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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Novembre 2023

 Curzettu stiò  a u tocco de funzi

I Croxetti sono un tipo di pasta a forma rotonda fatti a mano, piccoli pezzetti di pasta appiattiti, che ricordano le orecchiette pugliesi e le orecchie di frate - origas de padre - in Sardegna. Sono di origine medievale, nati nel solco della cultura contadina e hanno mantenuto nel tempo forma e preparazione manuale, in uso ancora oggi.

 

A differenza delle abitudini nobiliari dei liguri, dove i cucinieri di corte nel confezionarli, usavamo marchiarli da un lato con le iniziali del casato e dall’altro con lo scudo di famiglia, utilizzando appositi stampi di legno d’ulivo con intagliati gli stemmi delle famiglie. Fogge araldiche e arabeschi o di fantasia, sovente, per modellarli si ricorreva all’impiego di un timbro con incisa una croce, anche con la funzione di trattenere il condimento e quindi probabilmente per assonanza: croxetti - cruxetti - curzetti - curzettu

Si hanno tracce di questa pasta alla fine del duecento anche in Provenza, conosciuta con il nome di “croset”, come sostenuto da Giovanni Rebora (1932-2007), docente, scrittore e grande esperto di storia e cultura dell'alimentazione (che personalmente ho conosciuto durante un master di cucina organizzato dalla piccola tavola Slow Food di Alessandria, della quale io facevo parte), che nel libro “La civiltà della forchetta. Storia di cibi e di cucina” annotta la storia e l’itinerario di questa originale pasta.

Attualmente in uso in numerose aree della Liguria (dove vengono preparati in occasione di matrimoni, dedicando agli sposi i corzetti con le loro iniziali intagliate nello stampo che li timbra) e dei paesi confinanti del vicino Piemonte come: Mornese, Gavi ligure e Novi ligure. Proprio a Novi si trova un artigiano che fabbrica manualmente gli stampi dei corzetti, intagliandoli con i simboli di un tempo, come quello raffigurante l’occhio della Divina Provvidenza o personalizzandoli con disegni come quello del simbolo della lumaca, che rimanda a Slow Food.

Secondo una citazione popolare tabarchina (Carloforte in Sardegna) quando una persona è tesa, nervosa o sciupata, con il viso scavato, gli si dice, “t’è na faccia rstiò cumm-e in curzettu”. A Carloforte si trasferì un gruppo di circa trecento famiglie di pescatori di corallo pegliesi e dell’interland genovese, provenienti dall’isola di Tabarka, che per duecento anni avevano vissuto sull’abbondante pesca del corallo.Nel 1738. a causa del forte calo di lavoro si trasferirono con il benestare dell’allora re Carlo Emanuele di Savoia che diede il permesso di trasferirsi in Sardegna nella selvaggia Isola degli sparvieri, dove poi nacque l’isola di San Pietro, alla quale diedero il nome di Carloforte, proprio in onore del re che li aveva ospitati. Insediandosi trasferirono con loro la cucina tabarkina, una ricetta in particolare: il “kuskussu” il couscous tipico di quel luogo - succu - in dialetto sardo, nonché le tradizioni genovesi “zenesi”, arte culinaria compresa, in uso ancora oggi, come i “curzettu stiò au tocco de funzi”, corzetti al sugo di funghi, preparazione pressoché simile a quella dei corzetti - corsetti novesi di Novi ligure col tocco di funghi e salsiccia. 

Il Rebora racconta che secoli fa, tale genere di pasta si lavorava in due formati: crosets grandi e crosets piccoli. Aggiunge anche che forme similari ma più grosse venivano confezionate come certi cappelletti del parmense. I “crosets” erano paragonabili a dei piccoli gnocchi di patate e farina appiattiti con le dita.

Quando si diffusero più capillarmente si iniziò a utilizzare dei timbri per marchiare la pasta, in particolare quella a dischi grandi (di 14-15 centimetri di circonferenza), mentre quelli piccoli della Valpolcevera e Bisagno, venivano fatti a mano a forma di una minuscola suola di scarpe, simile a un otto, detti anche “tiè con è die” tirati con le dita a forma di otto e solo più avanti nel tempo si applicò l’uso del timbro per marchiare la pasta.

Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo, figlio di Carlo I d'Angiò, prima re di Sicilia poi di Napoli e di Beatrice della Contea di Provenza, sinceri estimatori della Puglia, hanno lasciato traccia dei corzetti, tant’è che le orecchiette del mezzogiorno, sono fatte alla stessa maniera, ma si chiamano strascinati e anche la loro storia sembra risalire alla Provenza.

Una curiosità, sempre in Puglia, ci sono alcuni paesi dove si parla ancora il provenzale del XIII secolo. Simili dischi ovalizzati di pasta leggermente concava, fatti manualmente si trovano anche in Abruzzo e anch’essi prendono il nome di strascinati, in Sicilia invece è ancora in uso il termine “curzettu “.

Ingredientis:

per la pasta: g 400 di farina di semola di grano duro sardo, una noce di strutto, 3 uova, vino bianco secco, un pizzico di noce moscata, acqua e sale q.b. per il condimento: g 200 di salsiccia sarda fresca sbriciolata, g 60 di funghi porcini secchi,  per il soffritto: due cipollotti, mezza costa di sedano, una carota, un ciuffo di timo e uno di prezzemolo, 2 spicchi di aglio, 2 pomodori secchi ben dissalati, 1 foglia di alloro, g 200 di polpa di pomodori freschi battuta a coltello, zafferano San Gavino, pecorino grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

prima di tutto, metti ad ammollare i funghi in acqua tiepida e nel mentre che rinvengono, sul ripiano della madia, disponi la farina setacciata, forma un cratere e al suo interno tuffaci lo strutto ammorbidito, le uova sgusciate, una presa di sale, una grattata di noce moscata, due cucchiaiate di vino e tenta acqua tiepida che si riveli necessaria per ottenere un impasto privo di grumi ed omogeneo, che lascerai riposare in luogo fresco per un’ora coperto con un canovaccio da cucina. Nel mentre, monda, lava e asciuga gli odori, poi tritali finemente, quindi fai appassire il ricavato in un capace recipiente di terracotta - tianu mannu - assieme a un generoso giro di olio e una spruzzata di vino. Evaporato, unisci la salsiccia, l’aglio schiacciato, i funghi ammorbiditi ben lavati (tieni l’acqua di ammollo) e lasciali insaporire per cinque minuti, subito dopo versa la poltiglia di pomodori, l’alloro e prosegui la cottura dolcemente per un’ora, aggiungendo poca acqua di ammollo dei funghi alla volta filtrata per insaporire ulteriormente il sugo ed evitare che allo stesso tempo si asciughi. Prima del termine della cottura, regola il sapore di sale e impreziosiscilo con una presa di zafferano e una macinata di pepe. Arrivati a questo punto, tira a sfoglie non troppo sottili la pasta e con l’aiuto dell’apposito stampo, timbra e taglia tanti dischetti quanti ne consente la pasta, ritagli compresi e man mano che li confezioni allargali su dei vassoi infarinati ad asciugare. Terminata questa laboriosa operazione, lessa i - croxetti - in abbondante acqua salata a bollore e appena al dente scolali direttamente dentro al recipiente del condimento, falli amalgamare a fiamma vivace, giusto il tempo che occorre per fare insaporire gli ingredienti. Servili immediatamente, con una spolverata di pecorino.

Vino consigliato: Carignano rosso del Sulcis riserva, dal sapore vinoso, gradevole e intenso.

 

 

***

 

 

Sos maccarrònes de sas animas o de urte

 

Non c’è regione in Italia che non abbia una tradizione per commemorare la ricorrenza dei defunti. In Sardegna addirittura cambiano da un paese all’altro. Per esempio a Lula (Lùvula o Lùgula in sardo) nel Barbaricino in provincia di Nuoro, la ricorrenza - de“Sas Animas” -, a tavola in preghiera (le anime - da non confonderle con streghe e fantasmi, menzionati in racconti di fantasia) è un appuntamento alquanto  sentito che si rinnova ogni anno, in modo sicuramente singolare e all’insegna del rispetto e della pietà umana in ricordo di che è passato a miglior vita.

Infatti da secoli, come tradizione vuole, per l’occasione si prepara la pasta delle anime ovvero gli gnocchetti sardi al pecorino filante, - sos maccarrones de sas animas - o i maccheroni al ferretto - sos maccarrones de errittu - marraconisi a su ferrittu - cravoas - cigioni - cigiones - e altri ancora, realizzati con l’ausilio di un ferretto, ricavato dal telaio di un ombrello o da un ferro utilizzato per la lavorazione delle maglie di lana e per quella delle calze.

Un tempo le donne del paese, aiutate da figlie e nipoti, erano solite riunirsi in comune accordo per preparare l’impasto, intervallando il lavoro con piccole pause di preghiera e recita del rosario. Dall’impasto ricavavano gli speciali gnocchetti che subito dopo lessavano e condivano con il pecorino, pepe e a volte zafferano. Il succulento piatto veniva distribuito solo ai malati e ai più bisognosi, assieme a - su coccone - pane durche -, un tipo di pane dolce. Col passare degli anni la distribuzione si è poi estesa a tutti i nuclei familiari del paese, fino ad arrivare ai giorni nostri.

Una curiosità, i pastori per l’occasione, in base alla disponibilità del gregge, macellavano alcune pecore, destinando le teste in dono alla parrocchia, che venivano subito portate dai chierichetti nella cucina della canonica, dove veniva prelevato il cervello per offrirlo al prete, mentre con la rimanenza della carne le donne del paese preparavano il brodo per il rito della condivisione comunitaria.

Ogni anno a Lula la festa delle anime - sas animas - per ricordare i defunti inizia il due novembre e termina il venti. Proprio questo duraturo ricordo le persone che fanno parte del comitato organizzatore, assieme alle autorità del posto, affrontano giornate di lavoro di volontariato senza nulla chiedere in cambio, con momenti di sosta dedicati alla preghiera e alla recita del rosario. In questo modo si ricordano tutti i cari estinti e, le anime dei morti rimangono sempre vive nell’immaginario, in un mondo che inesorabilmente si allontana. 

Ingredientis :

per la pasta: g 500 di farina di grano duro sardo, zafferano San Gavino, olio extravergine d’oliva, acqua tiepida e sale q.b. per il condimento: g 500 di pecorino abbastanza fresco, g 350 di latte fresco intero possibilmente di pecora, pecorino grattugiato a piacete, pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

disponi la farina a fontana su di un piano di lavoro e al centro tuffaci una cucchiaiata d’olio, lo zafferano sciolto in poca acqua e altra acqua leggermente salata, unita poco alla volta che si riveli sufficiente per ottenere un impasto piuttosto sodo privo di grumi e malleabile. Fatto, forma una palla, avvolgila in un canovaccio e ponila in frigorifero a riposare. Trascorsa un’ora, preleva piccole parti di pasta, forma dei maccheroni lunghi e grossi quanto una matita, poi tagliali a piccoli cilindretti lunghi circa due centimetri, quindi con la pressione del pollice premili e trascinali su una tavoletta di legno rigata o su un crivello rotondo di giunchi - sadatzu - cibiru - chilìru - ciurli - cilliriu - cioliriu, in modo da formare i classici gnocchetti a conchiglia racchiusa maccarrònes - malloreddus in sardo, da vitellini panciuti e man mano che li confezioni, allargali sul piano di lavoro ben infarinato ad asciugare. Passata una mezz’oretta, lessali in abbondante acqua salata a bollore e mentre cuociono, riduci il pecorino a piccole scaglie, quindi versa il ricavato dentro a un tegame - càccau - detta caccavella - sattaina - sciacuera - strexiu - cassarolla - grassanera, unisci il latte e fai sciogliere il composto molto dolcemente, sempre mescolando fino a quando il formaggio risulterà filante e privo di grumi. Appena la pasta sarà cotta al dente, scolala direttamente dentro al recipiente del formaggio, aggiungi una nevicata di pecorino e padella velocemente il tutto a fiamma vivace, giusto il tempo che occorre per fare insaporire gli ingredienti. Servi - sos maccarrònes -, conosciuti anche come - maccarrònes furriados - maccheroni rivoltati, immediatamente cosparsi con un ulteriore macinata di pepe e un filo d’olio.

Vino consigliato: Novello I.G.T. Ogliastra, dal sapore fresco, giovane, vivace e morbido.

 

 

 

 

 

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