Benvenuto nel Sito dell`Associazione Culturale  Messaggero Sardo

HomeCuriositàRicette SardeL'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Febbraio 2023

L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Febbraio 2023

 Zipuas a bentu po su Carnevalli a Narbolia

 Semel in anno licet insanire”!, una volta all’anno è lecito festeggiare. 

Un sapiente suggerimento lasciatoci in eredità dagli antichi latini e, come non dare ascolto ai nostri progenitori che di feste se ne intendevano?. Il Carnevale infatti nell’antica Roma era una di quelle feste che duravano settimane e si festeggiavano per giorni e giorni fino al limite delle proprie forze. 

 

Il Carnevale come lo conosciamo noi risale al periodo medioevale ed il termine ha come fondamento la privazione della carne: “carnem levare”, che designa il giorno o i giorni che precedono la quaresima. Le sue origini però affondano le radici nelle antiche usanze pagane come i saturnali e i lupercali.

A seconda dei luoghi a inizio a Capodanno, all'Epifania, o alla Candelora (festa della purificazione della Vergine - 2 febbraio -, in cui si effettua la benedizione delle candele) e culmina nei giorni definiti “grassi”, dal giovedì al martedì prima delle Ceneri.

A partire dal Quattrocento, il Carnevale ha registrato sostanziali cambiamenti.  Dopo i tentativi di moralizzazione ad opera di estremisti come il Savonarola, la controriforma con il suo tentativo di rinnovamento spirituale, parte del clero cercò di sopprimere questa festa dal profilo troppo pagano. Nella storia, il Carnevale, ha stimolato la nascita di celebrazioni con la forma di agonismo, in cui avvenivano lotte fra varie zone di una stessa città, quartieri, rioni, come ancor oggi avviene ad esempio nella battaglia delle arance di Ivrea, o fra classi sociali diverse. Così durante il Carnevale si innescavano le scaramucce fra rioni cittadini, in cui i gruppi si affrontavano a colpi di sassi e bastoni, fortunatamente oggi sostituiti con materiali meno pericolosi, da coriandoli e stelle filanti, decisamente meno pesanti, riducendo così di molto la possibilità di farsi male.

Il Carnevale è senz’altro la festa più allegra dell’anno. La più attesa dai bambini e la più trasgressiva per i grandi. Varie sono le tradizioni popolari legate a questo periodo dell’anno e in ciascuno dei diversi paesi del mondo ci si ispira a miti, a leggende, o a rituali pagani e religiosi.

Nel nostro Paese le manifestazioni “carnevalesche” si sprecano, colorando e risvegliando le vie di ogni città. Anche a livello gastronomico in Italia si hanno innumerevoli tradizioni, che rispecchiano pienamente lo spirito di tale festa.

Ogni regione vanta ricette gastronomiche particolari e secolari, ma soprattutto nel “dolce” si nota una singolare voglia di evasione e di trasgressione e, non a caso le ricette caratteristiche seppur con varianti minime, vedono al primo posto i dolci fritti.

Le frittelle in origine erano le frictilia, goderecci dolci fritti nel grasso e addolciti con il miele, infatti le attuali bugie - chiacchiere, dolci tipici di ogni festa carnevalesca, sono di origine romana e, Marco Gavio Apicio, il ricco festaiolo e gastronomo, vissuto nella Roma del I secolo dopo Cristo, nel suo “De re coquinaria” le descrive così: “Frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele”.

Una storia fa risalire il nome delle “chiacchiere” alla Regina Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia, la quale amava assai chiacchierare con il personale di servizio. Un giorno dopo la solita chiacchierata, avvertì un certo languorino, così chiese al suo cuciniere di prepararle qualcosa di dolce, il quale inventò un impasto utilizzando farina, uova, burro, grasso per friggere e zucchero, ottenendo delle frittelle a dir poco ghiottose. Il cuoco lusingato per i complimenti ricevuti, decise di chiamare le frittelle: chiacchiere, in onore della Regina chiacchierona.

Un’altra bizzarra curiosità popolare narra che: “fritto è buono tutto, anche l’aria che si respira”, ma è certamente lo zucchero caramellato e dorato dall’olio ad alta temperatura a trasformare anche il più semplice impasto in qualcosa di irresistibilmente stuzzicante e profumato. 

Tuttavia la festa del Carnevale non è tale se non è colorata da stelle filanti e coriandoli. Molto tempo fa i coriandoli erano fatti con i semi di una pianta chiamata, appunto, “coriandolo”. Questi semi venivano tuffati nel gesso liquido e poi lasciati seccare, così assomigliavano a confetti, fatti apposta per essere lanciati dall'alto dei carri allegorici o da balconi e finestre.  I primi coriandoli di carta furono forse inventati da un milanese che li distribuì ad una festa di carnevale per bambini.

In Italia le sfilate carnevalesche sono disputate e contese da città come Venezia, Viareggio, Bologna, Ivrea, solo per citarne alcune. In Sardegna la festa è attesa con trepidazione da tutti e in ogni paese dell’Isola si ripropongono antichi riti e usanze, con esibizioni che regalano emozioni e allegria, così come accade per il Carnevale - Crannovalli - Carrasegai - su Carresecare - di Narbolia, giunto alla diciottesima edizione.

Narbolia è un paese poco distante dal mare di circa 1750 abitanti, in provincia di Oristano. Il nome deriva da malva arborea - Narbonia - però i narboliesi lo chiamano Narbolia - Narabuia -. C’è anche chi fa discendere l’origine del nome da - Nurapolis - città dei nuraghi.

I primi abitanti del luogo risalgono al prenuragico e nuragico. Durante il Medioevo fece parte del giudicato di Arborea, per passare poi nella amministrazione di Parte Milis.

Nel 1420, periodo di declino del giudicato, venne inglobato nel marchesato di Oristano e nel 1478, dopo la disfatta degli arborensi, al regno di Sardegna aragonese.

Più avanti il paese viene assorbito dal marchesato d’Arcais, territorio dominato dai Flores Nurra.

Nel 1623 subì delle atroci crudeltà da parte di predoni del mare, i quali misero in ginocchio la comunità che venne poi salvata dai seneghesi.

Nel 1839 Narbolia con l’abolizione del regime viene svincolato.

Oggi Narbolia è un paese dedito in parte all’agricoltura con le coltivazioni di frumento, cereali, foraggi, che insieme alla viticultura, olivicoltura e l’ortofrutta, sono fonte di reddito per gli abitanti. Altre risorse sono legate all’allevamento del bestiame, all’estrazione del sughero e al turismo richiamato dalla meravigliosa spiaggia di - is arenas bryniols -.

In paese ogni anno si svolgono diverse feste e sagre, tra le quali: la festa di San Pietro apostolo e il Carnevale, per il quale la Pro Loco (mi è gradito ringraziare la signora Maria Ingnazia Dessì, presidente della Pro Loco di Narbolia, per le preziose informazioni e per la concessione della foto postata) si presta sia all’organizzazione che alla riuscita della manifestazione, con la preparazione degli assaggi gratuiti di “zipole” da offrire ai partecipanti - zipuas a bentu - zipole di Narbolia da “zipolare” con una sola p - zippuasa - zippulas - tzipulas - frisciolas - cattas - frisjoli longhi - frisgiori longhi - frittura araba -. Questi non sono altro che una parte dei nomi più conosciuti delle frittelle in dialetto sardo.

L’importante che tutte siano fritte al punto giusto. Perché… friggere è un’arte.

Ingredientis:

g 500 di farina di grano sardo, g 200 di latte di pecora, g 50 di strutto - oll’e proccu -, g 125 di lievito madre oppure g 20 di lievito di birra fresco, un cucchiaino di zucchero comune, 3 uova, 2 patate vecchie, il succo di 1 limone giallo, 1 arancio e 2 mandarini non trattati, 1 bicchierino di acquavite - filu e ferru - o liquore a piacere, olio per friggere, zucchero per cospargere i dolci, sale q.b.

Approntadura:

In un recipiente capiente - cunchuiditta - scivedda - xivedda - sbatti le uova, aggiungi il lievito madre - su fromentu - o il lievito di birra sciolto in poco latte tiepido e un cucchiaino di zucchero, lo strutto a temperatura ambiente, il liquore e comincia ad incorporare la farina evitando che si formino grumi. Lavora l'impasto accuratamente, aggiungi quindi una presa di sale, le patate prima lessate, poi passate allo schiacciapatate e mentre le incorpori, aiutati con il restante latte (potrebbe servirne meno della dose indicata) unito poco alla volta. Fatto, lavora bene il composto (anche se all'inizio si appiccicherà molto alle mani, ma dopo risulterà sempre più liscio ed elastico e si staccherà più facilmente sia dalle mani che dalle pareti della conca) aggiungendo la scorza degli agrumi grattugiata e poco alla volta il succo filtrato, e solo quando affioreranno delle bolle in superficie, l’impasto è pronto per la lievitazione. Terminata questa operazione, copri il recipiente e ponilo a lievitare in ambiente tiepido (va bene anche dentro al forno spento con la sola luce accesa) e privo di correnti d’aria per quattro ore. Passato il tempo indicato, la pasta avrà raddoppiato il suo volume e raggiunto la giusta acidità, perciò con le mani leggermente unte di olio preleva parte della pasta, bucala con il pollice e l’indice ed allargando bene il foro tuffa le frittelle poche alla volta in abbondante olio bollente, subito dopo infila nel buco della “zipola” il manico di un mestolo di legno, fallo roteare velocemente per fare in modo che rimanga largo e tondo e procedi in questo modo fino al termine dell’impasto. Man mano che le frittelle - is zipulas - risulteranno gonfie e dorate da ambo le parti, scolale su dei fogli di carta assorbente per alimenti a perdere l’unto in eccesso, dopodiché falle ruzzolare nello zucchero, scrollale per togliere quello che eccede e servile ancora calde, ma sono buone anche temperatura ambiente.

Vino consigliato: Vernaccia di Oristano dolce, dal sapore fine, sottile, caldo e asciutto con leggero retrogusto di mandorle amare.

 

 

***

 

Lardaiollu de Crannovalli o segarì pezza

 

 

Saturno, la divinità romana dell’agricoltura lo adorava. Il Carnevale è stato da sempre identificato con banchetti e smisurate gozzoviglie a base di grassi, fritture dolci o salate e bevute esagerate. Il suo nome infatti deriva da “carnem levare”, eliminare la carne, ma anche da “carrus navalis”, che sta ad indicare l’inizio della Quaresima.

Nei paesi di culto cattolico, da sempre bisogna astenersi dal mangiare carne o derivati e si inizia a rispettare il canone dei precetti.

Il carnevale è una festa popolare le cui origini sono molto antiche e nascono da tradizioni e costumi pagani, che per secoli ha avuto come uso il lancio di cibi, una consuetudine che nei momenti di carestia e fame dei secoli passati provocava un sensazionale consenso e gioia da parte della gente. L’apice di successo si raggiunse in una storica “festa della porchetta” ideata per il Carnevale di Bologna nel 1279, per festeggiare la vittoria sui ghibellini e, a Roma nella famosa cinquecentesca “cuccagna del porco”. Durante queste due feste infatti vennero lanciati alla folla pezzi di carne di maiale.

Il Carnevale trova la sua origine simbolica come rappresentazione della fine dell’inverno e l’inizio della primavera, la celebrazione del risveglio della natura e l’irrompere della luce.

Maschere, scherzi, coriandoli, stelle filanti, carri allegorici, montagne di frittelle dolci e salate, da Venezia a Viareggio a Rio de Janeiro, in tutto il mondo o quasi si festeggia il Carnevale nel modo più bizzarro possibile.

Ma il Carnevale più famoso del nostro paese, è certamente quello che si svolge a Venezia. Durante questa manifestazione, le piazze, le calli e i campielli della città lagunare si riempiono di maschere e turisti di ogni parte del mondo, che assistono alle sfilate e agli spettacoli che si organizzano ogni anno. 

Pare che le origini del Carnevale veneziano risalgano al X secolo, attraverso notizie storiche sappiamo che il giorno di Giovedì Grasso si ricordava la vittoria del Doge Vitale Michiel sul patriarca Ulrico di Aquileia, avvenuta nel 1162. Per ricordare la sconfitta subita, ogni anno i successori del Patriarca dovevano come pegno inviare al doge un numero cospicuo di maiali, che venivano macellati e la loro carne distribuita tra nobili, clero e popolo. La festa continuava con giocolieri e saltimbanchi, fuochi d’ artificio e il “Volo della Colombina”, eseguito da un artista acrobata che si arrampicava, con l’aiuto di una fune fino alla loggia del campanile di San Marco, per poi riscendere con un mazzo di fiori da offrire al Doge. Allora come oggi, il costume che simboleggiava il Carnevale era la “bautta” formato da un mantello, “tabarro”, una cappa di merletto ed un cappuccio di seta nero.

Tutti potevano mascherarsi a Carnevale, qualunque fosse il ceto o il sesso, non c’erano distinzioni, le maschere permettevano la massima libertà e soprattutto l’anonimato. 

I veneziani hanno saputo creare dei costumi preziosi e di pregiata fattura artigianale, che raggruppano insieme lo stile e la piacevolezza di tre diverse epoche storiche: il medioevo, il rinascimento e il settecento. Il risultato crea splendidi abiti di lucida seta color oro, nero o argento completati da mantelli di merletto, parrucche e naturalmente da una maschera che nasconde il viso, così che ognuno ancora oggi, come secoli fa, si senta libero di ballare e divertirsi, certo di non essere riconosciuto. 

Anche in Sardegna, da sempre, si festeggia il Carnevale ed è un fascino antico quello che l’avvolge, una festa folcloristica seducente che sa dare incommensurabili suggestioni.

In tutta l’Isola, in ogni paese, per piccolo che sia, ognuno festeggia il suo carnevale, secondo le usanze locali, sempre allietato da sfilate allegoriche con le più originali attrazioni, cosi come accade a Laconi, dove il Carnevale locale propone "Segari a Pezza", ovvero mangiare carne prima dell’austerità quaresimale.

A Laconi, la presenza più remota della figura dell’uomo nel luogo risale al Neolitico Antico 6000-4500 a.C., a confermarlo sono le testimonianze di resti ritrovati all’interno della “Grotta Leori” e di quella di “Sa Spilunga Manna”, che fanno pensare alla sosta abituale di gruppi di cacciatori o bracconieri che vi bivaccarono con il loro bottino.  

Laconi è il regno degli esperti in fitologia, per la presenza di lussureggianti boschi e uccelli di rara bellezza. È un territorio favorevole alla raccolta di tartufi e comprende il maggior numero di varietà di orchidee dell’Isola.

Il territorio è ambiente ideale per il cervo sardo, presente con oltre 6000 esemplari sparsi nelle boscaglie dell’arburese, nei boschi del Serrabus - Gerrei e in quelli del Sulcis, così come per il cinghiale sardo e il muflone, la cui origine viene fatta risalire al Neolitico, mentre il daino fu introdotto quasi certamente dai Fenici e dai Romani.

Tra il 3700-2400 a.C., ha origine l’agricoltura, periodo nel quale nascono i primi allevamenti di bestiame e le prime baraccopoli, testimonianze infatti sono visibili a Sarcidanu, Monte Feurrèddu e a Cirquìttus, mentre tracce di parecchi menhir sono visibili nel territorio di Laconi e risalgono al ciclo che va da dal 2500 al 1800 a.C.

Tra il nono e il dodicesimo secolo Laconi risulta menzionato su documenti cartacei di periodo bizantino.

Agli inizi del 1388 a Laconi si sigla la pace tra arborensi e aragonesi, nel 1421 Laconi viene data in custodia insieme a Genoni e Nuragus a Giovanni De Sena.

Nel 1479, nasce il marchesato degli Agostino Castelvi, quartogenito maschio di Francesco, marchese di Laconi e visconte di Sanluri.

Nel 1870 a Laconi viene realizzata la prima via di comunicazione pubblica.

Nel 1889 nasce il primo percorso ferroviario tra Isili e Meana Sardo e la stazione di Laconi è posta lungo il collegamento di Isili a Sorgono, infine nel 1997 viene utilizzata esclusivamente come ferrovia turistica, “Trenino Verde”.

Il Carnevale laconese, come già detto propone “Segarì a Pezza", mangiare carne prima dell’austerità quaresimale.

Nel dialetto laconese “Segari a Pezza” o “Segarì Pezza” indica il carnevale che secondo la tradizione antica invitava le persone al consumo della carne - pezza - prima dell'astinenza quaresimale. Ma anche - Segarì Pezza - letteralmente tagliati carne, molto probabilmente tale affermazione deriva da: tagliati della carne finché sei in tempo, in quanto si trattava del Martedì grasso, l'ultimo giorno di Carnevale, che preannunciava e introduceva l’inizio dell’astinenza e del digiuno della Quaresima.

Il personaggio principe della manifestazione di Laconi era e tutt’ora è la maschera de - su Corongiaiu -, contraddistinto da braghe lunghe di pelle sgualcita, un pastrano di lana di pecora stropicciato con una collana di campanacci e sonagli a bandoliera (larga striscia di cuoio). Sul volto una maschera di sughero con un lungo naso e una bocca bizzarra con il capo avvolto da una fitta criniera di lana e corna di capra.

Laconi - Làconi - in sardo, - Lacana - confine o limite in sardo preromano, è un incantevole paese di circa 2000 abitanti, ubicato in provincia di Oristano. Paese ricco di storia e di tradizioni, nel quale trovano posto immagini dai tratti fiabeschi che non hanno eguali al mondo, nella quiete di una natura intatta e selvaggia. Di grande interesse sono i resti archeologici, tra i quali spicca il nuraghe “Genna ‘e Corte”, che si affaccia sulla macchia di questa meravigliosa terra.

I laconesi sono fieri di essere sardi, di appartenere alla comunità di persone legate alle antiche tradizioni di questa terra che rimangono saldamente ancorate alla storia, e dove la bellezza e la cultura si fondono in modo armonico.

Tra le antiche tradizioni c’è il piatto della “favata di Carnevale”, preparato per l’occasione dalla Proco Loco con cura e grande esperienza, che insieme al piatto della zuppa di ceci vengono impreziositi dalle parti meno nobili del maiale: cotenne, costine, zampini, il musetto e le orecchie del cinghiale, il tutto condito con abbondante vino locale.

Una vera leccornia carnevalesca, degna dei palati più esigenti e tra una burla, una sregolata abbuffata, una smodata bevuta; il tutto all’insegna dell’allegria.

D’altronde a Carnevale, tutto è lecito e ogni scherzo vale, l’importante… ne cum santos ne cum maccos non servit bugliare - né con i santi né con i pazzi bisogna scherzare!.

Ingredientis:

g 600 di fave secche, g 80 di lardo o guanciale - grandua - g 200 g di salsiccia di cinghiale semistagionata, g 300 di costine, g 300 di cotenna di cinghiale, g 200 di orecchio di cinghiale, 2 piedini di cinghiale, g 300 di finocchietto selvatico, a piacere un peperoncino rosso piccante, 5 spicchi di aglio sardo, 2 pomodori secchi ben dissalati, vino bianco secco, olio extravergine d’oliva, pane carasau, sale q.b.

Approntadura:

per ottenere un buon risultato in cottura, la mattina prima (24 ore) poni le fave in ammollo in acqua leggermente tiepida. La mattina seguente, prepara un battuto con il lardo o il guanciale assieme ai pomodori secchi, uno spicchio di aglio e il peperoncino, versa il ricavato dentro ad una capace pentola di terracotta - olla mamma - pingiada - caccavella -, poi unisci la cotenna fatta a listarelle, i piedini tagliati a metà, le costine e l’orecchio precedentemente fatti lessare in acqua leggermente salata a bollore (tre quarti d’ora circa) per eliminare il grasso in eccesso. Fatto, fai rosolare il tutto con un giro di olio, unisci mezzo bicchiere di vino e dopo cinque minuti le fave ben risciacquate, quindi coprile di acqua, aggiungi due cucchiaini di sale grosso, e prosegui la cottura dolcemente. Passata una mezz’ora, aggiungi la salsiccia a rondelle spesse un dito, il restante aglio, il finocchietto e lascia cuocere a fiamma moderata ancora per un’ora e mezza a recipiente semicoperto (le fave devono risultare gonfie ma intere). Trascorso questo tempo, regola il sapore di sale, controlla se la carne delle costine e dei piedini si stacca dall’osso e orecchio e cotenna sono diventati morbidissimi. Appurata la cottura, disponi dei pezzi di pane carasau sul fondo di quattro terrine, scodellaci sopra la favata con parte delle cotenne e tutto il suo godurioso seguito, un filo di olio e porta immediatamente in tavola. Un tempo era usanza porre la pentola sul tavolo e ogni commensale si serviva da solo.

Vino consigliato: Monica di Sardegna frizzante, dal sapore sapido, con tipico retrogusto asciutto.

 

 

 

 

 

 

 

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalita illustrate nella pagina di policy e privacy.

Chiudendo questo banner , scorrendo questa pagina,cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all`uso dei cookie. Per saperne di piu'

Approvo

Pubblicità big

Contatore accessi

Archivio

In questa sezione potrai trovare tutti i numeri del "Messaggero Sardo" dal 1969 al 2010

Archivio Nuovo Messaggero Gds Online...

Circoli

Elenco completo di tutti  i circoli sardi in Italia e nel Mondo, le Federazioni e le Associazioni di tutela.

Sport

Le principali notizie di tutti gli sport.

In Limba

Le lezioni in limba, il vocabolario e le poesie in limba.

doğal cilt bakımı doğal cilt bakımı botanik orjinal zayıflama ürünleri doğal eczane avon