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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Ricette Ottobre 2024

 Tzuppa de fasou abru a sa terraseghesa

Originario dell’America centrale, il fagiolo comune comprende anche i fagiolini verdi. Mentre i fagioli conosciuti in Europa fin dall’antichità erano i cosiddetti “fagioli dall’occhio”, originari dell’Africa e dell’Asia. Questi erano già noti ai Greci e ai Romani, coltivati nell’antichità in parecchie regioni d’Italia e venivano molto apprezzati dai contadini buongustai, che ne erano veramente ghiotti e li consumavano con pochissimo condimento. 

Diverse sono le specie di fagioli che si consumano oggi.

 

Scoperti da Cristoforo Colombo, gli spagnoli e i portoghesi li introdussero in Europa nel XVI secolo.

Già nei primi anni del ‘500, precisamente intorno al 1528. secondo l’umanista bellunese Piero Valeriano, la coltivazione del legume è presente in Veneto e si diffonde rapidamente nella regione, da dove si estese e successivamente nell’intera Penisola, nelle sue differenti varietà.

A La Spezia in Liguria, la varietà denominata cannellini entra a far parte dei legumi che compongono la famosa zuppa della, mess-ciua, già nel 1544, nello stesso periodo risultano presenti anche nella cucina francese e tedesca sud-occidentale.

Gli europei poi li portarono nell’America del nord.

Le specie di fagioli americani sono il fagiolo di Lima e il fagiolo comune, da quest’ultimo sono derivate centinaia di varietà.

I fagioli vanno messi a bagno per una notte e si cuociono poi per un paio di ore circa a fuoco basso in una pentola preferibilmente di coccio, con l’aggiunta di erbe aromatiche. Non possono essere mangiati crudi perché alcune varietà sono tossiche. In genere devono essere ben masticati. Per coloro a cui i fagioli procurano dolori di pancia si consiglia di consumarli in purea.

Con i baccelli di fagiolo si può preparare una tisana utile per ridurre il livello di colesterolo nel sangue, la pressione arteriosa ed ha anche un’azione antidiabetica. Applicazioni esterne di decotto o di farina di fagiolo sono indicatissime contro gli eczemi cutanei.

In Italia sono innumerevoli le specie di fagioli coltivate, fra le tante troviamo, in Piemonte: il fagiolo di Cuneo IGP, il fagiolo di Negruccio e blason di Biella, il fagiolo di Saluggia e quello d'la prasa.

In Valle d’Aosta: il borlotto di Saint Denis, i crochettes de savoie, quelli de la rena, de la soursa, de maman, del convento, i demin, i fasoulè, i gameà, gli issime, i nou feisouc, gli oktober ti e il pisello arveille.

In Liguria: i fagioli bianchi di Pigna, i badalucco e i bonio, il fagiolo dell’aquila e quello lupinaro.

In Lombardia: i fagioli copafam (ammazza fame), i fasoi de la alcamunia, il fagiolo borlotto nano di Vigevano, il fagiolino dall’occhio di Pizzighettone e i fasoi de' Brebbie nel varesotto, il fagiolo dall’occhio e il fagiolo blu della Valsassina.

In Trentino Alto Adige/Süd Tirol: il fagiolo ramp mang stortino di Trento, il fagiolo nano anellino di Trento e il fagiolo burgusio o wetsch della Val Venosta.

Nel Veneto: il fagiolo Borlotto Nano di Levada, il fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP, il fasoùòl dala tessera, il fagiolo calònega, il fagiolo mame blu o regina, il fagiolo borlotto oro detto anche tòne, il fagiolo gialét, il fagiolo meraviglia di Venezia blacke, il fagiolo zolfino di Castellfranco, il fasóla posenàta di Posina o fasòla del diavolo.

In Friuli si coltivano circa 160 varietà di fagioli, fra le tante: il fagiolo cesarins, i borlotti di Carnia, Il fagiolo di san Quirino, presidio Slow Food, i fagioli dell'orso e i fagioli dal voglut.

In Emilia Romagna: il fagiolo borlotto piacentino, i cannellini di Cervia, il fagiolo dall’Occhio, detto anche “dolico” e il fagiolo bianco.

La Toscana vanta numerose qualità di fagioli quelli più rinomati sono: il fagiolo Aquila o Lupinaro di Lucca, presidio Slow Food, il fagiolo di Sorana IGP, il fagiolo mascherino e giallorino della Garfagnana, il fagiolo rosso di Lucca, il fagiolo schiaccione e il fagiolo zolfino del Pratomagno.

In Umbria: il fagiolo di Cave di Foligno i fagioli borlotti di Colfiorito, la roveja di Civita di Cascia (legume antico di nicchia), la fagiolina del lago Trasimeno, il fagiolo monachelle.

Nelle Marche: i fagioli solfini e borlotti Serra de’ Conti e i fagioli dall’occhio.

Nel Lazio: il fagiolo cannellino di Atina D.O.P., il fagiolo di Sutri, i fagioli di Carlo Magno, il fagiolo del lago del Turano e il fagiolone di valle pietra. 

In Abruzzo: i fagioli socere e nore della maiella, i fagioli di Paganica, presidio Slow Food.

Nel Molise: il fagiolo di Acquaviva di Isernia, i fagioli Principessa o signurina, i fagioli quarantini, i fagioli a palluott blu e i fagioli della regina.

In Campania si coltivano i fagioli a formella, i fagioli dall'occhio del Fortore, il fagiolo cannellino chiamato dente di morto di Acerra, presidio Slow Food, il fagiolo della Regina di Gorga, il fagiolo di Controne, quello di Mandia detto tabaccuogno, il fagiolo zolfino di Visciano, il tondino di Villaricca e il fagiolo a pisello di Paestum, fasulo piseddu.

In Puglia: il fagiolo dall'occhio o dolico dall'occhio nero il fagiolo corona o ciabattone, i fagioli bianchi cannellini, i fagioli tondini, i fagioli cocos, i fagioli borlotti i fagioli piattelli, i fagioli neri e quelli bruni.

In Basilicata: il fagiolo bianco di Rotonda D.O.P., il fagiolo poverello, il fagiolo di Muro Lucano e il fagiolo di Sarconi I.G.P..

In Calabria: il fagiolo di Carìa, il fagiolo di Cortale, il fagiolo merulla, il fagiolo monachella, Il fagiolo pappaluni bianco o colorato, i fagioli aspromontani e il fagiolo poverello bianco.

In Sicilia: i fagioli bianchi di Ustica, il fagiolo cosaruciaru di Scicli, presidio Slow Food, il fagiolo badda di Polizzi Gerosa, anch’esso presidio Slow Food.

In Sardegna troviamo un’importante produzione di fagioli, fra le tante varietà  coltivate ci sono: il fagiolo di Terraseo, frazione del comune di Narcao nel Sulcis Iglesiente, dove i fagioli vengono coltivati da secoli, su fasolu biancu de terraseu,    che si fregia del riconoscimento P.A.T., Prodotto Alimentare Tradizionale,  il fagiolo di Buddusò, su fasolu buddusoinu, il fagiolo di Tempio, su pisu tempies, il fagiolo dall’occhio o pancia nera, su fasolu o fasou brenti niedda, il fagiolo orgonese, su pisu ‘e Sorgono o faitta sorgonesa,  il fagiolo Tianese, faitta tianesa,  il fagiolo di Gavoi, su pisu gavoesu, il fagiolino quarantino di Gonnosfanadiga, fasou o fassobeddu corantinu, il fagiolo barba ricino, faitta brente e monza, la cicerchia (legume che ricorda la fava e il cece, detto il fagiolo non fagiolo di Settimo San Pietro) pisu fa, piseddu o inchixia, il fagiolo di Castelsardo, fasolu a cjucchèddha, o, a gioghedda, coltivati negli orti familiari (con una modesta produzione annuale) e il fagiolo di Scano Motiferru, su pisu iscanesu. Questi sono i fagioli più conosciuti in Sardegna, ma tante altre ancora sono le qualità che si coltivano nell’Isola.

Ingredientis:

g 400 di fagioli bianchi di Terraseo, una cipolla di San Giovanni Suergiu, un mazzetto di prezzemolo, un ciuffo di timo, uno di salvia, 2 spicchi di aglio, 3 pomodori secchi ben dissalati, vino bianco secco, g 250 di polpa di pomodori maturi ridotta a poltiglia, g 160 di fregolina o spaghetti spezzettati, olio extravergine di oliva, sale e pepe di mulinello q.b.

Approntadura:

come prima operazione poni in ammollo i fagioli dal pomeriggio del giorno prima dell’utilizzo. La mattina seguente, scolali, lavali in acqua fredda corrente e tienili da parte. Fatto, trita la cipolla assieme ai pomodori secchi, il prezzemolo, il timo e il battuto ottenuto fallo rosolare dentro a una pignatta di terracotta dai bordi alti, olla manna, assieme a un generoso giro di olio. Dopo cinque minuti bagna il soffritto con una spruzzata di vino e una volta evaporato lascialo appassire dolcemente per altri cinque minti. Trascorso il tempo richiesto, aggiungi la poltiglia di pomodori, uno spicchio di aglio schiacciato e dopo altri cinque minuti unisci i fagioli tenuti da parte, dai una mescolata, poi aggiungi la salvia, tanta acqua quanta ne occorre a coprirli di almeno quattro dita e prosegui la cottura a fiamma moderata fino a quando i fagioli risulteranno teneri ma non sfatti (circa un’ora). Un quarto d’ora prima del termine tuffaci la pasta prescelta, regola il sapore di sale e impreziosiscilo con una lodevole macinata di pepe. Ultimata la cottura, scodella la minestra dentro a delle ciotole con delle fette di pane di semola raffermo abbrustolite e strofinate con l’aglio rimasto. Completa con un’ulteriore macinata di pepe e un filo di olio (a piacere puoi arricchire la zuppa con una grattata di pecorino stagionato).

Vino consigliato: Carignano rosso del Sulcis, dal sapore armonico, sapido e asciutto.

 

 

***

 

Su peti cocone o pedi coccone e is ossus de mortu

 

 

In diversi paesi della Sardegna ogni anno, come in tutta Italia, dal 31 ottobre ai primi di novembre si rinnova la festa dedicata ai morti. In ogni luogo dell’Isola a seconda della zona e in particolar modo nell’entroterra a nord della Sardegna, i bambini in quei giorni gironzolano per le vie dei paesi con zaini e sacchetti di iuta, talvolta consumati dall’usura e rammendati o con federe di cuscini, ma anche con cesti come quelli usati per la vendemmia, bussando o suonando il campanello di porta in porta per la questua del, su peti cocone, pedi coccone, chiedere il pane, sperando di ricevere doni graditi, come mele cotogne, frutta secca, papassinus, e altri dolci di ogni genere.

Questa tradizione risale a tempi remoti ed è riproposta con orgoglio ogni anno dagli abitanti di tantissimi paesi, valorizzando così usi, costumi e folclore locale. In altri paesi come in quelli del Medio Campidano e nell’area del Sulcis i bambini usavano chiedere, passando di porta in porta per le vie rionali doni per le “piccole anime”,  is animedas, o per, su mortu mortu, mottu mottu, per i quali venivano donati, papassinos, pabassinas, dolci di frutta secca, uva passa e sapa, saba, e in particolare ricevevano i caratteristici dolci del periodo, gli ossi di morto, is ossus de mottu, e tanti altri doni ancora compresa qualche piccola mancia, strinasas.

I sardi in passato, a seconda dei luoghi ricordavano e, ancora oggi in tante località ricordano i defunti offrendo loro pane rustico, frutta secca, dolciumi e vino, il tutto apparecchiato con cura su una tavola in occasione della ricorrenza e per un immaginario passaggio delle anime. La tavola imbandita per i morti, in Sardegna è sempre stato un gesto di rispetto per chi è passato a “miglior vita” e nella convinzione terrena era doveroso offrire del cibo per rifocillarli.

Paese che vai usanza che trovi si dice, ad esempio a San Gavino Monreale, oggi conosciuta come “città dell’oro rosso” per l’importante produzione nazionale di zafferano, in occasione della festa dei morti si preparavano e tutt’ora vengono cucinati, sos spaghittus mesanus de sa di dei smortus cun bagna de caboniscu, spaghetti con sugo di galletto e zafferano. Un'altra usanza era quelle di accendere una lanterna a olio, làmpada, làntia, o a carburo, candeba a carburu, (quest’ultima la utilizzavano le famiglie che vivevano nelle zone minerarie, in quanto il carburo costava veramente poco), per i defunti in segno di devozione e rispetto. Una abitudine più moderna è quella di modellare la classica zucca di Halloween, con sembianze tenebrose e macabre, all’insegna del divertimento e della citazione di altre culture. Tante ancora sono le usanze che variano da paese a paese, ma il significato che le accomuna tutte è il ricordo di chi c’era e non c’è più, come la convinzione che si tratti di una celebrazione arcaica, considerata di passaggio dal vecchio al nuovo, poiché quasi certamente si tratta di derivazione celtica. Quello che conta, che vale, che rimane e rimarrà sempre vivo è il pensiero e il ricordo, de is animeddas, o dei, mortu mortu.

Ingredientis:

g 270 di mandorle con la pellicina, g 180 di mandorle sgusciate con la pellicina, g 220 di zucchero comune, 2 albumi, la buccia grattugiata di un limone giallo non trattato, un cucchiaino di polvere di scorze d’agrumi essiccate, un pizzico di cannella, uno di noce moscata e uno di chiodi di garofano in polvere, zafferano San Gavino, sale q.b., per la - cappa - glassa: g 220 di zucchero al velo, un cucchiaio di acqua fior d’arancio, un bicchierino di liquore tipo Villacidro, pochissima acqua se occorre, pane grattugiato, confettruas, o, traggeras, zuccherini colorati q.b.

Approntadura:

per iniziare la preparazione della ricetta procedi nel seguente modo: prima di tutto fai sbollentare le mandorle, poi scolale direttamente su di un canovaccio da cucina, quindi con un coltellino affilato riduci le mandorle a filetti. Terminata questa operazione, allarga il ricavato dentro a una teglietta e falle tostare in forno a 150°, giusto il tempo che occorre per farle diventare di un lieve colore dorato. Fatto, macina le mandorle con la pellicina, avvalendoti dell’apposita macchinetta trita mandorle e la farina ottenuta mescolala dentro a una conca, scivedda, xivedda, insieme allo zucchero, i filetti di mandorle tenuti da parte, la cannella, la noce moscata, i chiodi di garofano, la polvere di scorze, la buccia del limone, un non nulla di zafferano, gli albumi  gonfiati a candida neve ed impasta delicatamente tutti gli ingredienti, fino a farli amalgamare omogeneamente fra di loro e allo stesso tempo ottenere un composto malleabile che lascerai riposare per una decina di minuti (qualora l’impasto dovesse rimanere morbido, aggiungi un pugno di pane grattugiato, questo accorgimento in Sardegna, è utilizzato nella preparazione di parecchi dolci). Trascorso questo tempo, preleva parte dell’amalgama e modella delle piccole ossa o dei frammenti di costole, stringendo leggermente un cucchiaio di impasto all’interno di una mano, in modo da lasciarvi impresso l’impronta delle dita e man mano che forgi i biscotti, accomodali dentro a una teglia foderata con un foglio di carta oleata, distanziandoli fra loro. Arrivati a questo punto, passa i dolcetti in forno già caldo a 160° per mezz’ora e non appena cotti sfornali e, intanto che si raffreddano prepara la, cappa, glassa, facendo sciogliere lo zucchero a fiamma moderata dentro a un recipiente d’acciaio insieme al liquore e all’acqua fior d’arancio. una volta che lo sciroppo avrà raggiunto una consistenza viscosa (se fosse troppo denso, aggiungi poca acqua bollente), con l’aiuto di un pennello stendilo sulla superficie di ogni biscotto, una volta asciutti ripeti l’operazione di glassatura e, man mano cospargili con dei confettini argentati di zucchero, codetta, mompariglia, tragera, tragea, dragea, traggeras, confettruas. 

Vino consigliato: Vernaccia di Oristano dolce, dal sapore fine, sottile, caldo e asciutto con leggero retrogusto di mandorle amare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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