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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Dicembre 2022

 Sas majias de Nadale in Ardaule

Secondo la mitologia, Dio, maneggiando le pietre per dare forma al globo terrestre, al termine del suo lavoro si trovò con alcuni frammenti rimasti che pensò bene di gettare in mezzo al mare, creando così la Sardegna.

La Sardegna è una terra molto antica con milioni di anni di storia, da sempre è stata oggetto di conquista e scorribande, proprio per la sua posizione strategica. Si ha testimonianza che i primi abitanti dell’Isola risalgano al paleolitico inferiore.

Poi la civiltà nuragica dal 1800-500 a.C., che spaziò dall’età del bronzo a quella del ferro, sino all’arrivo dell’invasione dei Fenici X-VIII secolo a.C. e intorno al 535 a..C. i Cartaginesi tentano di espugnare il territorio isolano. Di seguito i Romani nel 214 a.C. conquistano la Sardegna, e documenti dell’epoca citano l’Isola come “granaio di Roma”. Dopo la caduta dell’impero romano si susseguirono razzie di vandali che vi sostarono per circa 80 anni, fin quando i Bizantini nel 534 d.C. li scacciarono.

 

Nel IX secolo, i sardi si difesero caparbiamente contro l’avanzata dei barbari, respingendoli e annientandoli, ottenendo così l’autonomia e in tempi brevi, costituirono i governi locali detti Giudicati.

Col passare del tempo si arriva al 1395, quando la “giudicessa” Eleonora d’Arborea, Principessa tanto savia e prudente, nonostante la nobildonna fosse, esile di corporatura, ma gagliarda e determinata nel temperamento, introduce la “Carta de Logu” ("su logu" era il territorio dove le leggi avevano validità), un compendio di leggi in lingua sarda destinata ai Giudicati sardi, rimasto in vigore con poche modifiche fino al 1827.

Nell’ XI secolo, l’Isola per far fronte all’assalto degli Arabi chiede l’appoggio delle Repubbliche Marinare di Genova e Pisa. 

Nel XIV secolo l’Isola è soggetta al dominio degli Aragonesi, sino ad arrivare al 1714 con il subentro del Ducato dei Savoia e nel 1720 la Sardegna viene occupata dai Piemontesi, nel 1847 viene istituito il Regno Sardo Piemonte, predecessore del futuro Regno d’Italia.

La Sardegna ancora oggi è un’isola incantata, che sa regalare un carosello di fantastici paesaggi, dove dominano acque azzurre incontaminate e boschi lussureggianti, un paesaggio che varia dall’incanto delle spiagge selvagge allo stupore dell’entroterra con una ricchezza sterminata di varietà di fiori e vegetazione.

In questa terra a molti sconosciuta, lo sguardo si posa sulla linea d’orizzonte che segna confine fra cielo e mare e ne racchiude tutti i colori e le gradazioni, il blu delle acque e l’azzurro del cielo, il verde clorofilla della vegetazione, il rosso acceso del tramonto che e si confonde con il colore delle rocce, una suggestione fascinosa di luoghi naturali, ai quali si aggiungano luoghi d’arte, di storia,  cultura e tradizioni.

Luoghi che qui hanno origini antiche come la notte dei tempi e che resistono alle insidie del cemento e della plastica.

Paesaggio, storia e tradizioni che sembrano riflettersi ad Ardauli - Ardaule - in sardo, da - ardia ula - che significa “guardia gola”, sentinella, custode di uno spazio libero. Un paese, di circa 870 abitanti in provincia di Oristano, da sempre dedito all’agricoltura, circondato dal verde e affacciato sul lago Omodeo che fanno da seducente cornice al centro abitato.

È un fascino molto antico quello che avvolge Ardauli, nel cuore della Sardegna, in un luogo dove si raccolgono i frutti che la terra offre generosamente in ogni stagione, per essere trasformarti in autentiche gioie del palato.

Associo Ardauli a una recente e apprezzata conoscenza che ho fatto ad Alessandria, con don Egidio Deiana, Parroco della Chiesa di San Giuseppe Artigiano, Diocesi di Alessandria e comunità Salesiana di Don Bosco, originario di questo piccolo comune del centro della Sardegna ed è diventato per me fonte inesauribile di approfondimento di notizie storiche e intelligente confronto sulla nostra meravigliosa Isola.

Proprio ad Ardauli, nella piazza del paese quando il Natale è alle porte, si avverte un’atmosfera che coinvolge tutto il paese, dove le cuciniere casalinghe sono protagoniste e approntano il - pane de festa - il pane delle feste, che puntualmente preparano ogni anno iniziando il rito con la preparazione della croce del contadino (tipo di pane a forma di croce) - rughe de su massaiu - (persona che conosce ogni gesto e mansione svolta nel mondo rurale). Questo pane come una volta viene consumato per capodanno tagliato a fette, poi adagiato in un recipiente di terracotta - isciscionera - grassanera - sartàina -, inzuppato con brodo bollente, condito con un sugo di carne di maiale, spolverato con pecorino fresco grattugiato e cucinato in forno come  una semplice pasta al forno, meglio conosciuta anche come - suppasa de pani - zuppa di pane. 

Differente è invece la lavorazione del - pane de festa o pane  pintau - che dopo una lenta lievitazione viene cotto come in passato nel caldo forno a legna, che ha il potere di far “germogliare” tutte quelle infinite varianti decorative che le abili mani delle massaie cesellano sulla superficie di ogni forma.

Ma ad Ardauli oltre al pane decorato - pintau -, sempre durante le festività, così come un tempo si prepara il - pane cun erdas - il pane con i ciccioli, ai quali si aggiungono cipollotti, patate lesse e l’immancabile nepitella - nebidedda - un’erba aromatica che ricorda il profumo dell’origano e della maggiorana. detta anche nepitella, nepetella, nepeta, mentuccia (dalle foglioline piccolissime) - menta de arriu -,  mentastro.

L’impasto ottenuto, una volta lievitato, viene rilavorato, subito dopo suddiviso in pagnotte e ognuna collocata su foglie di fico, base d’appoggio nella la cottura, forgiando così una specialità incomparabile per l’insolito profumo e sapore di nepitella - nebidedda -.

Durante la lavorazione e la lievitazione del - pane cun erdas -  l’usanza vuole che le cuoche di casa preparino la farcitura dei - culurzones de patata - ravioli di patate,  immancabilmente conditi con nepitella.

La sapiente esperienza delle dosi ha come esito un’armonia di profumi e sapori, tanto da legittimare gli ardaulesi a sostenere che in tutta l’Isola non vi siano eguali.

Una volta terminato il ripieno, con la metà della pasta precedentemente preparata, si tirano delle sfoglie sottili, quindi si dà forma ai ravioli con l’aiuto della rotella dentata - arrodedda - serretta - chiudendo il ripieno come un gioiello custodito dentro a uno scrigno, mentre con l’altra metà, se si ha l’adeguata manualità si ritagliano dei dischi, si farciscono con lo stesso impasto e si richiudono abilmente a forma di spiga - sa spighitta - ottenendo così delle vere opere d’arte, da ammirare e da gustare insieme a un succulento sugo di pomodoro e - nebidedda - nepitella - sminuzzata, oppure con una salsa di pomodoro arricchita con carne di maiale e salsiccia, infine per impreziosire ulteriormente il piatto viene aggiunta una generosa  nevicata di pecorino stagionato.

Se non è magia questa?... Magia di Natale ovviamente!.  

Ingredientis:

per l’impasto: g 500 di semola di grano duro sardo, una noce di strutto, g 75 di lievito madre oppure g 7 di lievito di birra più un cucchiaino di zucchero, acqua appena tiepida e sale q.b. per il ripieno: g 200 di cipollotti con il verde, g 250 di pancetta fresca a fette da ridurre a poltiglia, g 200 di patate, noce moscata, g 75 di pecorino grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b.

Approntadura:

innanzi tutto, dedicati a preparare l’impasto procedendo in questo modo: il giorno prima disponi la semola con il sale a fontana sul ripiano della madia e al centro tuffaci lo strutto ammorbidito, il lievito madre o se opti per quello di birra, prima stemperalo in poca acqua tiepida con lo zucchero, una presa di sale e tanta acqua tiepida che si riveli sufficiente ad ottenere un composto liscio e malleabile. Fatto, poni il ricavato  dentro a una conca  di terracotta -  scivedda - xivedda -, poi coprilo con un panno di orbace (tessuto di lana tipico della Sardegna conosciuto sin dal tempo dei Romani) e tienilo in luogo tiepido e privo di correnti d’aria a maturare. La mattina dopo, rimaneggia la massa, lavorala energicamente sempre su un piano di lavoro, quindi riaccomodala dentro alla conca, dopodiché ricoprila con il panno e lasciala rilievitare per un paio di ore. Nel mentre, affetta sottilmente i cipollotti e tuffa il ricavato in un recipiente contenente acqua fredda, solo dopo aver scambiato un paio di volte quest’ultima, scola i cipollotti, versali in un tegame insieme ad un giro di olio e falli appassire molto dolcemente. Trascorsa una copiosa ora, fai rosolare la poltiglia di ciccioli, a parte lessa le patate e, private della pelle schiacciale ancora calde. Terminata questa operazione, riunisci in un capace recipiente i cipollotti con le patate, i ciccioli scolati del grasso eccedente, una presa di sale, una di pepe, una grattata di noce moscata e il pecorino. Amalgama armonicamente il tutto e tieni da parte il composto ottenuto. Arrivati a questo punto, rimaneggia  l’impasto lievitato, lavoralo energicamente su un ripiano di lavoro ben insemolato oppure dentro a una conca - xivedda - scivedda - e poco alla volta incorpora il ripieno tenuto da parte lavorando l’impasto accuratamente. Una volta terminato, forma 4-5 pagnotte e se stagione accomodale su foglie di fico, imprimi su ognuna un taglio in superficie e falle lievitare un’altra ora dentro al forno spento ma con la sola luce accesa. Passato questo tempo, cuoci il pane in forno già caldo a  230° per circa quaranta minuti, fino a quando il pane prenderà un leggero colore dorato. Il - pane cun berdas - è buono sia caldo che tiepido o a temperatura ambiente.

Vino consigliato: Monica di Sardegna frizzante, dal sapore sapido, con tipico retrogusto asciutto.

 

 

 

 

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