli lontani per periodi e percorsi, tanto è vero, si ritiene che nemmeno il periodo della cadenza sia occasionale, per questa ragione, culture remote in passato onoravano la festa dei capostipiti defunti in  un periodo analogo a quello attuale.

 

Infatti il due novembre da l’impressione  che si voglia alludere all’epoca del grande Diluvio, fatto di cui predica anche Genesi, tale periodo corrisponde a quello di quando Noè costruì l’arca, che stando a quanto testimonia Mosè, cadde nel "diciassettesimo giorno del secondo mese", che coinciderebbe con il mese di novembre dei giorni nostri.

Quindi si presume che la ricorrenza dei defunti  nacque in reverenza di esseri umani che Dio aveva annichilito con l’intento di allontanare  il terrore di ulteriori situazioni comparabili

Il cerimoniale commemorativo dei cari estinti perdura ai tempi storici e ai credi religiosi, che vanno dall’antica Roma all’evoluzione celtica, fino alla civiltà messicana e cinese, e nonostante il moltiplicarsi delle usanze, il filo conduttore è quello di rasserenare il soffio vitale dei defunti, in modo tale che siano indulgenti a favore dei vivi.

Durante il tempo storico dei primi cristiani, queste usanze erano alquanto significative, tant’è che il clero si dava da fare estirpare i culti idolatri, perciò, nel 835 Papa Gregorio II spostò la festa di Tutti i Santi dal tredici maggio al primo novembre, ipotizzando con questo procedimento di dare un originale senso ai culti pagani.

Nel 998 Odilone quinto abate di Cluny, aggiungeva al calendario cristiano il 2 novembre, come data per commemorare gli estinti.

In parecchie regioni d’Italia, ogni anno festeggiano i cari estinti con usanze di antica provenienza, per fare alcuni esempi, in Piemonte e Valle d’Aosta, quando vanno a far visita i propri cari al camposanto, lasciano la tavola preparata con ogni ben di Dio.

In Liguria è abitudine nella ricorrenza del giorno dei morti preparare i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne lesse).

In alcuni paesi della Lombardia, la tradizione vuole che la notte tra l’uno e il due novembre, si lasci in tavola un bricco colmo di acqua fresca, affinché i cari estinti possano dissetarsi.

Nel Veneto per allontanare la malinconia nel giorno dei defunti i promessi sposi usano regalare alle loro future mogli dei sacchetti colmi di fave dolci di parta frolla colorata.

In Trentino per tradizione si fanno suonare le campane per richiamare l’attenzione delle anime e farle radunare tutta la notte intorno alla tavola apparecchiata vicino al caminetto acceso.

In Friuli è consuetudine lasciare una candela accesa con accanto una brocca d’acque e del pane.

In Umbria per l a ricorrenza dei defunti si confezionano i caratteristici stinchetti (dolcetti di mandorle a forma di fave) e in tale periodo ha luogo l’antica fiera dei morti (cerimonia che rappresenta gli archi di tempo della vita).

Nel Lazio e nelle usanze romane, era consuetudine per la festa dei morti, consumare il vitto vicino al sepolcro di un caro estinto serbargli rispetto e dimostrargli un continuo rapporto affettivo.

In diverse zone dell’Abruzzo, ancora oggi per tradizione apparecchiano la mensa con vassoi colmi di pietanze succulente e sul davanzale delle finestre, tanti ceri accesi, quanti sono i cari estinti e ai bambini, quando vanno a dormire viene dato un involucro di fave dolci e confetti, gesto che simboleggia il vincolo tra passato e presente.

I siciliani, festeggiano il due novembre, facendo credere ai bambini che se son o stati bravi e hanno sempre ricordato i cari estinti verranno premiati, infatti le anime care, secondo la leggenda durante la notte porteranno loro dei doni, che in verità sono i tradizionali pupi di zuccaro  (dolci a forma di bambole di zucchero), insieme ad altri dolciumi preparati  nella notte dai genitori.

In Sardegna, la celebrazione dei defunti è molto sentita, infatti ogni anno si ripete questa arcaica consuetudine, divulgata da secoli in tutta l’Isola.

I festeggiamenti iniziano la mattina del due novembre, con i ragazzini che bussano di porta in porta  alle le case dei rioni, per chiedere l’obolo e tutti riscuotono in dono bottini preziosi come il pane casereccio, che a secondo del luogo può essere tipo - moddizzosu - civraxeddu - coccoietti -, dolcetti di mandoirle - drucis de mendula -,  uva appassita - pabassa -, melagrane - arenada -, noci - nuxi - nocciole - nuxedda -, castagne - castangia - castanza -, mandorle - mendua - mendula -, fave secche - fa siccada - ficchi secchi – figu sicca - figu siccada - e delle volte anche delle monete. Mentre la sera del giorno prima è usanza accendere dei ceri e porli sulla tavola imbandita, oltre a ciò, si tengono aperte le ante e i cassetti della credenza, per permettere così ai cari estinti di potersi servire.

Questi cerimoniali si diversificano da un paese all’altro, ma che si accomunano tutti nell’onorare i cari defunti passati a miglior vita.

Uno di questi paesi è Seui - Seùi -  località del nuorese che si trova a circa 820 metri di altezza nel cuore della Sardegna. Come comprovano parecchi indizi di ruderi della civiltà prenuragica e nuragica, il suo territorio infatti è stato insediato fin dal III millennio a.C.

Durante il periodo medievale il paese è stato di proprietà del giudicato di Cagliari e fece parte dell’amministrazione di Seulo.

Nel 1258 fu trasferito al giudicato di Gallura e successivamente a quello del dominio della repubblica di Pisa.

Nel 1324, il paese fu conquistato dagli aragonesi e fu dato in concessione differenti nobili, uni di questi i Carrozconti di Quirra, il quale marchesato possedeva  parecchi feudi.

Nel 1604 fu assorbito dai Mandas, poi dai Maza e subito dopo dai Tellez-Giron di Alcantara, ai quali fu svincolato nel 1839 con l’abolizione della filosofia del feudalesimo.

Nel 1650 circa, viene eretto il carcere spagnolo  nel centro del paese e resta operante fino al 1975.

Nel 1850 adiacente al centro del paese sorgeva un rilevante complesso minerario dato senza condizioni per l’estrazione di un giacimento di antracite nella regione di "Fundu 'e Corongiu" in seguito chiuso nel 1960. Mentre il ritrovamento della vena carbonifera scoperta nel 1827 dal generale La Marmora rimase funzionante dal 1870 al 1958.

Oggi Seuli è un paese abitato da  poco più di 1300 anime, famoso per la bellezza del suo territorio ricco di storia e tradizioni. Si trova nella Barbagia di Seulo, fulcro di grande interesse della regione. L’economia del luogo si basa principalmente sulla pastorizia e sull’agricoltura.

Il paese si adagia alle pendici del gruppo montuoso del Gennargentu, dove la natura ha provveduto a regalare una visuale incantevole e allo stesso tempo lo sguardo spazza l’orizzonte e abbraccia tutti i colori e il verde della macchia del mediterraneo, il blu delle acque, quello del cielo, il rosso del tramonto stampato sulle rocce. Su questa valle si affacciano scenari da cartolina ricchi di storia.

In primavera, un’iperbole di fiori sbocciano e dipingono i campi della brulla vegetazione che circonda l’intero paese e al solo pensiero, i brividi sigillano attimi interminabili e indimenticabili dentro l’animo, una sensazione strana di profondo rispetto per la storia antica che questo  meraviglioso paese riesce a trasmettere.

Ogni anno a Seui dal 31 ottobre fino al 3 Novembre si rinnova la manifestazione  - su Prugadoriu - il Purgatorio. Fermento vivo in paese per le iniziative che gli organizzatori promuoveranno in occasione della ricorrenza, cercando di regalare ai visitatori bagliori di cultura, di arte e di tradizioni seuesi. I responsabili allieteranno le serate con eventi culturali, con musica e balli, spettacoli, laboratori di vario genere, ma anche sfilate di maschere locali e tanto altro ancora. All’interno della dimostrazione pubblica non mancheranno le degustazioni di prodotti tipici dell’economia locale presso gli stand disposti nell’area riservata agli ospiti. Tra i  tanti assaggi proposti, in evidenza i tradizionali dolcetti - is ossussu dei mortusu de su Prugatoriu de Seui -  dolcetti di mandorle che ricordano simbolicamente le ossa dei morti. E allora gente, che festa sia… - Is Animeddas, su Mortu mortu, su Prugadoriu o is Panixeddas -, - pro su ‘ene ‘e sas ànimas -.

Ingredientis:

g 200 di mandorle tostate ridotte a filetti, g 120 di farina di mandorle, 2 albumi montati a neve ferma con un pizzico di sale, una presa di cannella, la scorza grattugiata di un limone non trattato, un cucchiaino di polvere di scorze d’agrumi essiccate, g 160 di zucchero comune,vino tipo moscatello, zucchero al velo q.b.

Approntadura:

mescola la farina di mandorle con i filetti, poi aggiungi la cannella, la polvere di agrumi, la scorza del limone, a piacere un paio di cucchiai di vino passito tipo moscatello - muscadeddu -, lo zucchero, gli albumi e amalgama accuratamente il tutto fino a quando avrai ottenuto un composto malleabile modellabile. Fatto, preleva a cucchiai parte dell’impasto, modella dei biscotti a forma di piccoli stinchi e man mano che li prepari accomodali su una teglia foderata con carta oleata, quindi passa i dolcetti in forno già caldo a 160° circa per 25-30 minuti e quando risulteranno dorati in superficie, sfornali e quando freddi, cospargili a piacere con zucchero al velo, ma c’è anche chi li glassa e li cosparge con dei confettini di zucchero colorati: codetta - mompariglia - tragera - tragea - dragea -.

Vino consigliato: Moscato di Cagliari liquoroso riserva, dal sapore vellutato che  ricorda l'uva  dolce.

 

 

 

 

 

***

 

Cunfittura de kariàsa lidone

 

 

 

Ancora oggi ho un bel ricordo delle piante di corbezzolo, ero bambino quando terminata la scuola, andavo in vacanza da  mia nonna (cuoca eccezionale della mensa degli operai ed impiegati della miniera) ad Ingurtosu, frazione di Arbus in Sardegna; zona mineraria molto nota nei primi anni del Novecento per l’importante estrazione di minerali. La boscaglia era ricca di piante mediterranee quali il corbezzolo, il mirto, il cisto, il lentisco, i lecci e tante altre ancora; una vera sinfonia di profumi che sembrano materializzarsi ancora adesso al solo pensiero.

Il corbezzolo, chiamato anche ceraso marino o albatro. Il nome botanico, Arbutus unedo (ne mangio uno solo), gli fu assegnato da Plinio il Vecchio, facendo una chiara  allusione alla scarsa appetibilità dei suoi frutti. Il termine generico ha un'antichissima derivazione dalle radici celtiche 'ar' che vuol dire aspro, e 'butus' che significa cespuglio, probabilmente in allusione al sapore aspro delle foglie e dei frutti.

Il Corbezzolo, dal latino Arbutus unedo L., mentre in dialetto sardo: - meradoni - mela’ e lidone - aridoni - lidone - elioni - obiòni - olidòne - olione - ollioni - oióni - oioi -  kariàsa lidone - ghilisone -. Le proprietà sono antinfiammatorie, antisettiche, astringenti, depurative, diuretiche e le parti utilizzate sono: radici, foglie, corteccia e frutti. È originario del bacino del Mediterraneo e costa atlantica fino all'Irlanda. Appartiene alla famiglia delle Ericaceae ed è appurato che è una delle specie mediterranee meglio resistenti agli incendi. Infatti sui terreni acidi l'incendio ripetuto favorisce il corbezzolo, capace di emettere rapidamente nuovi turioni dopo il passaggio del fuoco, crescendo rapidamente molto prima delle altre piante.

Il corbezzolo è una pianta sempreverde che può raggiungere una altezza che varia dai 5 ai 10 metri. Fiorisce da ottobre a dicembre e fruttifica nell'autunno seguente. Il frutto è una bacca globosa di uno o due centimetri di diametro, rosso scura a maturità, edule, con superficie ricoperta di granulazioni e polpa carnosa con molti semi. Nell’antichità impersonava una sfera affettiva importante.

Gli antichi Greci hanno dato il nome al Monte Conero e lo chiamarono "Komaros", cioè cocomero che, in dialetto anconetano significa corbezzolo. Sempre i Greci e i Romani erano soliti depositare rami di corbezzolo sulle tombe. Il poeta romano Virgilio menziona il corbezzolo nelle sue opere. Ricorda ad esempio la cerimonia funebre di Pallante, figlio di Evandro, compagno di Enea, il cui letto funebre era una stuoia di rami di corbezzolo con fiori bianchi e frutti rossi. Secondo la leggenda, la Dea Carna, sorella del dio Apollo, con il corbezzolo proteggeva i bambini dalle insidie delle Strigi (esseri mostruosi). Mentre Ovidio considerava il corbezzolo un talismano contro la malasorte. Sempre anticamente si credeva portasse fortuna avere in casa un ramo di corbezzolo con tre frutti. Il fiore di questa pianta sboccia in autunno e nel linguaggio dei fiori, secondo le convinzioni popolari, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti sono i colori dell’alba solstiziale. Mentre il frutto, rosso fuori e giallo dentro, è segno d’amore e allo stesso tempo di gelosia. Il poeta Giovanni Pascoli ha scritto un’ode intitolata “Al corbezzolo”.

Una peculiarità di questa pianta, che la rende celere nei rimboschimenti, come visto anche dopo un incendio, è la sua resistenza a lunghi periodi di siccità. La sua fioritura fuori stagione è molto amata dalle api, perché nelle giornate calde d'autunno, prima dell’arrivo dell’inverno, prelevano il nettare dal fiore del corbezzolo per poi produrne un miele particolare. Questa pianta nei mesi autunnali esibisce fiori bianchi  e frutti nelle varie fasi di maturazione: verdastri quando non sono ancora maturi, gialli in una fase intermedia e rossi quando sono completamente maturi.

Il corbezzolo, insieme ad altre piante, caratterizza e ravviva la macchia mediterranea. Non bisogna mangiare i frutti in gran quantità perché sono alcolici, tanto è vero che i Greci li amavano molto perché creavano uno stato di ebbrezza e ogni anno organizzavano la festa del corbezzolo, durante la quale si rendevano ebbri e quindi con un carattere più socievole con gli altri.

Esiste poi una farfalla dai colori meravigliosi che vive esclusivamente su questa pianta e perciò è chiamata "farfalla del corbezzolo".

Utilizzato in gastronomia, il corbezzolo si presta moltissimo alla realizzazione di  confetture, gelatine, sciroppi, succhi, creme, salse e canditi. Un'altra caratteristica del corbezzolo è quella dell’innesco della fermentazione per ottenere il vino  e distillati  con proprietà digestive. Dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antireumatiche e la corteccia contiene tannini utilizzati industrialmente per la produzione di coloranti e per la concia delle pelli.

Questo è il corbezzolo… - Cerèsia  de mari - Ciliegia di mare!. 

Ingredientis:

kg 2 di polpa di corbezzoli maturi, g 800 di zucchero comune, 1 cucchiaino di polvere di scorze essiccate d’agrumi, la buccia di un limone giallo grattugiata più il succo filtrato, g 200 di vino bianco aromatico.  

Approntadura:

prepara la - cunfittura de kariàsa lidone - confettura di corbezzolo nel seguente modo: monda e lava velocemente i corbezzoli sotto il getto dell’acqua fredda, poi accomodali dentro a un capace recipiente d’acciaio e dalle una precottura di circa 20  minuti a fiamma moderata. Fatto, passa i frutti al passaverdure, in modo da eliminare tutti semini e la purea ottenuta versala in un altro recipiente d’acciaio insieme allo zucchero, la polvere di scorze d’agrumi, la buccia di limone, il succo del limone, il vino e lascia cuocere il composto a fiamma dolce per un oretta, sempre mescolando per evitare che la confettura si attacchi sul fondo. Nel mentre che la cuoci, lava una dozzina di vasetti (da 250 grammi) con tappo a vite, poi scolali e disponili dentro a una teglia assieme ai suoi tappi, quindi passali in forno già caldo a 120° per un oretta, affinché si sterilizzino. Trascorso questo tempo, controlla la confettura che sicuramente si sarà ristretta, allorché travasala immediatamente dentro ai vasetti appena sterilizzati e man mano  che li riempi, coprili immediatamente con i  tappi e avvitali ermeticamente, dopodiché disponili dentro a una cassetta col tappo all’ingiù. Terminata questa operazione, copri i vasetti con una coperta di lana e lasciali così sino a quando si saranno completamente raffreddati. Solo allora, procedi all’etichettatura della confettura e a riporla in cantina al buio e in luogo asciutto, per almeno un mese prima di consumarla. La confettura è perfetta accostata al pecorino stagionato, o a delle fette di pane tipo - civraxiu - abbrustolite, spalmate con del formaggio tipo - casu martzu - formaggio molto maturo e cremoso, oppure accompagnata con un cosciotto di agnello allo spiedo, e… chi più ne ha, più ne metta.

Inutile negarlo, che il vino più indicabile con tutti questi ingredienti sia: Cannonau Istiga  di Arbus, dal sapore asciutto e morbido, caldo, con ottima struttura, persistente, giustamente tannico e armonico, secco, dal tipico retrogusto amarognolo.

 

 

 

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