Minestra de fresa ’e attunzu a Bortigàle
Bortigali, Bortigàle, in lingua antica sarda, è un paese con poco più di 1360 abitanti (bortigalesi) in provincia di Nuoro.
Nel paese si trovano tracce del passaggio dell’uomo sin dalla preistoria, lo attestano i ritrovamenti di resti archeologici di, domus de janas, e nuraghi sparsi in tutta la regione, il territorio infatti era apprezzato soprattutto per la sua fertilità già nel lontano passato.
Una leggenda racconta che sette famiglie superstiti alla distruzione del primo insediamento punico-romano, fondarono il nuovo nucleo del paese, e una borgata alle porte dell’attuale Bortigali si chiama con il nome di, Sette padeddas, sette padelle, ovvero sette fuochi, o più esattamente sette famiglie.
Il paese durante il periodo giudicale venne aggregato alla curatoria del Marghine nel territorio giurisdizionale del Logudoro. Alla sua caduta nel 1259, Bortigali fu annesso a quello arborense.
Nel 1420 passò sotto il controllo degli aragonesi, i quali lo concessero ai Centelles per poi passare nel 1439 al nobile sardo Salvatore Cubello, terzo marchese di Oristano sino al 1478.
Dopo vari passaggi di mano Bortigali nel 1821 fu ricompreso nella provincia di Cuglieri.
A seguito del nuovo assetto territoriale del 1848 il paese rientrò nella gestione dei pubblici servizi di Nuoro per ridisegnare la geografia amministrativa dello Stato sabaudo.
A Bortigali, nel 1907 nasce la prima cooperativa casearia attiva ancora oggi: La.Ce.Sa e vent’anni dopo viene compresa nella neonata provincia di Nuoro, della quale ancora oggi fa parte.
Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, il paese è stato sede del Comando Supremo Militare della Sardegna, uno dei vertici delle forze armate italiane, nel cui ambito nacque la prima emittente (RAI) libera d'Italia. Introducendo una nota autobiografica, mi piace ricordare che mio padre suonava con il suo gruppo “I diavoli del jazz” in un programma musicale inserito nel palinsesto di quella radio allora molto ascoltata.
Oggi Bortigali è un paese nel quale il tempo sembra sospeso e la vita ed il lavoro si svolgono con i ritmi e i tempi di una volta, mantenendo un legame stretto con le tradizioni più autentiche fatte di solide radici in grado di affrontare un futuro sempre più incerto e imprevedibile.
Il territorio di Bortigali propone scorci di una bellezza abbagliante, la natura riesce a stupire e incantare con scenari veramente unici e spettacolari.
L’economia del paese ruota principalmente all’agricoltura, con una produzione che spazia tra i cereali, i foraggi, l’ortofrutta, i vigneti e l’olivicoltura.
La pastorizia non è in secondo piano, infatti tra le attività economiche principali ci sono gli allevamenti di cavalli, di bovini, di suini, che con gli animali dell’aia e gli ovini, forniscono una produzione di ottime carni; salumi di qualità come - sa grandua - il guanciale e formaggi di eccellenza come; su casizolu, formaggio a forma di pera e la provola LACESA - La.Ce.Sa (Latteria - Centro - Sardegna).
La cooperativa casearia è una delle realtà economiche più significative e affermate della Sardegna, che lavora il latte intero vaccino ottenuto dalle mucche che si alimentano allo stato libero con l’erba profumata delle radure, delle alture bortigalesi e della regione montagnosa del Marghine. Tutto avviene ancora come un tempo, con la mungitura effettuata a mano. Con il latte vaccino crudo si ottiene, sa fresa 'e attunzu, mentre con il latte ovino, si produce il pecorino, vero fiore all’occhiello… “Fiore sardo” e il latte caprino genera il formaggio ideale per la preparazione delle, seadas.
Ogni anno, non c’è una data prefissata, Bortigali si veste a festa per la manifestazione in omaggio, de sa fresa ‘e attunzu, del formaggio vaccino a latte crudo e a pasta molle che si produce tradizionalmente in autunno. La Pro Loco, in collaborazione con gli Enti locali, organizza un appuntamento che ha come protagonista il formaggio autunnale, con degustazioni a base di fresa e di altre pietanze tipiche legate al territorio.
A sorprendere l’attenzione dei visitatori non mancheranno le esposizioni di prodotti artigianali locali, frutto della professionalità bortigalese.
Mi è gradito ringraziare il cuoco Gianni “Nino” Mura del ristorante “Peccati di gola” di Bortigali, per le preziose informazioni.
Ingredientis:
g 160 di fregola sarda tostata, g 400 di, fresa ‘e attunzu di Bortigali, pecorino Fiore Sardo locale grattugiato, per il brodo: 1,2 kg di carne di pecora a pezzi, una cipolla bianca, 4 pomodori secchi ben dissalati, una carota, un gambo di sedano, un ciuffo di prezzemolo, una bella patata di Gavoi, vino bianco secco, zafferano San Gavino, olio extravergine di oliva, pane focaccia, finocchietto, sale e pepe di mulinello q.b.
Approntadura:
anzitutto elimina le eventuali parti grasse della carne, quindi lavala sotto il getto di acqua fredda corrente e tienila da parte, lava anche le verdure e ponile dentro a una capace pignatta assieme alla patata pelata e un’irrorata di olio, dopodiché accendi il fuoco e fai rosolare. Nel giro di qualche minuto, unisci la carne e una spruzzata di vino. Evaporato, aggiungi un paio di litri d’acqua e porta a bollore il tutto. Non appena avvenuta, elimina l’eventuale schiuma formatasi e prosegui la cottura fino a quando la carne non risulterà tenera, circa un’ora e mezza. Se durante la cottura il brodo dovesse restringersi troppo, allungalo con qualche mestolata di acqua bollente, allorché regola il sapore di sale (poco sale), impreziosiscilo con una presa di zafferano, dopo un paio di minuti allontanalo dal fuoco e filtralo. Fatto, riponi il recipiente del brodo sul fuoco e non appena riprende il bollore calaci la fregola. Nel mentre che la pasta cuoce, riduci, sa fresa ‘e attunzu, il formaggio a piccoli cubetti e man mano che li prepari tuffali nel brodo. Una volta sciolto e filante, scodella, minestra de fresa ‘e attunzu, in quattro ciotole, sulle quali avrai disposto delle fette di pane tipo, costedda, focaccia con il buco al centro abbrustolite. Servila immediatamente con una nevicata di pecorino, una generosa macinata di pepe, una cfarezza di olio e un ciuffo di finocchietto selvatico fresco di taglio.
Vino consigliato: Mandrolisai rosato, dal sapore asciutto, sapido con retrogusto amarognolo, armonico, vellutato e caratteristico.
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Li cucciuleddi e meli de istazzus gaddhurésus
L’arte dolciaria della Sardegna affonda le radici nella notte dei tempi e, da oltre mille anni porta avanti una gloriosa tradizione, deliziando i palati del popolo sardo e dei visitatori dell’Isola.
Nell’antico Egitto, nella tomba del faraone Ramsete III sono stati trovati, oltre a decorazioni inerenti a l’arte dolciaria, caratteristici forni per la cottura del pane e dei dolci.
I greci invece preparavano il, popana polyomphala, un irresistibile dolce con la forma di mezza luna a base di farina, miele e sesamo, aromi speziati, frutta secca, mosto e ricotta, che veniva offerto ad Artemide, dea della caccia, del tiro con l'arco, della foresta, degli animali selvatici e dei campi coltivati, mentre al Dio supremo Giove e ad Apollo era dedicato un dolce dalle sembianze di una lira.
I romani erano golosi di dolci, in particolare apprezzavano i, crustula, crustulum, piccoli biscotti di frumento preparati con un impasto a base di grano macinato finemente, pepe, miele, burro ed erano cari al famoso gastronomo Marco Gavio Apicio, autore del trattato, De re coquinaria.
Nel Liber de agri cultura, opera in prosa dell’autore latino Marco Porcio Catone detto il Censore, composta probabilmente attorno al 160 a.C., l’autore descrive ricette di dolci tra cui il “encytus”, un goloso dolce fritto a forma di treccia o di spirale simili agli “acciuleddi e meli”, o “trecciulini” galluresi.
Gli arabi, nelle loro incursioni in Sardegna portarono a conoscenza degli isolani ingredienti come la canna da zucchero, i pinoli, il gelsomino, il sesamo, i pistacchi, lo zafferano, la cannella e l’anice, ingredienti in uso ancora oggi.
Nel medioevo, sempre in Sardegna, i monaci, nei loro monasteri iniziarono la produzione di biscotti a base di miele, essendo allevatori di api.
Durante il rinascimento, i pasticceri dell’epoca confezionavano dolci a base di miele sardo e diedero inizio alla produzione di gelati e ricette analoghe.
Durante la dominazione spagnola e aragonese in Sardegna la produzione del gelato, ebbe impulso anche grazie al commercio della neve stivata nelle grotte naturali di Aritzo, nasceva così la famosa “carapigna”, il dolce gelato al limone.
Verso la metà dell’Ottocento a Tonara inizia la lavorazione del torrone, tecnica che appresero dagli spagnoli prima e dagli arabi poi.
I sardi sono tutti pasticceri, si fa per dire, un po’ per attitudine, un po’ per tradizione, anche perché sembra la sintesi di arte, gusto e territorio.
I dolci più significativi legati della tradizione gallurese sono “li cucciuleddi e meli”, dolci natalizi degli stazzi, preparati con un trito di mandorle o noci, pane pesto o semola, scorza d’arancia grattugiata e spezie.
Ingredientis:
per l’impasto: g 600 di farina di semola rimacinata, g 120 di strutto suino, g 60 di zucchero comune, per il ripieno: g 600 di miele di corbezzolo, g 300 di pane pesto o semola oppure metà e metà, g 100 di granella di noci e g 100 di granella di mandorle, le scorze grattugiate di un limone giallo, un arancio e un mandarino non trattati, cannella e zuccherini colorati q.b.
Approntadura:
disponi la farina dentro a una conca di terracotta, scivedda, xivedda, freguera, su lebreri, cunchuiditta, cunchinu capazzu, tianeddu, forma una fontana e al centro tuffaci lo strutto con lo zucchero ed impasta il tutto fino ad ottenere un composto liscio e malleabile, che lascerai riposare avvolto con una pellicola in frigorifero per una mezzora. Nel frattempo, fai sciogliere il miele in un capace recipiente d’acciaio o di rame posto a bagnomaria e una volta bollente, unisci la semola e, o il pane grattugiato, le scorze d’agrumi, una generosa presa di cannella e la granella delle noci e delle mandorle. Fatto, amalgama insieme tutti gli ingredienti e lavorali fin tanto che otterrai una massa malleabile. Terminata questa operazione, con l’impasto forma dei rotolini grossi quanto il dito mignolo e lunghi circa 20 centimetri e tienili da parte. A questo punto, tira a sfoglie sottili la pasta, poi modella dei rettangoli, anch’essi di 20 centimetri circa di lunghezza per cinque di larghezza con l’aiuto di una rondella dentata taglia pasta, lu rutili, quindi accomodaci al centro i filoncini al miele tenuti da parte, abbracciali con la pasta e con il pollice e l’indice delle mani falla aderire verso l’alto e allo stesso tempo modella a piacere i, cucciuleddi, che possono essere di varie sagome, per esempio: rotondi, ovali, a forma di cuore o altro di fantasia. Sempre a piacere i dolcetti si possono arricchire cospargendoli con della codetta, mompariglia, tragera, traggeras, tragea, dragea, confettini di zucchero colorati e man mano che li prepari, accomodali dentro a una teglia foderata con carta oleata, dopodiché cuocili in forno già caldo a 160° per un quarto d’ora, al massimo venti minuti, perché, li cucciuleddi, devono rimanere di un bel colore avorio e non dorati.
Vino consigliato: Vermentino di Sardegna amabile, dal sapore sapido, fresco e acidulo, con retrogusto amarognolo.