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L'ISOLA IN CUCINA di Roberto Loddi de Santu ‘Engiu Murriabi – Rìcette Marzo 2024

 Resottu a su tzafanau cun isparau aresti

 Già nell'antichità dell’asparago se ne conoscevano le qualità gastronomiche e le caratteristiche nutrizionali, al punto che alcuni Re ne consumavano quantità ragguardevoli, pensando di poter aumentare la loro fertilità. Non a caso, tanto tempo fa, gli asparagi venivano considerati altamente afrodisiaci. Si narra che nel XV secolo (1410 - 1434) Abu Abdullah Muhammad ben Umar Nafzawi, nel suo famoso manuale erotico “Giardino Profumato”, ne racconta le eccezionali virtù: “colui che fa bollire gli asparagi e poi li frigge, aggiungendo uova e condimenti in polvere… vedrà i propri desideri e la propria capacità considerevolmente fortificata”.

In Asia risulta che gli asparagi fossero già noti e conosciuti da tempo, mentre gli egizi, li apprezzavano soltanto come pianta spontanea ornamentale e li divulgarono nell’intero bacino del Mediterraneo, tanto è vero che i Greci e i Romani li apprezzarono da subito. Teofrasto, 300 anni prima di Cristo scrisse il trattato “La Storia delle Piante”, fornendo la prima documentazione di letteratura relativa a questo ortaggio. I Romani, raccoglievano i germogli delle piante selvatiche e da queste selezionarono in seguito i ceppi adatti alla coltura.

Di questo vegetale si trovano le prime notizie due, tremila anni prima di Cristo e Marco Porcio Catone detto “il censore”, ne spiegò le tecniche di impianto nel suo trattato, De agricoltura. Anche Plinio, famoso naturalista latino, dedicò dettagliata attenzione all’asparago e nella sua straordinaria opera, Naturalis historia, oltre ad esaltarne le qualità gastronomiche, ne illustrò il metodo più consono alla coltivazione. L'asparago è una pianta erbacea, fornita di un corto rizoma sotterraneo e di radici carnose e legnose, dal rizoma in primavera sorgono i giovani germogli detti turioni. Questi primi germogli sono commestibili, delicati e saporiti e si possono considerare un’eccellenza della macchia mediterranea. 

I turioni che non vengono colti si sviluppano in fusti molto ramificati alti fino ad un metro e mezzo, conferendogli un aspetto cespuglioso, con tralci lunghissimi, foltamente intrecciati e le foglie ridotte a semplici scaglie, dei rametti rigidi e pungenti detti cladodi. L’asparago è apprezzato per la sua efficace ed importante azione diuretica e possiede anche l’interessante capacità di stimolare l'appetito. Le parti tenere del germoglio vengono inoltre utilizzate in cosmesi per preparare maschere ad azione tonificante per la pelle. L’asparago, Asparagus officinalis, cresce in prati umidi, nelle bordure, nei fossati, nelle zone paludose e i fusti eretti formano moltissimi rami cespugliosi. I cladodi non sono rigidi, ma flessibili e lineari e vengono raccolti a mazzi. Dall'asparago comune derivano le seguenti varietà note più nel settore orticolo che dai consumatori: il “D'argenteuil” precoce tardivo, il “Mary Washington”, il “Darbonne” selezione numero tre, il “Giant Mammouth”, il “Grosso di Erfurt” e il “Connover's Colossal”. Esiste pure una varietà di asparago pungente, Asparagus acutifolius, che cresce sotto le piante dei lecci, tra le siepi dei boschi caducifogli, nei luoghi aridi e soleggiati e sotto le piante degli ulivi. Il fusto è legnoso e spesso si presenta lianoso, le foglie sono ridotte a squame e sostituite da cladodi aghiformi e si presentano come spine. Nel Nord Italia questa specie è quasi totalmente scomparsa, mentre è presente in grande quantità nei boschi e nelle siepi del meridione e delle isole.

In Sardegna, la varietà di asparago selvatico, Asparagus tenuifolius, si presenta con cladodi morbidi e finissimi e cresce nei boschi, tra castagni e acacie. lo si trova anche nei boschetti di eucaliptus, in mezzo ai filari di fichi d’India, nelle radure allo stato selvatico, nei luoghi aridi e soleggiati, sotto le piante dei lecci e sotto quelle degli ulivi. Gli asparagi selvatici, sparau, isparau, si raccolgono dalla fine di marzo a tutto maggio e pazienti appassionati li raccolgono a mazzi, hanno un sapore più intenso di quelli coltivati, nascono spontanei, sono ottimi nei risotti, nelle frittate, con le uova strapazzate, ottima la torta di asparagi, cocca bamba de isparau, e in tante preparazioni di fantasia.

Gli asparagi contengono poche calorie, per questo sono particolarmente indicati nelle diete dimagranti. Contengono calcio, fosforo e potassio e hanno proprietà depurative, ma sono anche ricchi di acido urico, per cui è sconsigliato il consumo a tutti coloro che soffrono di cistite, gotta e infiammazioni ai reni. L’asparago è anche apprezzato per la sua efficace ed importante azione diuretica e possiede l’interessante peculiarità di stimolare l'appetito. Le parti tenere del germoglio infine vengono utilizzate in cosmesi per preparare maschere ad azione tonificante per la pelle.

Ingredientis:

g 320 di riso carnaroli is molas, un bel mazzo di asparagi selvatici raccolti in mattinata, 1 cipollotto con il verde, un ciuffo di timo, 1 spicchio d’aglio, vino bianco secco tipo, nuragus, brodo vegetale preparato con i gambi duri degli asparagi, insieme a mezza cipolla e tre pomodori secchi ben dissalati, zafferano San Gavino, g 120 di formaggio tipo peretta tritato, olio extravergine d’oliva, burro, sale e pepe di mulinello q.b.  

Approntadura:

per prima cosa, lava gli asparagi eliminando le parti dure che utilizzerai per preparare il brodo, poi prendi una pentola dai bordi alti e tuffaci dentro la mezza cipolla, i pomodori secchi, le parti dure degli asparagi e un giro di olio, quindi fai rosolare il tutto sul fuoco un paio di minuti e subito dopo bagna il soffritto con una spruzzata di vino. Evaporato, aggiungi due litri di acqua e portala a bollore, lasciandola borbottare per mezz’ora. Intanto, riduci le parti tenere degli asparagi a piccoli pezzetti obliqui (tieni da parte le punte), versa dentro a un tegame dai bordi alti il ricavato, insieme al cipollotto con il suo verde e il timo tritati, l’aglio schiacciato, un giro di olio e lascia rosolare il battuto con una spruzzata di vino. Una volta sfumato, elimina l’aglio, unisci il riso e lascialo tostare un paio di minuti. Fatto, bagnalo con una mestolata di brodo bollente e lascialo assorbire, prosegui la cottura aggiungendo altro brodo bollente per un quarto d’ora circa. Trascorso il tempo occorso, aggiungi le punte degli asparagi tenute da parte, dopo due minuti una presa di zafferano diluito in poco brodo e il formaggio, regola il sapore di sale, impreziosiscilo con una generosa macinata di pepe ed infine fallo mantecare con una noce di burro. Allontana il risotto agli asparagi, resottu cun isparau aresti, dal fuoco e tienilo coperto per un minuto prima di servirlo.

Vino consigliato: bianco Nuragus di Cagliari fermo, dal sapore sapido, armonico, leggermente acidulo, gradevole e asciutto.

 

***

 

Brugnolus cun froris e follas de linguarada o pizz’e cabombu

 

 

Mi è capitato parecchie volte di vedere delle distese di fiori dal colore azzurro, tanto azzurro da confondersi con il cielo, una vera opera d’arte naturale.

La borragine, dal latino, Borago officinalis, è una pianta annuale della famiglia delle, Borraginaceae, che può raggiungere i 60 cm di altezza; ha fusto e foglie completamente ricoperte di piccolissimi peli che ricordano il tessuto ruvido e i fiori a cinque petali di un blu profondo, con corolla a forma di stella a cinque punte che ricadono da un peduncolo ricurvo. Cresce nelle regioni che si affacciano sul Mediterraneo e nei terreni fino a 800-1000 metri di altezza.

In cucina non solo i liguri l’adoperano, ma anche i nordici e germanici gradiscono molto il suo fresco sapore di cetriolo, infatti in diverse lingue scandinave si chiama addirittura erba cetriolina.

Le foglie fresche e i germogli della borragine si consumano crude in insalata o tritate finemente e mescolate a formaggi freschi e morbidi, come caprini e robiola; oppure cotte come gli spinaci o insieme ad altre verdure, nelle minestre o zuppe, ma anche pastellate, mentre gli steli vengono fritti. È molto usata nelle frittate e nei ripieni ed è un elemento indispensabile nel, preboggion (insieme di erbe liguri spontanee che varia a seconda della località), nei, pansotti, genovesi e nella torta Pasqualina.

I fiori, dal delicato sapore di cetriolo, si possono mangiare nelle insalate e spesso sono messi a macerare nell’aceto bianco, che si colora di azzurrino, o nelle grappe. Possono infine essere canditi o congelati in cubetti di ghiaccio per rallegrare e decorare le bevande. Con la borragine si preparano anche delle torte, macedonie e tisane rilassanti.

Presso gli antichi romani il vino alla borragine era ritenuto un antidoto alla tristezza. Infatti se vi sentite depressi e ansiosi, un infuso di borragine, fior d'arancio e biancospino in parti uguali, anche più volte al giorno può sicuramente rasserenarvi. La parola Celtica, borrach, significa coraggio; la borragine, aggiunta al vino, veniva usata sempre dai Celti per dare coraggio ai guerrieri nell'affrontare i nemici in battaglia.

Gli antichi Greci invece la usavano per curare i mal di testa da sbronza! La borragine incoraggia anche l'allegria, era tradizionalmente usata per decorare le case in occasione di matrimoni.

Il nome gallese per la borragine, llawenlys , significa infatti "erba della contentezza".

La borragine ha diverse proprietà terapeutiche: contiene grandi quantità di nitrati di potassio e di vitamina C. L’infuso e le tisane con i fiori di borragine sono un magnifico tonico per il sistema nervoso: hanno proprietà rilassanti, emollienti, espettoranti e calmanti della tosse ed anche un leggero effetto diuretico e depurativo. Le foglie, hanno azione sudorifica e sono ritenute un valido rimedio nelle affezioni delle vie respiratorie, nei reumatismi e nelle malattie eruttive (eczemi e foruncolosi), così come l’olio dei semi di borragine.

In Sardegna, la borragine il cui nome scientifico è, Borago pygmaea, vegeta e cresce nei terreni incolti piuttosto sabbiosi e argillosi, nelle bordure dei campi e anche ai bordi delle strade ed è uno spettacolo incantevole poter ammirare ampie distese di borragini in fiore. Immagini da cartolina, come quelle che ammiravo da bambino quando si andava con i genitori e parenti a fare la scampagnata del lunedì di Pasqua, partendo dalle campagne di San Gavino verso il castello di Monreale.

La borragine cresce anche oltre mille metri d’altezza, fiorisce in primavera, fino a fine estate e nei differenti dialetti dell’Isola viene chiamata con una moltitudine di nomi: borràccia, burràsca, burraxi, burràxi, burràccia, ciocciri, ciucciamoch, crucueu, limba ‘e boe, chi-chiu, erba burràgia, gardu mùcchitu, gardu muccu, limba de boe, limbina, limboina, limbuda, limburda, linga di bóiu, linguarada, lingua rada, lingua rara, muccu de ‘oe, muccu-muccu, pani de mei, pani 'e sodrau, piu piu, biccu ‘e crobu, pizz’e cabombu, pitz’e colòmbu, pitzu 'e coccoi, pizz’e carroga, succiameli, succiameri, e chissà con quanti altri ancora.

In Sardegna non è molto utilizzata in cucina, tuttavia in alcune zone si utilizza per impreziosire i ripieni dei ravioli assieme a bietole selvatiche, eda, ricotta e zafferano, o per preparare deliziose frittelle o torte salate, cocca bamba, mescolata ad altre erbe assieme a uova e formaggio, ma anche pastellate e fritte, gustate in abbinamento con una flute di chardonnay spumante ben freddo. Infine nella versione dolce e intrigante, si possono utilizzare le foglie passate delicatamente prima in una pastella inzuccherata con farina e latte, poi fritte e quindi irrorate con una colata di miele di corbezzolo e … scusate se è poco. Se non è dolce questo?.

Ingredientis:

g 200 di farina, la punta di un cucchiaino di lievito in polvere, 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, 3 uova, un bicchiere di birra, un bel mazzo di borragini con i fiori, lingua arada, o, pizz’e cabombu, un mazzetto di germogli d’ortica, spizia e fui, pitziadroxiu, un mazzetto di bietole selvatiche, eda, un mazzetto tarassaco, tzicoria, un ciuffo di basilico, frabica, un ciuffo di maggiorana, majorana,  e uno di timo, armiddha, un ciuffo di finocchietto, fenughedddu aresti, 2 spicchi di aglio, g 200 di salame di testa, g 100 di pecorino grattugiato,  olio extravergine d’oliva per rosolare le erbe, olio di arachidi per friggere, bicarbonato, noce moscata, sale e pepe di mulinello q.b. 

Approntadura:

prima di tutto prepara la pastella, ponendo la farina setacciata con il lievito dentro a un recipiente d’acciaio, l’olio, le uova, la birra e con l’aiuto di una frusta, fai amalgamare tutti gli ingredienti fino a quando avrai ottenuto una crema liscia e densa, che lascerai riposare in disparte. Fatto, monda, lava tutte le erbe in acqua fredda, poi lasciale per mezz’ora dentro a una conca, scivedda, xivedda, freguera, su lebreri, cunchuiditta, cunchinu capazzu, tianeddu, coperte di acqua fredda e un cucchiaino di bicarbonato. Trascorso questo tempo, rilava le erbe sotto il getto dell’acqua corrente e falle sbollentare con la sola acqua di sgrondatura dentro a una pentola ed appena si saranno appassite, scolale e strizzale per bene, poi tagliuzzale sopra a un tagliere con un coltello a lama pesante, quindi il battuto ottenuto accomodalo dentro ad un’ampia padella insieme a un generoso giro di olio, l’aglio schiacciato che dopo eliminerai e fai rosolare il tutto fin tanto che le erbe si saranno insaporite. Arrivati a questo punto, allontana il recipiente dal fuoco, travasa il contenuto dentro a una capace terrina e non appena si sarà intiepidito, aggiungi il formaggio, il salume tritato finemente, una grattata di noce moscata ed impasta gli ingredienti fino a farli amalgamare. Solo allora, incorpora poco alla volta la pastella tenuta da parte (aggiungi il tanto che basta per ottenere un impasto plasmabile), dopodiché preleva parte del composto con un cucchiaio e con l’aiuto di un altro, modella delle polpette a gnocchetto ovale e man mano che le prepari, poche alla volta friggile in abbondante olio caldissimo (160° -170° circa). Appena risulteranno dorate, scolale su dei fogli di carta assorbente da cucina a perdere l’unto in eccesso. Servile caldissime cosparse di sale e di pepe. Vino consigliato: Alghero chardonnay spumante secco ben freddo, dal sapore fruttato, tipico, delicato, sapido asciutto e pieno.  

 

 

 

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