Arrosucunbuttàriga de pix’e ponti s’oru o prendasa de Crabas
Cabras in Sardegna è sinonimo di bottarga, l’ambrata baffa, la cui locuzione proviene dall’arabo, bottarikh, i quali la diffusero in tutto il Mediterraneo, ma ha anche radici nel vocabolario greco-bizantino il cui termine significa uova di pesce salate ed essiccate.
Resti di bottarga si sono trovati anche nelle piramidi egizie.
L'estrazione del sale marino in Sardegna risale a circa 3000 anni fa, all'epoca dei Fenici e costituiva uno dei prodotti più importanti dell'economia nell’Isola, oltre a essere uno dei motivi per cui i mercanti stranieri presero a frequentare stabilmente il territorio.
Furono proprio loro a scoprire la tecnica della salagione e stagionatura delle uova del muggine, Mugilcephalus, cefalu, pix’e ponti,pix’epontisi, termine che potrebbe derivare pure dal cognome di un commerciante pescatore dei tempi antichi: Ponti, pontis, pontisi, altri nomi dialettali sardi sono: pix’eiscatta, muzzaru, muzzera, muza, conchillada, conchedda, conchedda de pischera,lissa, glissa, mugheddu, mussulu, loi, e tanti altri ancora sono i nomi dialettali utilizzati per definire questi pesci.
Anche i Greci apprezzavano la bottarga e dopo di loro, i Romani dal palato sopraffino iniziarono a gradire le pregiate uova di muggine, fino a diventare i più grandi buongustai dell’epoca e consumarne grandi quantità.
Il documento più antico che cita la bottarga, buttàriga,, risale al 1386, ed è quello rilasciato a un potente commerciante che trasportava via mare un carico di barili di bottarga essiccata e di fronte al golfo di Oristano subì un naufragio, fortunatamente il prezioso bottino fu messo in salvo.
Nel Quattrocento la bottarga, butarghe, definita uova di cefalo o muggine, conservata sotto sale, era un ingrediente molto gradito a Maestro Martino da Como, che nel suo, Libro de arte coquinaria, descrive la ricetta del procedimento utilizzato per la salatura ed essiccazione delle uova del muggine.
Il cuoco Giovanni Nelli, nel suo trattato universale, Il re dei cuochi, 1880, scrive del cefalo: “La loro carne è ricercata perché tenera e gustosa; colle uova compresse, salate e disseccate si forma la così detta bottarga, assai usata in Corsica, Sardegna e Provenza”.
In Sardegna, la bottarga un tempo, non era conosciuta come lo è oggi, che viene chiamata, “l’oro di Cabras” o caviale del Mediterraneo, era nota solo alle famiglie di pescatori delle coste e la ristorazione la proponeva nei menu solo se aveva la fortuna di conoscere pescatori del luogo che garantissero la fornitura, infatti all’interno dell’Isola nessuno la conosceva, perciò era assai difficile commercializzarla, nemmeno nelle strisce costiere e rimaneva un prodotto riservato solo alle famiglie dei pescatori e ai loro parenti ed amici.
Da sempre la lavorazione delle uova della femmina del cefalo era mansione che spettava alle donne, che con l’aiuto di affilati coltelli, lepas, arrasojas, arresojas, arburesas, patadesas, brozas, còrrìnas,gotteddus, gorteddus, guateddus, gurteddus, e tanti altri nomi ancora, incidevano la pelle dove erano custodite le uova per estrale, per poi sottoporle alla salatura e alla pressatura tra tavole, in luogo aerato, fino a quando non erano asciutte.
Solo mezzo secolo prima del Novecento, la bottarga ha iniziato ad affermarsi, attraverso il passa parola, l’uso da parte della ristorazione e la disponibilità dei piccoli commercianti, rimanendo comunque un prodotto di nicchia.
La bottarga di muggine, con quella di tonno, sono due eccellenze e fiore all’occhiello della Sardegna, si differenziano fra loro per il colore giallo ambrato e per il sapore spiccato e intenso, che rilascia al palato una raffinata sensazione che ricorda la frutta e un sensibile ricordo di mandorla, che contraddistingue il primo, mentre quella di tonno si differenzia alla vista per il colore dal rosa molto chiaro al bruno-rossastro, a seconda della varietà e che regala note più volitive al palato.
Ogni anno a Cabras viene dedicato un appuntamento alla bottarga, con degustazioni e piatti tipici del territorio, abbinati a vini del Sinis. Faranno da contorno alla rassegna gli stand con prodotti del luogo e mostre artigianali, il tutto condito con balli sardi, attrazioni varie e, per i più ghiottoni, gullosusu, licoinàrgius, licoinàrxus, non resta che prendere parte alle danze, si… ma delle mandibole però!.
Ingredientis:
g 320 di riso carnaroli Molas di San Gavino Monreale, una mezza cipolla di Zeppara (prosperosa area della Marmilla), due pomodori secchi ben dissalati, uno spicchio di aglio, un mazzetto di prezzemolo, un ciuffo di timo, mezzo bicchiere di vino bianco secco, brodo leggero di carne, zafferano San Gavino, bottarga di muggine di Cabras, un ciuffo di finocchietto selvatico, un limone giallo non trattato, olio extravergine di oliva, sale e pepe di mulinello q.b.
Approntadura:
prima di ogni altra operazione, prepara un trito finissimo con la cipolla, i pomodori secchi e il ricavato fallo imbiondire assieme a un generoso giro di olio. Trascorsi alcuni minuti unisci il vino e una volta evaporato il riso e man mano che cuoce (18 minuti circa) allungalo con del brodo bollente. Fatto tuffaci lo spicchio di aglio ridotto a poltiglia e prosegui la cottura sempre mescolando. Quando mancano alcuni minuti al termine, regola il sapore di sale (poco sale, perche la bottarga è salata), impreziosiscilo con una presa di zafferano, il prezzemolo tritato, il timo sbriciolato, una lodevole macinata di pepe e una volta cotto al dente scodella il risotto leggermente all’onda dentro a delle fondine individuali. Prima di servirlo, cospargilo con una cospicua piallata di bottarga e una ulteriore macinata di pepe, completalo con una spolverata di finocchietto spezzettato, una grattugiata di scorza di limone e un filo di olio.
Vino consigliato: Sardegna Semidano Mogoro, dal sapore morbido, sapido, fresco e asciutto.
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Saspanafittas in brodu de brobei a Nugheddu
Nugheddu prende il nome dal latino, nocetum, nucetum, noceto, per via dei boschi di noci che drappeggiano tutto il territorio e accompagnano il rio di Lichitu.
Il paese è situato nel centro del Logudoro Mejlogu in provincia di Sassari, dove ogni anno in occasione della festa di San Giovanni, si rinnova l’appuntamento enogastronomico dedicato a, sas panafittas, piatto povero della cultura locale. La provenienza del piatto è molto antica ed è a base di “pane fine”, un tipo di pane rotondo e piatto, chiamato spianata di Ozieri. Pane che riesce a toccare le corde emotive ed evoca ricordi struggenti, perché un tempo, e allo stesso modo oggi, viene bollito in brodo, pani budditu, di pecora, d’agnello o di manzo e condito con salsa di pomodori, e poi insaporito con pecorino grattugiato o con intingoli a base di carne,ghisadu. In tempi antichi per condire questo piatto veniva impiegato, s’ozucasu,s’ozzucasu, ozucasu, butiru, manteca, l’olio estratto dalla lavorazione della panna di latte, pizu de casu, fatto bollire con l'aggiunta di farina di semola e impreziosito con abbondante pecorino grattugiato.
A Nugheddu, si trovano tracce della presenza dell’uomo già in epoca nuragica e l’esistenza di un nuraghe ne è la conferma.
Nel 1839, con la fine del feudalesimo Nugheddu venne liberato dai TellezGiron di Alcantara.
Nugheddu, oggi Nugheddu San Nicolò, è un grazioso paesino che conta circa 800 abitanti, inserito in un dolce territorio collinare, nel quale le tradizioni hanno origini antiche e rimangono saldamente ancorate ancora oggi.
Da ricordare che per la preparazione di, sas panafittas, veniva utilizzato il pane raffermo ai limiti del commestibile per la sacralità dello stesso e veniva cucinato come una sorta di pasta al sugo.
Ingredientis:
g 400 di panefine raffermo spezzettato di Nugheddu (spianata sarda tipica di Ozieri e paesi deidintorni), g 80 di guanciale, grandua, un ciuffo di prezzemolo e uno di timo, armiddha, una cipolla di media grossezza di Ozieri, 2 pomodori secchi ben dissalati, vino bianco secco, g 300 di polpa di pomodori maturi ridotta a poltiglia, un ciuffo di basilico, brodo di pecora, g 120 di pecorino stagionato grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.
Approntadura:
per prima cosa lava ed asciuga gli odori, poi sbuccia la cipolla, dopodiché batti al coltello il guanciale e il ricavato ponilo dentro a un capace tegame di terracotta, terra de strexiu, assieme a una carezza di olio. Fatto, dedicati alla preparazione del soffritto, tritando finemente la cipolla con i pomodori secchi, il prezzemolo, il timo e il battuto ottenuto rovescialo dentro alla pignatta con il guanciale. Solo allora accendi la fiamma e lascia rosolare dolcemente il tutto e dopo un paio di minuti, bagnalo con una spruzzata di vino. Evaporato, unisci la poltiglia di pomodori e il basilico spezzettato, regola di sale il sapore dell’intingolo e impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe o a piacere del peperoncino rosso piccante e prosegui la cottura a fiamma moderata per tre quarti d’ora. Trascorso il tempo, allontana il tegame dal fuoco e tienilo a recipiente coperto al caldo. Terminata questa operazione, preoccupati di ridurre il pane fine, spianada,a piccoli straccetti, quindi, dentro a una pentola dalle pareti alte fai scaldare sei mestolate di brodo e quando avrà raggiunto l’ebollizione tuffaci il pane fine. Non appena al dente, scolalo direttamente nel recipiente dell’intingolo (in tante famiglie usano condire, sas panafittas, con il sugo, ghisadu, di carne), assieme a metà del formaggio che hai in dotazione e subito dopo padella velocemente, sas panafittas, pane raffermo condito, a fiamma vivace, giusto il tempo che occorre per fare insaporire armonicamente tutti gli ingredienti. Servi la pietanza immediatamente spolverata con il pecorino rimasto, un’ulteriore macinata di pepe e un filo di olio. Vino consigliato: Bonnanaro rosso, dal sapore equilibrato e persistente, di gusto pieno, con note aromatiche e con un tannino piacevole e vellutato.