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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Gennaio 2023

 Su pani' e saba de Sant'Antoni 'e su fogu segundu sa tzirimònia sarda

 Sant’Antonio Abate è stato uno dei santi anacoreti più venerati della chiesa cattolica, detto anche sant'Antonio del Fuoco è tra i santi più onorati d’Italia.

In Sardegna viene festeggiato con la festa del fuoco - su fogadoni - fogadone -, un appuntamento che si rinnova ogni anno il 17 di gennaio in tutta l’Isola.

Questa festa è una consuetudine viva e sentita ancora oggi e in tanti paesi rurali dove è rimasta l’usanza di accendere il fuoco - fogadoni - nelle piazze o negli spiazzi rionali in onore del Santo, con il significato simbolico di redenzione e di fecondità, a ricordo che ogni fuoco indica il termine della stagione fredda e l’arrivo della primavera.

 

Sant’Antonio Abate nacque in una agiata famiglia di agricoltori a Coma, in Egitto intorno al 250 d.C., rimasto orfano dei genitori, dovette accudire la sorella più piccola, ma non ancora diciottenne fece la sua scelta di vita, vivendo inizialmente in appartata solitudine, per poi continuare la sua condizione eremitica sulle rive del Mar Rosso, dove passò un lungo periodo della sua esistenza per poi continuare il suo peregrinare fino a centosei anni.

Secondo una narrazione mitologica, Sant’Antonio Abate discese nel regno dei morti e opponendosi ai demoni maligni, si impossessò del fuoco per poi offrirlo all’intera umanità, con la speranza di un uso saggio e virtuoso, la stessa azione che fece Prometeo (Promethéus - colui che riflette prima), eroe della mitologia greca che sottrasse il fuoco agli dei dell’olimpo per consegnarlo agli uomini, sfuggendo alle devastanti furie di Giove, il padre di tutti gli dei.

In Sardegna la devozione verso il Santo è molto sentita, infatti - su fogadoni - è una data attesa con impazienza, in quanto l’idea di onorare il Santo con il buon cibo e il vino di casa - binu de dommu - seduti ai tavoli apparecchiati o in piedi intorno al fuoco è molto apprezzata. C’è chi organizza una grigliata, chi si accontenta di dolci preparati per l’occasione, come - tzippulas - parafrittus - pan’e saba - dolci tipici del Carnevale in arrivo.

Sarà la festa, sarà l’atmosfera, sarà l’attesa, ma sta di fatto che questi dolci riescono a trasmettere sempre note emotive forti e sentite. Per poter parlare dell’infinità di dolci preparati in Sardegna e poterli descrivere tutti Non basterebbe un libro intero.

Sant’Antonio Abate, guardiano del fuoco e guaritore dell’”Herpes zoster”, noto anche con il nome fuoco di Sant'Antonio, onorato da sempre dai credenti è anche venerato come l’amico e protettore degli animali e per questo motivo c’è l’usanza di riunirli per l’abituale benedizione.

Il Santo è riconoscibile in quanto nelle icone è raffigurato con l’immancabile bastone di ferula - feurra - con accanto una fiamma e il maialino che lo contraddistingue. 

La tradizione voleva e in tanti paesi è rimasto che i partecipanti alla festa del fuoco riempissero i bracieri con l’ultima carbonella ardente residua, in modo tale da beneficiare di tutti i poteri favorevoli e riscaldare nella stessa notte gli ambienti delle proprie dimore.

I fuochi in Sardegna a seconda del paese si identificano con diversi nomi, in base al legname utilizzato per formare la catasta da incendiare, dalle ciocche di mirto o di cisto - cotzinas - ai tronchi secchi di lentischio - modditzi - di eucaliptus -  ocallittu - di rosmarino - romasinu - tzippiri -  frasche secche di vario genere - frascas - tronchi secchi vuoti - tuvas - e tanti altri.

Nei miei ricordi di ragazzino è rimasto vivo anche che per preparare la pira del legname e per amplificare gli effetti delle fiamme, impropriamente utilizzavano dei copertoni dismessi di trattori, camion e automobili, materiale di certo non consono alla festa di Sant’Antonio, alla salute dei presenti, oltre all’inquinamento dell’ambiente. Fortunatamente questi accorgimenti (si fa per dire) non sono più in uso, per lo meno nell’allestire la catasta da incendiare per l’occasione.

La scrittrice Maria Grazia Cosima Deledda, nata in Sardegna e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926, racconta che agli inizi del Novecento, a Nuoro la festa dedicata a Sant’Antonio Abate era un evento straordinario, gli abitanti,  una volta appiccato il fuoco al cumulo di legna, mangiavano le specialità locali, bevevano vini di produzione propria - binu de domu -, cantavano - mutetos - canzoni in dialetto sardo e ballavano sino all’alba, il tutto accompagnato dal suono delle immancabili chitarre e fisarmoniche.

In altri paesi, si sfidavano ad abbellire la chiesa con rami d’arancio e fiori, in altri ancora, adornavano le vie dei rioni o della piazza con bandierine colorate appese da un balcone all’altro.

A Sedilo, in occasione dei festeggiamenti per Sant’Antonio Abate, veniva e tutt’ora viene preparato il dolce - su pane e’ saba - pane di mosto cotto, in quanto si riteneva fosse in grado di proteggere le persone e il bestiame. Insomma un tripudio di gioia e profumi, un arcobaleno di colori, una festa all’insegna della amicizia, della fratellanza e della tradizione.

È sicuramente vero, ovunque si vada, è bello stare l’un l’altro stretti intorno al calore e alla luce di un falò… perché, paese che vai usanza che trovi!.

Ingredientis:

g 300 di farina sarda, g 200 di farina bianca, g 100 di uva secca senza semi, g 50 di pinoli, g 50 di nocciole tostate e sgusciate, g 100 mandorle sgusciate, g 100 di gherigli di noce, 1 uovo, g 350 di sapa - saba - concentrata, g 25 di lievito di birra freschissimo, 3 chiodi di garofano pestati, un cucchiaio raso di cannella in polvere, semi di anice, la scorza di un arancia essiccata e tritata - tragera - tragea - dragea - confettini di zucchero colorati - codetta - mompariglia - confettini di zucchero colorati, latte, burro e farina per gli stampi.

Approntadura:

in un capace recipiente miscela le farine insieme alla frutta secca tritata che hai in dotazione, l’uva passa fatta rivenire, la cannella, i chiodi di garofano, i semi d’anice, la scorza d’arancia, l’uovo e g 250 di sapa - saba -. Terminata questa operazione, lavora accuratamente il tutto, fino a ottenere un impasto omogeneo. Fatto, incorpora il lievito stemperato in poco latte tiepido, quindi copri il composto con un telo bianco doppio da cucina e ponilo a lievitare in luogo tiepido e privo di correnti d’aria (l’ideale sarebbe metterlo dentro al forno con la sola luce accesa) per due giorni. Passato il tempo richiesto, ricava dall’impasto delle palle che accomoderai mano, a mano dentro a degli stampi monodose imburrati ed infarinati. A questo punto, passa la preparazione in forno già caldo a 200° per quaranta minuti circa, spennellandoli ogni tanto con la sapa - saba - rimasta fatta intiepidire. Una volta cotti e raffreddati, cospargi i dolci con i confettini di zucchero - tragera - tragea - dragea - e servili a fine pasto.

Vino consigliato: Girò di Cagliari dolce naturale riserva.

 

 

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Sas gatzas de S’Ogulone de Santu Antoni

 

Ottana - Otzàna - è un bellissimo paese in provincia di Nuoro di circa di 2,250 abitanti. Comune che si inserisce alla perfezione nel paesaggio e nella tradizione sarda, sia per il filo invisibile ma di sostanza che lega la storia del lavoro della terra e della pastorizia, così come l’unicità e la meraviglia della bellezza dei colori della natura.

La zona risulta popolata già in epoca prenuragica e nuragica, lo confermano i molteplici siti archeologici presenti nel territorio, che va dall’età del bronzo a quella romana, periodo che conferma Ottana come importante centro che ebbe rilievo sino al periodo Medievale. In questo periodo il paese fu annesso al giudicato di Torres nell’antica amministrazione del Marghine (subregione del Logudoro), del quale divenne capoluogo. Durante il periodo aragonese conobbe un declino a seguito di una epidemia infettiva e di altre spaventose pestilenze che contagiarono il paese portandolo alla rovina.

Solo verso la fine dell’XI secolo Ottana divenne diocesi della provincia ecclesiastica di Torres, per volere di papa Gregorio VII e, quando la circoscrizione vescovile venne cancellata, fu congiunta al territorio giurisdizionale di Alghero. Nel 1259 il Comune venne aggiunto all’entità statuale autonoma di Arborea - rennu de Arbaree -per poi passare nel 1420 agli aragonesi del regno di Sardegna. Durante questo periodo, intorno al 1600, Ottana diventò un’area di potere con Sarule, Orani e Oniferi, fondando così il marchesato di Orani, appartenuto in un primo momento a Caterina Da Silva e poi a Fadriguez Fernandez, per essere poi svincolato nel 1839 con l’abolizione del regime feudale sancito dai Savoia.

A Ottana, agli inizi degli anni settanta si insediarono le prime industrie, da quelle tessili (le stesse che alla fine degli anni ’60 avevano stabilimenti a Villacidro e nella zona industriale del cagliaritano con la promessa di oltre settemila posti di lavoro) a quelle chimiche, che attrassero migliaia di contadini i quali abbandonarono i loro terreni, come i pastori che vendettero le greggi, col miraggio di uno stipendio mensile assicurato, per poi trovarsi a dover difendere il proprio salario, non più garantito per via del calo di lavoro. Alla fine costretti ad emigrare o a riprendere in mano (i più fortunati) gli arnesi dei vecchi mestieri abbandonati con l’illusione dell’industria. Oggi Ottana, dopo tutte le vicissitudini trascorse annovera tante piccole attività dedite per lo più all’agricoltura e alla pastorizia, con particolare interesse, soprattutto da parte di giovani imprenditori verso l’artigianato.

Il progetto che ispira il paese è quello di mantenere vive e continuare a tramandare alle nuove generazioni le usanze, le tradizioni e la cultura contadina legata alla natura e alle stagioni, attraverso attività di promozione e la volontà di valorizzare i cicli della vita, i riti e la devozione religiosa.

Ottana, in Sardegna è famosa per il suo Carnevale - Carresegare -, molto antico e originale ed è la più nota manifestazione degli otanesi, tale festa sembra provenga da riti punici e ha luogo per le vie del paese. Questa manifestazione è un evento veramente speciale: è contemporaneamente la festa della primavera che sta per arrivare, ma si sposa con la tradizione, la storia e la leggenda.

Le maschere più famose sono i - boes e i merdules -, il bue con il suo padrone - is porcos e is molentes - i maiali e gli asini, figure riconoscibili dagli indumenti indossati e dal portamento distinto che li caratterizza durante l’esibizione della sfilata nelle vie del paese per tutta la durata della manifestazione.

Durante il Carnevale si festeggia il Giovedì Grasso, la Domenica di Carnevale e il Martedì Grasso e termina con il Mercoledì delle Ceneri, il giorno che dà inizio alla Quaresima che si prolungherà fino alla Pasqua.

Ottana, in questa occasione mette da parte tutti i problemi che angosciano la popolazione e almeno in questo periodo, la gente dimostra quanto è orgogliosa di difendere le usanze locali, insieme ai costumi e alle tradizioni, comprese quelle gastronomiche.

I profumi e i sapori dei cibi sapranno infatti soddisfare i palati e le esigenze di tutti i partecipanti.  Il clima è magico, maschere, sfilate e balli vivacizzano l’ambiente, l’atmosfera festosa coinvolge i presenti che vengono ripagati con degustazioni di dolci sardi - pane’ saba - pane dolce con frutta secca e mosto d’uva - gatzas - gathas - cattas, frittelle di pasta lievitata analoghe al pane tipico del Carnevale, bocconi celestiali e paradisiaci, che bene si accompagnano a sorsi di sincero vino dei contadini ottanesi.

Ingredientis:

g 600  di semola rimacinata, acqua di sorgente se possibile altrimenti va bene quella delle bottiglie, un cucchiaio di strutto, g 12 di lievito di birra, g 100 di latte di pecora, mezzo cucchiaio di zucchero comune, olio d’oliva per friggere, farina per la spianatoia, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

questa preparazione va eseguita almeno sei ore prima dell’utilizzo dell’impasto, perciò disponi a fontana la semola setacciata sul ripiano della madia e al centro tuffaci lo strutto e il lievito stemperato nel latte tiepido insieme allo zucchero. Fatto, inizia a impastare il tutto, aggiungendo una spolverata di farina e poca alla volta acqua tiepida, quel tanto che basta per ottenere una massa liscia e malleabile, che porrai a lievitare dentro al forno spento ma con la sola luce accesa in un adeguato recipiente con coperchio. Trascorse cinque ore togli il composto dal forno, poi preleva dei pezzetti e forma delle palline grosse poco più grandi di una noce, quindi appiattiscile con l’aiuto di un matterello formando tanti tondi del diametro che desideri e prontamente friggili in abbondante olio bollente. Appena si gonfieranno e saranno dorate da ambo le parti, scola le frittelle - sas gatzas - su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere l’unto in eccesso. Servile immediatamente cosparse di sale e di pepe.

Vino consigliato: Vermentino di Sardegna spumante ben freddo, dal sapore delicato, gradevole, tipico, sapido, fresco, acidulo con retrogusto amarognolo e asciutto.

 

 

 

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